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Ginestra e il solstizio d’estate

ginestra e il solstizio d'estate

GINESTRA E IL SOLSTIZIO D’ESTATE

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

La notte più corta dell’anno si avvicinava.
Gli uomini la chiamano solstizio e ogni anno, quel giorno, festeggiavano l’arrivo dell’estate; i bambini si rincorrevano nei prati e si arrampicavano sugli alberi per raccogliere le prime ciliegie acerbe.
Ma quella notte non era magica solo per gli umani: nelle grotte, nei boschi e perfino nelle vecchie case abbandonate, le streghe e i folletti si preparavano a festeggiare l’estate.
Anche Ginestra, una giovane streghetta col faccino costellato di lentiggini, si stava preparando con entusiasmo a quella notte magica. “Quest’anno raccoglierò più erbe di tutte le altre streghe!” pensava.
Dovete sapere che il passatempo preferito dalle streghe è collezionare erbe magiche, che custodiscono nei loro erbari dalla copertina d’oro massiccio. Nella prima notte d’estate si trovavano certe erbe rare, introvabili durante il resto dell’anno, come lo stramonio.
Per qualche strano motivo, però, gli esseri umani non le vedevano di buon occhio: anche loro raccoglievano erbe durante le prime notti d’estate, ma erano mazzi d’iperico per scacciare le streghe (o almeno, così credevano gli esseri umani).
Ginestra non si era mai preoccupata dei pensieri degli umani e si incamminò nel bosco spensierata, per raccogliere un bel cesto d’erbe durante quella notte tanto speciale.
E ne trovò, – ah se ne trovò! – però perse qualcosa di altrettanto prezioso: la strada del bosco. Le streghe non sono ricordate per il loro senso dell’orientamento, per questo di solito volano in cielo: così è più facile trovare la via del ritorno. Ginestra giunse in una piccola radura, nella quale sorgeva una casetta di legno: era una casa abitata dagli esseri umani.
“Accipicchia! Una strega nel folto del bosco; se mi vedono, finirò arrostita come una quaglia”.
Mentre si disperava, udì una voce alle sue spalle: “Ma tu sei… una strega!”
Era una bambina umana, alta all’incirca come Ginestra, con i riccioli biondi tutti arruffati e il naso sporco di terra; tra le mani reggeva un mazzolino giallo di iperico.
“S-ì-ì, sono una strega” balbettò Ginestra, col cuore in gola, “ma ti prego, non farmi del male; ho soltanto smarrito la strada di casa, non volevo disturbarvi”.
“Farti del male?” domandò la bambina.
“Sarà meglio piuttosto che TU non ci faccia del male con le tue strambe magie” le disse severa, fissandola con gli occhietti socchiusi e dimenando il mazzo giallo che reggeva tra le manine.
Le due creature si fissarono a lungo, intensamente. Infine, compresero: Ginestra non avrebbe fatto nulla di male all’altra, e viceversa. Erano soltanto due bambine, uscite di casa al calare del sole per raccogliere dei mazzolini d’erbe profumate, nulla di più.
“Forse ci siamo fraintese. Perché non andiamo insieme nel bosco a cercare le erbe?” si giustificò Ginestra.
“Va bene”, convenne con entusiasmo l’altra.
E così fecero: trascorsero la notte raccontandosi segreti su come preparare infusi e tisane e cogliendo le erbe più rare e evitando quelle avvelenate.
Quando l’alba si affacciò all’orizzonte, la streghetta disse: “Adesso devo andare. È tardi e la mia mamma sarà in pena per me”.
“Tornerai?” chiese la bambina.
“Lo vuoi?”
“Ma certo!”
“Aspettami domani, al tramonto: ci aspettano tante altre erbe incantate”.
Entrambe, la streghetta e la bambina umana, tornarono a casa col cuore pieno di gioia e energia: quella notte avevano condiviso la magia più potente di tutte, quella dell’amicizia.

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