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La sfata sfortunata

Testo di: Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una fatina che trascorreva le sue giornate a leggere e a coltivare i fiori nel suo giardino. Un giorno, la sua ape domestica scappò di casa.
“Povera amica, come sei stata sfortunata” le dissero in coro le altre fate, appena si seppero del fatto.

“Su, amiche, asciugate le lacrime: è presto per stabilire se è stata una sfortuna oppure no”.

“Ma come? Sei rimasta senza la tua ape domestica: chi impollinerà i tuoi fiori? Il tuo giardino cadrà in disgrazia e rimarrai senza polline”.

“Come correte” disse la fatina, “staremo a vedere”.

Qualche giorno dopo, l’ape domestica tornò con un intero sciame: costruirono un alveare sul tetto della casa della fatina, impollinarono tutti i fiori del giardino e le donarono un sacco di miele.

Le altre fate, piene d’invidia, le dissero in coro: “Sei così fortunata, nessun’altra fatina del prato ha così tante api domestiche”.

“È assai presto per stabilire se è vera fortuna oppure no”.

“Come puoi dire questo? Noi daremmo qualsiasi cosa per essere al tuo posto” le risposero stizzite le altre fate. “Hai avuto una fortuna smisurata”.

Qualche giorno dopo, l’alveare diventò così grosso e pesante che sfondò il tetto di casa e crollò addosso alla fatina, ferendola alle ali.

“Come sei sfortunata” commentarono ironiche le altre fatine, “adesso non hai più una casa, ma soprattutto non potrai più volare per molto, moltissimo tempo”.

“Su, su” disse loro la fatina, “non disperatevi: chiederò ospitalità alle api. E poi, è ancora presto per stabilire se queste ferite sono una sfortuna oppure no”.

“Ma come?” le rispose piccata una delle fate, “fra tre giorni ci sarà il gran ballo d’autunno, e tu lo perderai. Come puoi dire che non sei sfortunata?”.

“Staremo a vedere” disse la fatina, poi salutò le sue compagne e bussò alla porta dell’alveare.

Le api, mortificate per il pasticcio che avevano combinato, ospitarono la fatina ferita, le regalarono una stanza di cera con tutto l’occorrente per vivere bene e le fecero degli ottimi impacchi curativi al miele.

Infine arrivò il giorno del gran ballo d’autunno: la fatina era troppo debole per uscire di casa e rimase nell’alveare. Ma quella notte, un gufo, passando di lì, scambiò le fate che volavano per farfalle e le mangiò tutte. Tutte meno una: la nostra fatina, che riposava al calduccio nell’alveare.

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