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IL CATTIVO ESEMPIO SIAMO NOI A DARLO

Una brevissima riflessione a proposito del caso del ragazzo che qualche tempo fa ha aggredito un’insegnante colpendola con una sedia. Un gesto grave, che meritava una risposta altrettanto severa. E in effetti, la punizione è arrivata: apprendiamo dal portale Orizzontescuola che nei confronti del sedicenne sono stati presi provvedimenti tutt’altro che lievi:

  • due settimane di sospensione;
  • lavori socialmente utili a vantaggio di ragazzi disabili, fino a giugno (ovvero per tutta la durata dell’anno scolastico);
  • 5 in condotta, con possibile promozione all’anno successivo da valutarsi in base al comportamento futuro;
  • studio a memoria di un intero canto della Divina Commedia (ci auguriamo si tratti del canto dodicesimo dell’Inferno);
  • in aggiunta a ciò, provvedimenti ulteriori sono stati presi anche nei confronti dei compagni che hanno incitato il ragazzo.

Possiamo discutere sul valore pedagogico delle singole misure adottate che, almeno ad un’analisi sommaria, centrano un duplice obiettivo: primo, quello di far comprendere la gravità dell’azione commessa e secondo, quello di offrire una possibilità di recupero al ragazzo. In aggiunta ai provvedimenti scolastici, è in essere la denuncia sporta alle autorità giudiziarie, che procederà parallelamente.

Quello che invece ci ha lasciato l’amaro in bocca, è la reazione del web a questa notizia di cronaca. Migliaia di commenti che incitavano all’odio, adducendo alla lievità della pena, migliaia di “hater seriali”, purtroppo, adulti. Adulti, peggio se genitori o insegnanti, che chiedevano a gran voce il riformatorio, l’espulsione a vita dalla scuola e molto altro.
Da qui la nostra domanda: come possiamo sperare di educare i ragazzi se, di fronte a un caso come questo, siamo noi i primi a cedere alla violenza sconsiderata? Forse, nel corso dei nostri percorsi scolastici, ci siamo persi un piccolo capolavoro del Manzoni, la “Storia della colonna infame” (vi proponiamo di leggere l’edizione gratuita messa a disposizione dall’editore SEI). Forse siamo noi i primi aggressori, spesso inconsapevoli.

 

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