La favola dell’edera

come l'edera imparò ad arrampicarsi

Come l’edera imparò ad arrampicarsi

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una casetta in montagna; era una baita in pietra, circondata da un grande giardino. D’inverno il giardino era una distesa bianca, sepolta sotto un candido manto di neve. A primavera, le piante si risvegliarono una ad una, colorando quel luogo silenzioso con le loro foglie e i loro fiori. Vicino a quello che i bambini chiamavano “cucciolo di abete”, un giovane alberello smanioso di crescere, fece capolino una piantina assai modesta: aveva due piccole foglie verdi scure attraversate da sottili venature bianche. Si chiamava edera e presto divenne nota a tutte le altre piante del giardino: infatti, non stava mai zitta. Chiedeva perché le nuvole si muovevano così velocemente in cielo, perché il la luna a volte era tonda e a volte a mezzzaluna, perché le farfalle volavano, perché le rane gracidavano e perché le rose erano così belle. La curiosità dell’edera era genuina: voleva sapere tutto del mondo! Le altre piante, però, non vedevano di buon occhio la sua curiosità: “Quanto parla quella pianticella, cosa avrà mai da scoprire”, si dicevano tra loro i gerani, osservandola con stizza. Un giorno arrivò nel giardino un grande vaso di terracotta.
Il padrone della casa lo posizionò in pieno sole, al centro del giardino, perché quella pianta, venuta da lontano, aveva bisogno di moltissima luce. Era un ulivo; un tempo gli ulivi non crescevano in montagna, ma ormai il clima era cambiato e sarebbe cresciuto bene anche lì. Gli occhi di tutte le piante si puntarono sui suoi rami nodosi e sulle sue foglie argentate.
“Quant’è bello!” esclamavano le rose vanitose.
“Ma è uno straniero venuto da lontano. Cosa sappiamo di lui?” intervennero gli iris sospettosi.
Ben presto il sentimento di diffidenza si diffuse in tutto il giardino. L’ulivo, già timido di suo, rimase silenzioso e guardingo.
Solo l’edera, animata come sempre dalla curiosità, attaccò, come si suol dire, bottone: “Ehi tu, è vero che hai visto il mare? È vero che è azzurro e immenso”.
L’ulivo rimase sorpreso: fino a quel momento nessuno gli aveva ancora rivolto la parola, poi le sorrise e iniziò a raccontare la sua storia. Parlò del mare e della sua acqua salata, del sole caldo che infiamma le coste, della brezza del mattino e dei fiori di arancio.
Quando terminò il suo racconto si sentì molto meglio: l’edera lo aveva messo a suo agio e continuava a ripetere che presto o tardi sarebbe andata anche lei a vedere il mare. Quella notte, la fata dei fiori scese nel giardino e svegliò la pianticella.
“Buonasera fata dei fiori, perché arrivi a quest’ora?”.
“Voglio ringraziarti: l’ulivo era così spaventato e tu hai saputo rincuorarlo”.
“Ma ci sarebbero riuscite anche le altre piante, se solo gli avessero parlato”.
“Cara edera, non è facile affrontare le novità con l’entusiasmo con cui hai fatto tu: spesso ciò che non conosciamo ci fa paura. Ma nel tuo cuore la paura è stata vinta dalla curiosità, e dal tuo amore per tutto ciò che non conosci; è per questo che ho deciso di farti un dono”.
La fata strofinò sull’edera un bastoncino coperto di polvere incantata.
“Da domani potrai arrampicarti ovunque e raggiungere anche i posti più lontani: finalmente viaggerai, come hai sempre desiderato, e scoprire il mondo. Ma ricorda: non farti mai piegare dalla diffidenza”.
Quella notte l’edera si trasformò in una pianta rampicante: le sue radici diventarono forti e capaci di attaccarsi ovunque, anche su un muro spoglio. Da allora, l’edera si arrampica dappertutto e continua a fare mille domande a tutti coloro che si fermano ad ascoltarla; e anche se è passato tanto tempo, la sua curiosità e il suo entusiasmo sono più vivi che mai.

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