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L’ora di passeggiata: così si favoriscono il benessere fisico e quello psicologico

Il progetto “1 km al giorno” si propone di introdurre nella routine scolastica una passeggiata, durante l’intervallo: la passeggiata, della lunghezza di un chilometro, richiede 20/30 minuti e si può proporre durante l’intervallo del mattino. Questo progetto è realtà in numerose scuole d’Italia, da Biella a Bari. Ne abbiamo parlato in varie occasioni: siamo dei convinti sostenitori del movimento e della necessità, per tutti gli studenti, di muoversi di più.
Il movimento è necessario per uno sviluppo sano: giova alla salute, ma anche al cervello. Il movimento favorisce la concentrazione e l’alternanza di lezioni frontali e movimento migliora la qualità dell’apprendimento.

La nostra scuola ha bisogno di movimento: ma questo progetto è fattibile? Nel 2017 l’Università di Torino ha condotto uno studio di fattibilità, per verificare se, durante l’intervallo del mattino, vi fossero le condizioni per proporre una passeggiata agli studenti(nella scuola secondaria di primo grado, la scuola media). L’89% degli insegnanti ha risposto che non ci sono stati problemi organizzativi, che l’attività è stata facile da organizzare e da implementare e che riprendere le lezioni al termine della passeggiata non è stato difficile. Manca uno studio simile per quanto riguarda la scuola primaria, ma i riscontri degli istituti che hanno avviato la sperimentazione sono ugualmente positivi.

L’ora di passeggiata rappresenta anche una tappa pedagogica importante lungo la strada per tornare a considerare movimento e pensiero come ad una cosa sola, in modo simile a come avviene per le sperimentazioni educative outdoor. La mente si sviluppa nel migliore dei modi in quei contesti in cui anche al corpo viene dedicata l’attenzione che merita.

FONTI

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Ottimismo

Ottimismo: è un particolare modo di spiegare a se stessi gli eventi che ci accadono (positivi e negativi), oltre che la credenza in un futuro positivo.

L’OTTIMISTA (SECONDO LA SCIENZA)

L’ottimismo è stato al centro di numerosi studi scientifici negli ultimi anni. Dopo la scoperta che l’ottimismo è un fattore protettivo estremamente importante per la salute (riduce il rischio di malattie cardiovascolari in misura addirittura più efficace di un’alimentazione sana), i ricercatori hanno cercato di individuare le strategie più efficaci per diventare ottimisti.
Esistono due teorie principali che spiegano l’ottimismo: la prima è quella degli stili di attribuzione mentale, nata nel contesto della psicologia positiva; l’altra, è quella dell’orientamento verso la vita.

Secondo la prospettiva della psicologia positiva, l’ottimismo non è altro che uno stile di attribuzione mentale, cioè un modo di spiegare a noi stessi gli eventi che ci accadono. Quando ci succede qualcosa, tendiamo a farci una domanda: perché? Lo stile di attribuzione determina la risposta (mentale) che ci daremo. Martin Seligman e gli altri ricercatori che hanno studiato l’ottimismo hanno individuato tre dimensioni che utilizziamo per spiegarci gli eventi: 

  • Interno (è tutta colpa mia) vs Esterno (è stata una circostanza sfortunata)
  • Stabile (non possiamo fare nulla per cambiare) vs Instabile (non tutto è per sempre; agendo possiamo cambiare)
  • Globale (quello che è accaduto si ripercuoterà su tutti gli aspetti della mia vita) vs Specifico (le conseguenze di questo evento sono limitate a poche aree)

Secondo questa teoria, l’ottimismo non è altro che la tendenza a giudicare gli eventi negativi come Esterni, Instabili e Specifici. Spiegarsi le cose in questo modo ci aiuta a: 1) non colpevolizzarci, 2) rimanere proattivi e orientati all’azione, 3) non drammatizzare. Pensa ad un’amica o a un amico ottimista: non si comporta proprio così? 

Secondo la teoria dell’orientamento verso la vita, l’ottimismo è un atteggiamento di fiducia verso un futuro positivo. L’ottimista è convinto che le cose andranno per il meglio, anche in un contesto caratterizzato dall’incertezza. 

I VANTAGGI DELL’OTTIMISMO

L’ottimismo si è rivelato molto vantaggioso. In particolare, l’ottimismo si ripercuote sul modo in cui pensiamo e sulla nostra salute fisica. Per quanto riguarda il benessere mentale e la capacità di pensare in modo efficiente, gli ottimisti:

  • sono capaci di individuare i problemi in modo preciso e specifico
  • sono più propensi a vedere una situazione difficile come una sfida e non come una minaccia
  • sono maggiormente orientati alla soluzione dei problemi, a un approccio attivo
  • cercano volentieri informazioni e strategie utili a contestualizzare i problemi
  • in loro, le emozioni positive sono più frequenti di quelle negative

L’ottimismo è essenziale per reagire con grinta alle avversità e per risolvere problemi. Ma com’è possibile? L’ottimismo è davvero un potere magico? No (e questo è il punto interessante della ricerca scientifica): l’ottimismo non è altro che un abito mentale, un modo di pensare e di affrontare la realtà. E come tutti gli abiti mentali, chiunque può allenarlo: tutti noi, nessuno escluso, possiamo diventare ottimisti.
L’ottimismo porta anche una serie di benefici a livello fisico e relazionale: le persone ottimiste, infatti, hanno una probabilità molto ridotta di soffrire di eventi cardiaci, hanno una rete sociale solida e pronta ad aiutarli e ottengono risultati migliori nel mondo del lavoro.

ALLENARE L’OTTIMISMO

I ricercatori hanno identificato alcune tecniche efficaci per sviluppare uno stile di attribuzione ottimistico e per costruire la credenza in un futuro positivo. Si tratta di esercizi mentali: la buona notizia è che sono alla portata di tutti, semplici e veloci; la cattiva notizia è che, come tutti gli esercizi mentali, i risultati richiedono almeno un mese di pratica. L’allenamento è fondamentale: gli esercizi mentali sono efficaci solo se vengono praticati con costanza.

SFIDIAMO I PENSIERI CATASTROFICI

Il primo esercizio è per tutti coloro che, di fronte a un evento negativo, corrono con la mente agli scenari più catastrofici (in un ciclo che si autoalimenta e che ci sottrae tempo e risorse preziose).
Lo scenario ideale per praticare questo esercizio è il seguente:

  • Qualcosa è andato storto. Stai cominciando a preoccuparti e ad immaginare le conseguenze catastrofiche di questo evento sulla tua vita…

Bene. È il momento di sfidare il pensiero catastrofico. Per aumentare l’efficacia dell’esercizio, puoi utilizzare un blocco note e svolgerlo in forma scritta. Se non hai carta e penna a portata di mano, puoi svolgere l’esercizio a mente.
Adesso, focalizzati e pensa, in ordine:

  1. Qual è lo scenario peggiore? Se le cose dovessero andare per il peggio, cosa ti succederebbe?
  2. Qual è lo scenario migliore? Se le cose dovessero andare per il meglio, cosa ti succederebbe (nel caso di un evento negativo, dovrai concentrarti sul minor male possibile)?
  3. Quale dei due scenari è il più probabile? Che probabilità assegneresti a ciascuno dei due?
  4. Cosa puoi fare per cambiare le cose? Quali azioni significative potresti compiere per migliorare la situazione?

Questa sequenza ricalca fedelmente lo stile di attribuzione mentale di una persona ottimista. Gli ottimisti non sono inconsapevoli dei problemi; piuttosto, cercano di superarli. Così, dopo la fase 1, nella quale identificano lo scenario negativo, vanno avanti cercando azioni significative che potrebbero migliorare le cose.
Al contrario, le persone pessimiste si fermano al punto 1, immaginando gli scenari più catastrofici e rimanendo intrappolate in un circolo mentale (loop) negativo.

Per approfondire

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

TORNA A:

BIBLIOGRAFIA
Karen Reivich, The resilience factor: 7 Keys to Finding Your Inner Strength and Overcoming Life’s Hurdles, 2003, Harmony Books
Martin Seligman, Karen Reivich, The Optimistic Child: A Proven Program to Safeguard Children Against Depression and Build Lifelong Resilience“, 2007, Mariner Book
Martin Seligman, Learned Optimism: How to Change Your Mind and Your Life, 2006, Vintage Books

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Una famiglia non deve essere perfetta. Deve essere unita

Nessuna famiglia può dirsi perfetta: per quanto possiamo impegnarci, siamo esseri umani, ciascuno con le proprie debolezze e il proprio carico di fragilità. Dare vita ad una famiglia unita, però, è alla portata di ciascuna e ciascuno di noi. Ma che cosa intendiamo quando parliamo di “famiglia unita”? Quello a cui facciamo riferimento, è un ambiente familiare sicuro e stimolante, con delle caratteristiche molto precise. Secondo il professor Alan Kazdin, tra i massimi esperti mondiali di genitorialità, alla base di un ambiente familiare positivo ci sono otto elementi:

  • Una buona comunicazione tra i membri della famiglia; la comunicazione deve essere aperta e soprattutto non giudicante, il bambino deve trovare nell’adulto un ascoltatore capace di raccogliere il suo messaggio senza interromperlo e senza dirgli ciò che deve fare.
  • Una rete di relazioni positive con amici e famigliari; nonni, zii, cugini e amici di famiglia sono figure importanti, che contribuiscono allo sviluppo e all’educazione del bambino.
  • Routine e piccoli rituali condivisi da tutti i membri della famiglia; le routine rassicurano i bambini e li rasserenano.
  • La promozione di un comportamento sociale positivo; prendere parte alle attività della propria comunità (quartiere, oratorio, associazioni), ma anche invitare gli amici a casa e organizzare gite di gruppo sono ottimi esempi di come si può sviluppare il comportamento sociale positivo.
  • Flessibilità; saper affrontare piccoli cambiamenti è un’attitudine necessaria e vincente, per grandi e bambini.
  • Monitoraggio; i genitori devono svolgere un ruolo attivo nel monitoraggio delle attività dei propri figli, devono sapere chi frequentano, dove si trovano e cosa fanno.
  • Meno stress; i bambini sono sottoposti a numerose fonti di stress. Alcuni eventi stressanti sono inevitabili, gli altri potremmo risparmiarceli (e risparmiarli ai bambini).
  • Genitori capaci di prendersi i propri spazi; essere genitore è impegnativo, ma non deve diventare un compito totalizzante, al punto di trascurare se stessi. Un genitore capace di ritagliarsi degli spazi per sé (e per la coppia) riuscirà a infondere maggiore energia nella propria missione.

Costruire una famiglia unita significa far sì che ciascuno di questi otto elementi – il cui valore è inestimabile – sia coltivato con amore, impegno e passione. Significa ricordarsi che le buone pratiche non basta studiarle e ricordarle a memoria: dobbiamo svilupparle attraverso l’esercizio quotidiano.

UN LIBRO PER VOI: L’ALMANACCO DEL CUORE

Se siete genitori o educatori che amano mettersi in gioco, vi raccomandiamo il nostro Almanacco del Cuore.
Si tratta di un percorso di crescita della durata di 90 giorni: attraverso 90 pensieri illustrati da colorare (accompagnati da un manuale di istruzioni e vari modi d’uso) potrete focalizzarvi su ciò che conta davvero. Questo libro è un vero e proprio eserciziario di coaching creativo per riscoprire la semplicità del benessere.
Per acquistarlo, cliccate sulla copertina qui sotto:

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Inglese? Un disastro. Due terzi degli studenti italiani non capiscono quello che ascoltano

L’inglese si impara a scuola? A giudicare dai risultati dei test Invalsi, no. Infatti, solo il 51% degli studenti al 13 anno di scuola raggiunge il livello B2 per quanto riguarda la lettura e comprensione di un testo in inglese. Ma è nelle prove di ascolto che tocchiamo il fondo: solo il 35% degli studenti raggiunge il B2.
E uno studente su quattro si ferma al B1, vale a dire un livello di competenza basso se confrontato col numero di ore di insegnamento dedicate all’inglese. Nelle regioni del Sud, le percentuali sono ancora più sconfortanti.

L’inglese è fondamentale, tanto per il mondo del lavoro quanto per il lifelong learning: la maggior parte dei corsi di aggiornamento e approfondimento online (compresi i MOOC, grande opportunità di apprendimento che il nostro paese ancora non sfrutta appieno) sono erogati proprio in lingua inglese. Non conoscere questa lingua significa precludersi opportunità di carriera importanti, ma sopratutto ci costringe a coltivare una visione limitata della conoscenza: tante pubblicazioni innovative nel campo dell’educazione e della didattica sono tuttora non tradotte in italiano.

Dove potremmo migliorare? La presenza di insegnanti madrelingua potrebbe risolvere gran parte del problema, o perlomeno riequilibrare il deficit nella comprensione dell’inglese (che, inevitabilmente, si ripercuote sulla capacità di parlarlo). Purtroppo, una didattica eccessivamente focalizzata sui libri di testo e sulla grammatica, ma carente di esercizi di ascolto – come quella in atto nel nostro paese – non funziona.
Un elemento cruciale è legato alla formazione continua degli insegnanti di inglese non madrelingua: la loro conoscenza dell’inglese, scritto e parlato, è sufficiente a raggiungere un livello C2 (l’equivalente del Certificate of Proficiency in English)? Introdurre il possesso del livello C2 come soglia di sbarramento per accedere all’insegnamento dell’inglese, insieme ad un buon programma di formazione continua, potrebbe essere una soluzione. Purtroppo, la sua applicazione è decisamente irrealistica.

FONTI

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Perché è così difficile crescere un figlio?

Perché è così difficile crescere un figlio? Chiunque si sia trovata/o a dover educare un bambino, si sarà accorta/o di quanto questo compito sia difficile.
La risposta si trova in uno dei meccanismi che governano la nostra mente, ovvero il negativity bias (in italiano potremmo tradurlo come “fallacia del negativo”). In pratica: quando ci troviamo di fronte a due stimoli, uno positivo e uno negativo, la nostra attenzione è catturata da quello negativo.

Ad esempio: se uno studente, durante un diverbio, insulta un compagno, questo gesto negativo attirerà la reazione dell’insegnante. Tuttavia, tutte le occasioni in cui i ragazzi si parlano in modo garbato e gentile, passano quasi sempre inosservate (o comunque vengono trascurate in percentuale molto, molto più alta degli eventi negativi). Lo stesso accade a casa: un bambino che rovescia un bicchiere viene immediatamente ripreso, eppure nessuno gli ha espresso il suo apprezzamento in tutte le occasioni in cui ha sorretto il bicchiere correttamente.
Questo effetto è presente in tutte le attività umane: l’informazione (le buone notizie passano quasi sempre inosservate, a discapito del polverone sollevato da quelle cattive), l’economia e la finanza e, come nel nostro caso, l’educazione.

Il negativity bias ci deriva probabilmente dai nostri antenati preistorici, insieme all’ansia e alla paura: concentrare la propria attenzione su un animale selvatico e non sulla bellezza dei fiori e del paesaggio poteva salvare una vita (e certamente lo ha fatto!). Eppure, questo retaggio primitivo, rende il nostro compito di genitori, di insegnanti e di educatori molto più faticoso.
Ma come superarlo? Questa è la vera domanda: come possiamo superare questo negativity bias? La risposta è: allenandoci! La forma di allenamento più importante è – sorpresa! – l’apprezzamento. Apprezzare ciò che va bene ed è bello, infatti, è il comportamento opposto rispetto a sottolineare ciò che non va. Proviamo a riconoscere i comportamenti “corretti” dei nostri bambini e a dimostrare loro il nostro apprezzamento. Ecco qualche esempio:

  • “Bravissima! Come sei stata gentile con tuo fratello”.
  • “Ottimo lavoro! Ti sei impegnato molto per risolvere questo problema”.
  • “Brava/o! Ti sei lavata/o i denti in modo impeccabile”.

L’apprezzamento, per essere efficace, deve contenere tre elementi: un’esortazione piena di entusiasmo (Bravo! Bravissima! Complimenti! Ottimo lavoro! etc.), il motivo dell’esortazione (ovvero il “buon comportamento”) e infine, una dimostrazione fisica di affetto, come una carezza, un abbraccio o una pacca sulla spalla.
Prova anche tu ad allenarti ad apprezzare i piccoli successi quotidiani dei tuoi bambini o dei tuoi studenti: le giornate prenderanno una piega migliore e lavorare sul loro comportamento sarà più facile.

Come tutte le nostre abitudini, anche il negativity bias si può contrastare con l’allenamento quotidiano, fino a fare dell’apprezzamento uno dei nostri punti di forza. Prova a darti un’obiettivo quotidiano di apprezzamenti da collezionare.

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Resilienza

resilienza

DEFINIZIONE DI RESILIENZA

Qual è il significato della parola resilienza applicato alla psicologia? La resilienza è la capacità di resistere alle esperienze emotive negative in modo flessibile e orientato al cambiamento, ma anche la capacità di crescere attraverso le sfide.
In realtà, il termine resilienza è una sorta di ombrello: ci sono tante definizioni di resilienza nella letteratura scientifica, e ciascuna di esse coglie uno o più aspetti di essa. Ecco alcuni degli aspetti principali che formano la resilienza:

  • Aspetti biologici, ovvero tutti i fattori ereditari sui quali – al momento – non possiamo intervenire
  • Autoconsapevolezza, ovvero la capacità di riconoscere i propri stati emotivi in modo efficace (l’autoconsapevolezza è un aspetto fondamentale dell’intelligenza emotiva, complementare all’empatia)
  • Autoregolazione, ovvero la capacità non solo di riconoscere i nostri stati d’animo, ma di reagire in un certo modo ad essi
  • Agilità mentale, ovvero la capacità di guardare ai problemi da più punti di vista diversi (l’agilità mentale coincide in parte con il pensiero laterale e in parte con la Prospettiva, uno dei 24 punti di forza secondo le scienze del carattere).
  • Ottimismo, ovvero la credenza profonda in un futuro positivo. L’ottimismo è un fattore cruciale per la resilienza perché determina il nostro modo di guardare alle sfide (e possiamo impararlo, al 100%)
  • Autoefficacia, ovvero la fiducia in se stessi e nelle proprie abilità per poter superare una sfida
  • Interconnessione, ovvero una rete sociale capace di dare aiuto e sostegno nei momenti difficili.
  • Spiritualità, ovvero la credenza in qualcosa di più grande e profondo di noi. La religione è un tipico esempio di spiritualità.
  • Istituzioni positive, ovvero un ambiente (casa, famiglia, istituzioni sociali) orientato in senso positivo, orientato alla crescita degli individui. Chi cresce all’interno di istituzioni positive è abituato fin da piccolo a reagire alle sfide e alle difficoltà; le istituzioni positive amplificano tutti i fattori che abbiamo indicato sopra.

FILASTROCCA RESILIENTE
Alessia de Falco e Matteo Princivale
Non ti arrendere
ce la puoi fare:
ogni sconfitta
ha tanto da insegnare.
Sii coraggioso
va’ oltre il cancello:
Quel che è difficile
è ciò che è più bello.

IL SIGNIFICATO DI QUESTI VERSI

Coraggio ed ottimismo servono oggi più che mai. In un mondo sempre più complesso, chiamati ad affrontare sfide più grandi di noi, non possiamo fare a meno della resilienza. Concetto complesso la resilienza, o meglio, costrutto. Infatti, essere resilienti è molto più del semplice “superare gli ostacoli”. La resilienza richiede flessibilità, capacità di cogliere e governare il cambiamento, capacità di scomporre e risolvere i problemi, speranza ed ottimismo. In questi versi abbiamo sintetizzato, a misura di bambino, due elementi essenziali della resilienza. Il primo è la capacità di superare gli ostacoli, imparando da essi e dalle sconfitte che la vita ci riserva. Le persone resilienti accettano il fatto che alcuni eventi siano immutabili, al di fuori del loro controllo. Tuttavia, non si perdono d’animo: anche di fronte ad una sciagura, si sforzano di individuare le azioni in loro potere per cambiare – anche se in piccola parte – le cose, poi agiscono.

Ma soprattutto, le persone resilienti non temono le difficoltà. Riconoscono che la sconfitta è una parte della vita e non la evitano. Ciò che è difficile è bello, si diceva nell’Antica Grecia. La massima è tuttora valida. Solo chi riesce ad uscire dalla propria zona di comfort, per addentrarsi nella foresta delle sfide e degli imprevisti può trovare autentica soddisfazione: è la soddisfazione di chi ha visto, di chi ha imparato, di chi si è confrontato con se stesso ed è riuscito ad andare oltre le proprie paure. Ma come possiamo educare i bambini al coraggio? Primo: insegnando loro che ogni sconfitta è preziosa. Secondo: educandoli al piacere della scoperta e della sfida. Sfida che, ricordiamolo, non è contro il prossimo ma contro i propri limiti.
“Quel che è difficile è ciò che è più bello”. La nostra filastrocca si conclude così; questi versi sono il nostro auspicio, il nostro messaggio: ci piacerebbe vederli stampati ed affissi sulle porte delle camerette, nelle aule, nei campi sportivi. Ci piacerebbe vedere i bambini che si addentrano nelle sfide quotidiane con la consapevolezza che nessuno li giudicherà, ma che cresceranno. Ci piacerebbe che tutti gli educatori si facessero portatori di questa pillola di coraggio. In fondo, chi si imbarca nella missione titanica di crescere un figlio o di formare un’intera classe, non può pensare diversamente!

SIGNIFICATO ED ETIMOLOGIA DEL TERMINE RESILIENZA

Resilienza deriva dal latino “resilire”, che significa rimbalzare. risalire. Questo termine deriva dalle scienze dei materiali: in origine erano definiti “resilienti” quei metalli che, se venivano sottoposti a una forza, si piegavano senza rompersi; l’aggettivo “resiliente” veniva dato anche ai tessuti che, dopo essere stati tirati, tornavano alla loro forma originaria, senza deformarsi.
Da qui alla psicologia il passo è breve: gli psicologi del XX secolo, alle prese con i traumi e la fragilità umana, hanno coniato il termine resilienza per indicare la capacità di fronteggiare le difficoltà senza spezzarsi.

RESILIENZA IN PILLOLE

Non passò neppure un istante e Alice si introdusse nella tana dietro al Coniglio, ma come sarebbe potuta poi uscire di là fu una cosa cui in quel momento non pensò minimamente. La tana del coniglio andava diritta per un certo pezzo come una galleria, poi volgeva improvvisamente verso il basso, così improvvisaménte che Alice non ebbe il tempo di pensare di fermarsi prima di accorgersi che stava precipitando giù per un pozzo molto profondo.

L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

Quante volte vi è capitato di ritrovarvi come Alice a precipitare metaforicamente in un pozzo molto buio e profondo? Un lutto, un improvviso cambiamento o, più in generale, un evento che ha scosso la vostra sfera emotiva: vi sarete sentiti schiacciati, persi, addolorati. Ma poi siete riusciti a risalire, a vedere nuovamente la luce, miracolosamente più forti.

COS’È LA RESILIENZA?

Se ciò è accaduto, probabilmente avete sperimentato il tema che approfondiamo in questo articolo: la resilienza, ovvero la capacità di non farsi piegare da un ostacolo, trovando la forza e la volontà di andare avanti.

Immaginatevi come palazzi antisismici che affrontano un terremoto, oscillando, anche violentemente, senza crollare. Lo stesso capita alla mente umana quando reagisce con resilienza: ci si piega al dolore, ma non ci si spezza. Nonostante il trauma, generalmente si attinge al proprio bagaglio di forze interiori, a volte anche inconsapevolmente, per superare le avversità.

resilienza

E’ un concetto importantissimo per ciascun individuo, nel suo percorso di crescita personale e nelle relazioni con gli altri, in ambito familiare e non. E’ importante approfondire questo tema perché, sin dalla più tenera età, saper affrontare gli ostacoli che la vita ci pone significa riuscire a vivere in maniera più equilibrata e serena. La famiglia riveste un ruolo cruciale nell’allenamento di questa risorsa, una sorta di trampolino di partenza da cui spiccare il volo per la vita. Per camminare poi, crescendo, sulle proprie gambe.

Per fare tutto questo, sfatiamo un mito: nessun trauma potrà mai essere positivo, sarebbe ipocrita considerare tale una tragedia, un forte dolore, una malattia. Ciò che è positivo è la possibilità di poter riemergere cambiati, più forti, anche dopo le esperienze più dolorose: sopravvissuti, pronti ad amare la vita ancora di più. Ecco cosa significa vivere con resilienza.

Di seguito vogliamo offrirvi un breve approfondimento su questa tematica, con l’obiettivo di avere una panoramica teorica sul concetto e su come può essere allenato nella nostra quotidianità, anche attraverso momenti ludici. Il passo successivo sarà portare questi insegnamenti in famiglia, sperimentando insieme il Gio-Coaching.

LA RESILIENZA PSICOLOGICA

La resilienza psicologica è una caratteristica fondamentale per riconquistare un benessere temporaneamente perduto: significa trovare la forza per “persistere” nel proprio obiettivo, nell’accettare la sfida costituita dagli eventi negativi che si paleseranno lungo il percorso. Una persona resiliente ha imparato ad attingere dal bagaglio delle proprie risorse emotive, tirando fuori al momento opportuno, proprio come dal cilindro di un abile mago, ciò che serve a guardare il futuro senza lasciarsi sopraffare.

Ecco un piccolo identikit della persona resiliente:

  • è ottimista e crede che i momenti negativi siano temporanei:
  • è determinata e nutre una forte motivazione che la spinge a perseguire gli obiettivi prefissati;
  • non perde mai la speranza, anche dopo una sconfitta.

E VOI, SIETE RESILIENTI?

Per misurare la vostra resilienza provate con sincerità a rispondere a queste domande, facendo riferimento ad esperienze vissute e a come vi siete comportati. E’ un piccolo test per capire come lavorare su se stessi, prima ancora che insieme ai vostri bambini:

  • siete in grado di affrontare le difficoltà senza perdervi d’animo?
  • è stato utile confrontarvi con altre persone, condividere il vostro disagio?
  • cosa vi ha permesso di guardare con fiducia al futuro?
  • quali sono le forze, gli insegnamenti, tratti dagli ostacoli che avete affrontato?
  • sapreste essere d’aiuto ad altri, fornendo assistenza nei momenti difficili?

State tranquilli, è molto probabile che, nel rispondere, scopriate di non essere poi così resilienti. Però c’è una buona notizia per voi: secondo la psicologia, è possibile allenare la propria resilienza con l’esperienza. Non è esaustivo, ma ci sono tre mosse che possono rifocalizzarci:

  • imparare ad accettare le sfide
  • trovare i nostri fattori di protezione, gli elementi a cui appellarsi in caso di difficoltà
  • diventare consapevoli dei propri limiti e delle proprie potenzialità: le forze verranno in soccorso delle debolezze.

Queste sono linee guida teoriche, che però possono essere allenate giornalmente portando un po’ di resilienza nei nostri gesti quotidiani. Di seguito una serie di piccoli esercizi da sperimentare su se stessi e da riproporre in famiglia, prima di passare al gio-coaching sulla resilienza.

MINI-KIT DI ALLENAMENTO: RESILIENTI IN 3 MOSSE

Stretching mentale: senza flessibilità non esiste resilienza. Maggiore è la capacità di adattamento cognitivo, più grande sarà la tolleranza alla frustrazione.
Allenatevi un po’ per giorno ad essere morbidi, a prendere le cose per quel che sono.

Team working: chi fa da sé fa per tre, ma in tre è decisamente meglio. Non rinunciate mai a una bella chiacchierata, a due parole di conforto: sono la medicina migliore. Condividere le nostre esperienze con gli altri, senza diventare tossici, è un prezioso nutrimento dal punto di vista affettivo e psicologico.

Yoga dell’anima: l’autoconsapevolezza, la capacità di capire davvero ciò che sentiamo, aiuta a far fronte al dolore in maniera più serena. Non significa soffrire meno, questo non accadrà mai. Vuol dire accettare ogni sfumatura delle emozioni, senza reprimerle, semplicemente lasciandole defluire.

RESILIENZA IN FAMIGLIA

Finora abbiamo affrontato il tema della resilienza nella dimensione individuale, parlando di ciò che ciascuno di noi è chiamato ad affrontare. Esiste tuttavia anche un’accezione più ampia di questo tema che possiamo definire resilienza familiare. Di cosa si tratta? Significa inventare insieme strategie di adattamento, in modo tale che la famiglia si trasformi in un punto di sostegno. Immaginatevi di coltivare l’ambiente familiare come un piccolo orto, alimentando interessi e relazioni interpersonali, coltivando il dialogo, prendendosi cura di se stessi e degli altri membri del team.

Ecco alcuni esempi concreti:

  • Imparare ad ascoltarsi: difficilmente se non conosco i miei bisogni, troverò energie fisiche e psicologiche necessarie a sostenere gli altri
  • Prendersi del tempo per sè stessi e recuperare energie: serve a pianificare più serenamente le attività
  • Non farsi sopraffare dal senso di colpa
  • Coinvolgere tutti i membri della famiglia: dite sempre la verità, fare “taglia fuori” non aiuta nessuno
  • Chiaramente bisogna far attenzione a non iper-responsabilizzare i più piccoli, ma è importante comunque che sappiano se una persona a cui sono legati ha bisogno di un po’ di sostegno in più

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

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