Educare è educare a vivere

Imparare a vivere richiede non solo conoscenze, ma la trasformazione, nel proprio essere mentale, della conoscenza acquisita in sapienza e l’incorporazione di questa sapienza per la propria vita.

Sono parole di Edgar Morin, filosofo francese contemporaneo, che ci fanno ben comprendere l’essenza dell’educazione: educare è educare a vivere ma, prima ancora, educare è vivere.

In questo decliniamo a pieno le frasi di Vittorino Andreoli pubblicate qualche tempo fa: laddove il noto psichiatra ci parlava di educazione come insegnamento delle gioie della vita, apriamo ulteriormente il raggio d’azione. Non possiamo educare ad apprezzare le gioie della vita se non sappiamo viverla a pieno. Per farlo, riprendendo Michel de Montaigne: “E’ meglio una testa ben fatta, piuttosto che una testa ben piena”. Spesso di concetti inutili o ridondanti.

L’EDUCAZIONE BEN FATTA: EDUCARE A VIVERE

Che cosa significa educazione ben fatta? Sempre Morin afferma:

Conoscere e pensare non è arrivare a una verità assolutamente certa, è dialogare con l’incertezza.

Qui il bello della nostra fragilità. Il legame tra vita ed educazione è esso stesso educazione: educazione al sentire, al tradurre la pura emozione in modus operandi critico. Significa, concretizzando, che l’importanza della cultura e dell’educazione non risiede nella mera accumulazione quantitativa dei saperi, ma nel determinare un’attitudine generale a porre e trattare i problemi, nel saperli collegare e organizzare, usando tutte le forme di intelligenza a nostra disposizione.

Spesso vediamo persone mediamente istruite, con una cultura di base accettabile, che presentano lacune piuttosto significative, per non dire livelli di incomprensione del mondo che le circonda, assolutamente umilianti. In questi casi, tutt’altro che eccezioni, il dubbio sulla qualità dell’istruzione e l’importanza di una riforma emergono in tutta la loro necessità. Parliamo dell’adulto, prima ancora di intervenire sul mondo della scuola e sul bambino.

Educare, in ogni caso, significa dare gli strumenti per vivere, aprire la mente, prima ancora che riempirla.

LA SFIDA PER GLI EDUCATORI: INSEGNARE IL PENSIERO EMOZIONALE

Il compito spetta principalmente agli educatori a cui è richiesta competenza, ma soprattutto passione, tecnica, arte. Essi sono chiamati a contestualizzare e globalizzare le menti e prepararle alla crescente complessità della vita.

Oggi viviamo in un’epoca di iper-specializzazione: persino le emozioni rischiano di essere analizzate in maniera avulsa dal contesto, come se tristezza, rabbia, gioia, fossero istanti indipendenti dalle relazioni e dallo scenario. L’eccessiva specializzazione divide, separa, crea muri insormontabili, fatti di linguaggi propri e teorie ripiegate su se stesse. In un mondo destinato sempre più alla globalizzazione, allo scambio, alla diversità, non avere un approccio globale, aperto è un danno enorme e crea egoismi di parte, che escludono individui o società dalla dinamica globale dello sviluppo.

Per questo la sfida è il pensiero emozionale, non l’insegnamento delle emozioni: usare intelletto, cuore, per vedere, sentire e capire. Concludiamo citando un’ultima volta Morin:

Un pensiero capace di non rinchiudersi nel locale e nel particolare, ma capace di concepire gli “insieme”, sarebbe adatto a favorire il senso della responsabilità e il senso della cittadinanza.

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