La lunga notte della libertà

La lunga notte della libertà

Nel lontano Oriente, in un paese circondato dalle dune del deserto, viveva un Sultano con la sua bellissima figlia. La ragazza passava le giornate a leggere nella meravigliosa biblioteca del palazzo. Avrebbe voluto viaggiare su un tappeto dorato e solcare il cielo pieno di stelle; avrebbe voluto vedere il mare. Ma il suo destino era già stato deciso e non c’era modo di cambiarlo: l’anno successivo sarebbe partita per un paese ancora più lontano, vicino a un’oasi rigogliosa e verdeggiante e lì si sarebbe sposata. La ragazza non sapeva come fare a sottrarsi ad una storia già scritta. Non avendo risposte, preferiva trascorrere il tempo che mancava al matrimonio immersa tra i suoi libri. Non c’era speranza in lei. Un giorno il padre la chiamò: “Farah, ti aspetta un futuro di ricchezze e potere. Voglio che tu studi per essere una buona compagna per l’Emiro Rashid. Ho scelto per te un precettore che ti guiderà e ti preparerà in questi mesi”. Il suo nome è Karim. La fanciulla accolse la notizia con poco entusiasmo ma, essendo nobile di cuore e molto affezionata al padre, annuì per compiacerlo. Il giorno dopo si trovò davanti al suo insegnante: era un giovane straordinariamente bello e gentile, con un volto dai lineamenti delicati in cui spiccavano due occhi viola come ametiste. Iniziò per Farah un periodo felice, forse il primo fino ad allora nella sua giovane vita. Karim le spiegava il galateo, ma si soffermava anche a disquisire degli astri o di come i governatori dovessero essere giusti e rispettosi del popolo. “I governanti comandano, il popolo obbedisce”, diceva Farah, ripetendo frasi che per anni aveva sentito pronunciare dal padre.
“Ti sbagli”, la interrompeva Karim “i governanti ascoltano il popolo e cercano la pace è il benessere per tutti”. Erano idee strane quelle di Karim e, forse per questo, Farah ne rimase affascinata. Non osava mai guardare i suoi occhi ametista, se non quando lui era distratto. Passò il tempo e Farah andò in sposa, come previsto, all’emiro Rashid. Era un uomo burbero, ma attento. La giovane moglie non faticò a far breccia nel suo cuore e a convincerlo con le sue idee: “Rashid, devi ascoltare il popolo. Solo così potrai vivere in pace ed essere acclamato”.
“Non è possibile ascoltare il popolo”, ribatteva il marito, stupito dalle idee progressiste della ragazza, “rischierei di perdere il trono”.
Rashid le rispondeva con gentile fermezza, ma iniziava a vacillare nelle sue idee.
I nobili, nel frattempo, cominciarono a tramare per allontanare Farah dal regno, temendo di perdere i privilegi cui erano abituati. Così, il giorno in cui Farah decise di incontrare nuovamente il suo insegnante, Karim, per discutere dei nuovi libri che aveva letto, organizzarono un tranello e li catturarono, trascinandoli davanti all’emiro: “Rashid, questo è un disonore; tua moglie Farah, passeggiava fuori dal palazzo con uno straniero”. Rashid si adirò e rinchiuse i giovani nelle segrete del palazzo, condannandoli a morte.
Del resto, sebbene poco convinto delle colpe della moglie, era pur sempre una questione d’onore. Karim e Farah, chiusi in due celle vicine, tremavano di paura: “Moriremo” disse lui amareggiato, vedendo le prime luci dell’alba all’orizzonte.
A quel punto Farah si alzò, si avvicinò alle sbarre della sua cella e gli rispose, con una voce quasi magica: “No, non moriremo mai, Karim. Mi hai insegnato l’amore per la libertà, il desiderio di cambiare ciò che è ingiusto, la volontà di sperare in un futuro migliore. Ne sono certa, non moriremo se continueremo a credere in tutto questo”.
In quel momento iniziò a soffiare un forte vento che li avvolse in un turbine, sempre più forte. Era la Fata della Speranza che li aveva sentiti e aveva deciso di salvarli, trasformandoli. All’alba, Farah e Rashid furono trasformati in piantine di lavanda.
Quando li trovarono, ormai mutati in piantine dai fiori viola come ametiste, i soldati li portarono a Rashid. “Dove sono i prigionieri?” chiese l’Emiro.
“Sono scomparsi. Abbiamo trovato solo queste piantine e una frase, scritta sulla sabbia nelle due celle: La paura può renderti prigioniero. Ma la speranza ti dona le ali della libertà”. Rashid comprese e, addolorato per i suoi errori, da quel giorno governò equamente, portando prosperità in tutto il suo regno. Piantò la lavanda nel giardino di fronte alla stanza del trono. Nel tempo si trasformò in un profumato tappeto violaceo, pronto a sussurrare parole di speranza e libertà all’orecchio di chi voleva e sapeva ascoltare.

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