Empatia

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Cosa significa empatia? L’empatia viene definita dalla psicologia come “la capacità di percepire le emozioni, i sentimenti e gli stati d’animo altrui”. Questa comprensione è intuitiva: le persone empatiche non hanno bisogno di troppe spiegazioni; sono in grado di percepire quasi istintivamente le emozioni degli altri.
L’empatia viene spesso indicata come uno degli aspetti dell’intelligenza emotiva. Nel primo studio sull’intelligenza emotiva (condotto nel 1990 da Peter Salovey e John Meyer), ad esempio, è annoverata tra le cinque componenti dell’intelligenza emotiva. Secondo le scienze del carattere (e in particolare secondo la classificazione del VIA Institute), l’empatia confluisce in una delle 24 forze caratteriali: l’intelligenza sociale, ovvero la capacità di comprendere i pensieri e le emozioni degli altri.

La manifestazione delle proprie emozioni varia da cultura a cultura e questo rende l’empatia particolarmente preziosa. Nel mondo occidentale è abbastanza fisiologico mostrare entusiasmo per un successo, sorridere, cercare un contatto fisico come rinforzo positivo, quale ad esempio una stretta di mano. Nel mondo orientale tutto ciò va contenuto, controllato, perché l’autodisciplina è un fattore importante nella relazione con gli altri. Persino all’interno della stessa cultura o di una stessa famiglia, le persone sentono le emozioni con una diversa intensità.

SIGNIFICATO ED ETIMOLOGIA DEL TERMINE EMPATIA

Empatia deriva dal greco antico “en” (che significa dentro) e “pathein” (che significa sentire). Letteralmente il termine empatia significa “sentire dentro”, che indica la nostra comunione con gli altri, al punto di sentire ciò che si muove dentro i loro cuori.
Il termine empatia è piuttosto recente, ed è stato coniato dagli psicologi del XIX secolo. Tuttavia, la capacità di percepire le emozioni degli altri e di costruire un legame emotivo è molto, molto più antica!

L’empatia nei confronti di un’altra persona ha molteplici sfaccettature. Significa entrare nell’intimo mondo della percezione altrui e farlo diventare la nostra casa. Significa essere sensibili, momento dopo momento, al cambiamento, sentendo il flusso delle emozioni dell’altra persona. (…) Significa vivere temporaneamente nel mondo percettivo dell’altro e muoversi in esso delicatamente, senza dare giudizi. Significa dare senso a ciò per cui l’altro fatica a trovare consapevolezza, senza cercare di far emergere troppo esplicitamente le emozioni di cui non è ancora pienamente consapevole, per non spaventarlo. Significa comunicare all’altro il senso che diamo al mondo, offrendo il nostro punto di vista pieno di nuovi significati, ispiranti per l’altro. Voi siete dei fidati compagni dell’altro, nel viaggio che compie attraverso il suo mondo interiore. Aiutando ad affrontare il senso dell’esperienza, potete aiutare gli altri a dare un significato alle proprie emozioni. In questo modo l’altra persona può vivere più prodondamente i significati e tradurli in esperienza”. (C. Rogers, 1957)

Ecco un breve video introduttivo sull’empatia:

“La civiltà dell’empatia è alle porte. Stiamo rapidamente estendendo il nostro abbraccio empatico all’intera umanità e a tutte le forme di vita che abitano il pianeta. Ma la nostra corsa verso una connessione empatica universale è anche una corsa contro un rullo compressore entropico in progressiva accelerazione, sotto forma di cambiamento climatico e proliferazione delle armi di distruzione di massa. Riusciremo ad acquisire una coscienza biosferica e un’empatia globale in tempo utile per evitare il collasso planetario?”
J. Rifkin

Oggi il termine empatia è usato di frequente sulla stampa e sul web, alla stregua di una moda stagionale. E’ come se tutto d’un colpo si fosse scoperta la necessità di accostarsi all’altro, di mettersi nei suoi panni. Perché questo bisogno? Non dovrebbe essere qualcosa di assolutamente naturale?

In un mondo che va molto di fretta, probabilmente no. Ecco, allora, l’esigenza non solo di riscoprire un concetto, di approfondirlo, ma anche di farlo nostro, tornando a sentire. Del resto, non è un tema esclusivo della modernità: ne parlavano già nell’Ottocento gli autori romantici tedeschi, come ad esempio Herder e Novalis, descrivendo l’esperienza di fusione dell’anima con la natura.

Nel 1906 è il filosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps, con il saggio “Empatia e godimento estetico”, a definire questa funzione psicologica, fondamentale per l’esperienza estetica: empatia è la percezione delle proprie energie, forze vitali, ricongiungimento dell’individuo con l’universo. Lo spunto più interessante, che poi è forse il motivo per cui oggi si parla tanto di empatia, viene da un’idea dello psicologo americano R.H. Woodworth.
Lo studioso sottolinea come l’osservatore tenda ad identificarsi con una parte di ciò che vede, restandone emozionalmente coinvolto.

Guardando un tempio greco, veniamo colpiti dalle cariatidi, immedesimandoci nell’atto, letterale o metaforico, di sopportare il peso sovrastante. Ma si tratta pur sempre di una parte, non del tutto. Ecco perché, forse, oggi parliamo tanto di empatia. Nella frenesia, nell’apatia del quotidiano, abbiamo un bisogno lancinante di emozioni e, contemporaneamente, sperimentiamo la paura di esserne travolti. Cosa che, a volte, ci fa circoscrivere ciò che sentiamo, distorcendolo o, a volte, negandolo, come accade con l’analfabetismo affettivo, di cui abbiamo parlato in un approfondimento correlato.

Empatia significa sentire l’altro ma, per farlo, è necessario prima sentire noi stessi, nella nostra complessità. Avere occhi più grandi e cuore più aperto, per vedere quel tutto che spesso riduciamo volontariamente ad una parte, ad un pilastro dell’edificio. L’empatia permette di avere una panoramica sull’intero edificio e sul paesaggio che lo circonda.

L’empatia rappresenta lo strumento per leggere le emozioni altrui. Come “animale sociale”, l’uomo ha bisogno di confrontarsi con l’altro, di relazionarsi con chi gli sta intorno. Per farlo, non serve solo quella che viene definita capacità di mentalizzazione (o anche teoria della mente).

La teoria della mente è una caratteristica tipica dell’uomo e serve a comprendere gli stati mentali e affettivi dell’altro, senza esserne davvero partecipi. L’empatia porta oltre questo concetto, permettendo la valorizzazione dei sentimenti: insegna a capire la persona nella nella situazione in cui si trova, anche se noi, nella stessa circostanza, la penseremmo in modo diverso. In questo senso, essa rappresenta contemporaneamente una competenza emotiva (una componente fondamentale dell’intelligenza emotiva) ed un’abilità sociale.

L’assenza di empatia produce effetti nefasti: isolamento, infelicità, incapacità di coltivare relazioni virtuose e durature. In altre parole, se manca l’empatia siamo in presenza di analfabetismo emotivo.

Dell’empatia gli studiosi, Freud e Kohut in primis, hanno evidenziato inizialmente la componente emotiva ed affettiva. Successivamente, negli Anni Trenta del secolo scorso, Mead ha focalizzato l’attenzione sulla componente cognitiva dell’empatia, concetto poi ripreso ed ampliato dalle teorie dei neuroni a specchio. In particolare è Gallese, tra gli studiosi italiani scopritori dei neuroni specchio, a spiegare che, per percepire un’azione, bisogna simularla internamente, con un meccanismo di modellizzazione prelinguistico ed automatico.

Ecco un piccolo identikit della persona empatica (sulla base della definizione di Choi-Kain e Gunderson, le persone empatiche hanno tre caratteristiche, riscontrabili nelle diverse teorie in materia):

  • sono capaci di una reazione emotiva di condivisione dello stato d’animo altrui
  • riescono, attraverso le loro capacità cognitive, ad immaginare la prospettiva altrui
  • mantengono stabilmente la distinzione sé-altro

Spendiamo due parole sull’ultimo punto. L’empatia porta sicuramente vantaggi nella vita sociale: favorisce la comunicazione ed anche il problem solving. Bisogna però non incappare nell’estremo opposto, il rischio di empatizzare eccessivamente.

In questo è necessario allenarsi: se da un lato mettersi nei panni dell’altro serve a capire ed anche aiutare, non dobbiamo mai dimenticare di non scollegarci dal nostro io più profondo. Sentire troppo significa farsi travolgere. Al contrario, per sentire bene, dobbiamo prenderci innanzitutto cura di noi stessi.

E TU, SEI EMPATICA/O?

Per misurare la tua empatia, prova con sincerità a rispondere a queste domande, facendo riferimento ad esperienze vissute e a come ti sei comportata/o. E’ un piccolo test per capire come lavorare su di te, prima ancora che insieme ai tuoi bambini:

  • Sai ascoltare e comprendere i sentimenti degli altri , sospendendo la tua valutazione?
  • Sei in grado di consolare con un abbraccio, senza limitarti alle parole?
  • Sai sdrammatizzare, anche usando l’ironia?

Ricordati sempre che, come tutte le componenti dell’intelligenza emotiva, anche l’empatia può (e deve) essere allenata, a prescindere dalla dotazione emotiva di ciascuno. Di seguito una serie di piccoli esercizi da sperimentare su te stessa/o e da riproporre in famiglia.

MINI KIT DI ALLENAMENTO PER L’EMPATIA

Scendiamo dal piedistallo: non sono solo i nostri problemi ad essere importanti.
Pesiamo le parole: feriscono a volte più di una spada … Mai scordarsi il “grazie”.
Non dimentichiamo di sorridere alla vita: è gratis e fa bene!

EMPATIA IN FAMIGLIA

L’empatia è un membro della famiglia, facciamola entrare nelle nostre case. Come? Con piccoli gesti quotidiani:

  • Sorriso: siamo ciò che le nostre azioni dicono di noi, le intenzioni sono solo decorazioni. Per cui affrontiamo la vita pensando positivo e con un bel sorriso per i nostri bimbi
  • Comunicazione: parlare e comunicare sono due concetti completamente differenti, bisogna imparare il linguaggio del cuore
  • Ascolto: per ascoltare ci vuole innanzitutto disponibilità verso l’altro, chiunque egli sia e di qualunque problema voglia parlarci
  • Gratitudine: le parole sono importanti, anche da piccoli. E’ fondamentale insegnare le norme di cortesia: educare al rispetto significa educare all’amore.

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

TORNA A:

BIBLIOGRAFIA
“Emotional Intelligence” (Salovey P. e Meyer J., Emotional Intelligence, Baywood, 1990)
https://www.viacharacter.org/character-strengths/social-intelligence

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