La leggenda dell’ibisco

Nelle lontane isole delle Hawaii, tra alti vulcani e spiagge dalle sabbie nere, viveva una bellissima fanciulla, il cui nome era Kalea.
La ragazza era molto curiosa e passava le giornate ad osservare il mare da lontano. I suoi genitori, temendo che le capitasse qualche sventura, le avevano intimato sin da piccola di non allontanarsi dalla loro capanna.
Kalea era molto obbediente e, a malincuore, aveva accettato quella prigionia, cercando di impiegare il suo tempo a curare i fiori che crescevano nel giardino. Tra questi, vi era una meravigliosa pianta di ibisco: i suoi fiori erano rossi e grandi e rapivano l’attenzione dei passanti, affascinati dalla loro bellezza.
Una sera, mentre Kalea era intenta a innaffiare la pianta, esclamò: “Che bei fiori che mi regali ogni giorno: pianta fortunata, che vivi qui felice, splendida e senza pensieri”.
“Perché dici così? Hai molti pensieri?” le chiese all’improvviso una voce dolce, ma malinconica.
“E tu chi sei?” chiese impaurita Kalea.
“Sono la fata dell’ibisco”.
Da uno dei fiori rossi fece capolino una faccina con due occhietti vivaci e scintillanti. “Ehi, sono qui, mi vedi?”. Kalea aguzzò lo sguardo e la vide: com’era carina! La fatina volò fuori dal fiore e si posò sulla mano della ragazza: “Vedi Kalea, un tempo ero libera, come te, e potevo volare di fiore in fiore, a patto di restare nella foresta. Sai, noi fate non possiamo allontanarci perché il mare ci ucciderebbe. Solo che io non ho mai creduto a questa storia e, una notte, sono fuggita. Ma la regina delle fate mi ha scoperta e maledetta: così, da quel giorno, ho perso le ali e non posso allontanarmi dal mio ibisco. Sono costretta a vederlo fiorire e sfiorire nel corso della giornata, senza poter fare nulla è senza muovermi”.
“Ti capisco, sai – disse Kalea con le lacrime agli occhi – anche io sono prigioniera; i miei non mi fanno uscire, per paura che mi inghiottiscano le onde del mare. Ma io non ho paura e un giorno andrò a vedere l’oceano”.
“Andiamoci stanotte”, le propose la fatina e la fanciulla, coraggiosamente, accettò.
Quando i suoi genitori si addormentarono, Kalea afferrò un tizzone ardente e chiamò la fatina: “Vieni, è ora di andare”. Insieme si spinsero oltre il confine della giungla, scesero per un dirupo mentre il vento iniziava a portare aria salmastra alle loro narici.
“Ci siamo” disse la fatina, agitatissima. Davanti a loro, nel buio, si sentiva il rumore delle onde. “Voglio vedere la spuma del mare, scendiamo” continuò la fatina. Ma Kalea aveva paura, temeva l’ira dei genitori. “Torniamo indietro” supplicò.
Poi sentì una forza nuova scorrere in lei: se era arrivata fin lì, poteva finalmente coronare il suo sogno, mancava solo qualche passo. Si armò di cieco coraggio ed entrò, insieme alla fatina. Le onde iniziarono a bisbigliare intorno a loro: “Eccole finalmente. L’incantesimo è sciolto!”.
Kalea e la fatina dell’ibisco, sfidando la sorte, non coronarono soltanto il loro sogno: sciolsero anche l’incantesimo della paura, che aveva stregato la regina delle fate e tutti gli altri abitanti dell’isola. Cogliendo un’opportunità, avevano restituito la libertà a tutta l’isola.
Da quel giorno Kalea divenne la nuova regina delle fate e l’ibisco divenne il fiore delle opportunità; ogni volta che un viaggiatore si spinge fino a quelle terre lontane, riceve in dono una corona di quei fiori, come segno di buon auspicio.

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