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Il ruolo delle emozioni nell’apprendimento

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Oggi riflettiamo sul ruolo delle emozioni nell’apprendimento. Le ricerche, infatti, evidenziano che insegnare col sorriso rende l’apprendimento più piacevole ma soprattutto più efficace. Può sembrare scontato, ma imparare a conoscere meglio questo fenomeno può aiutarci a prevenire l’effetto opposto, il “cortocircuito emotivo”.

Qualcuno avrà già sentito parlare di warm cognition Si tratta di un concetto che Daniela Lucangeli, Professoressa di Psicologia dello Sviluppo dell’Università di Padova e ricercatrice attiva nel campo dell’apprendimento e dei bisogni educativi speciali, da tempo propone agli insegnanti come linea guida fondamentale per la scuola.

La Prof. Sa Lucangeli, nel corso delle sue ricerche, ha evidenziato come l’apprendimento caldo (warm cognition) sia essenziale per poter apprendere bene. Ma cosa significa “apprendimento caldo” (o anche insegnamento gentile)? Semplicemente, quell’apprendimento che passa attraverso un ambiente emotivamente positivo, legato appunto ad emozioni calde come la gioia.

Quando impariamo qualcosa, nella nostra mente fissiamo anche il contesto emotivo in cui l’abbiamo imparata. Dunque, ciò che si impara in un clima positivo verrà ricordato con gioia; al contrario, se l’apprendimento è legato ad uno stato ansioso (o peggio ancora ad uno stato di collera o panico), queste emozioni negative accompagneranno ogni tentativo di ricordare quell’informazione.

Quindi: ricordiamoci di insegnare sempre col sorriso! Non importa che si parli di radici quadrate, sillabe o come allacciarsi le scarpe. Se insegniamo col sorriso e cerchiamo di mettere a loro agio gli studenti (anche “informali”, come nel caso dei mille insegnamenti che hanno luogo in famiglia) otterremo un risultato più duraturo ma soprattutto più virtuoso.

Per riuscirci, dobbiamo anche lavorare sul nostro modo di porre una critica: non dobbiamo ridurci a chinare il capo e a lasciar correre; al contrario, la critica è fondamentale. Quello che conta, però, è riuscire a muoverla senza sminuire la persona, stimolandola piuttosto a fare diversamente. In altre parole, dobbiamo riuscire a far sì che il nostro intervento correttivo sia vissuto come uno stimolo a far meglio e non come una mortificazione.

LA SFIDA DELL’APPRENDIMENTO 2.0? LA CONSAPEVOLEZZA

Leggiamo quotidianamente nuove ricerche che potrebbero (e dovrebbero) indirizzare le nostre azioni di genitori, insegnanti e educatori. Spesso, però, non riusciamo a tradurle in qualcosa di concreto.

Perché? Semplicemente, la ricerca è un’operazione teorica, utile ad analizzare un problema ma non ad aiutare chi poi dovrebbe implementarla. Ovvero: se una ricerca ci dice che non dobbiamo urlare ai bambini, non ci spiega però come trattenerci quando ci troviamo sull’orlo di una crisi di nervi! La stessa cosa vale per l’innovazione educativa: ci sono tanti spunti meravigliosi, ma come fare a portarli in un contesto di classi sovraffollate e spesso ricche di problemi e diversità?

La sfida, secondo noi, passa attraverso la consapevolezza: ciascuno di noi deve informarsi, fare propri gli stimoli che ritiene più interessanti e poi attivare un processo creativo per metterli in pratica. Come fosse un collage!

La consapevolezza dei propri limiti è il punto di partenza (se non l’avete già letto, vi consigliamo di dare un’occhiata; da lì, possiamo cominciare a lavorare, cercando punti di contatto con i bambini. L’importante è non fare il passo più lungo della gamba: tutti i metodi e le tecniche sono destinati a fallire se chi li propone non li ha assimilati in modo profondo.
E allora, meglio metterci il cuore. Meno, ma meglio. E’ il modo più realistico per trasformare in realtà quell’apprendimento caldo che abbiamo elogiato prima.

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