LITIGARE BENE INSEGNA A CONFRONTARSI

I litigi, per bambini e bambine, sono un’esperienza assolutamente naturale. Ecco perché è importante che gli adulti insegnino la gestione del conflitto, senza allarmarsi e lasciando la giusta autonomia.

La convivenza ed il rispetto si imparano, spesso passando attraverso il litigio. La gestione dei conflitti rappresenta uno dei temi caldi dell’educazione. Spesso gli adulti si trovano disorientati di fronte a due bambini che litigano, attribuendo contenuti presunti ad episodi marginali e modificando così la percezione dell’evento. In realtà il litigio rappresenta un’esperienza fisiologica per i bambini.La letteratura in materia conferma che la litigiosità infantile è una parte inevitabile del giocare insieme, un modus vivendi con caratteristiche specifiche che di seguito andiamo ad esaminare.

Citiamo innanzitutto la pervasività: mediamente (vedi ad esempio gli studi di Catherine Garvey, 1985) nel corso della giornata si può arrivare fino a 11-12 episodi conflittuali orari nei gruppi di bambini della scuola dell’infanzia.Il dato più interessante e spesso meno evidente, è la base relazionale del conflitto: in pratica più i bambini sono amici, più è frequente il conflitto, anche di facile risoluzione. (Butovskaya e Kozintsev, 1999). Sempre la Butovskaya evidenzia come la riconciliazione, o comunque la conclusione di un litigio gestito autonomamente dai bambini, avviene mediamente entro un minuto dall’inizio del litigio stesso.

I litigi infantili durano molto poco e, solitamente non sono scatenati da impulsi aggressivi intenzionali come invece temono gli adulti.

La ricerca conferma che, per tutta l’infanzia, si hanno grandi capacità di autoregolarsi nei litigi. In questo caso è bene rassicurare gli adulti: fino al sesto anno di vita i bambini e le bambine non dispongono, anche in termini cognitivi, di un’intenzionalità consapevolmente lesiva; litigano ma non intendono fare del male. In molte osservazioni e racconti di litigi l’intenzionalità non è riscontrabile, se non in quei rari casi legati a difficoltà infantili nella maggior parte “diagnosticate” in modo grave. Chiaramente l’adulto ha il compito di insegnare a gestire il conflitto, perché a litigare si impara. Citiamo a questo proposito un articolo di Daniele Novara intitolato “Litigare Bene”, nel quali si indicano alcuni step che gli adulti dovrebbero seguire per insegnare ai più piccoli a gestire le discussioni, eliminando progressivamente l’intervento degli adulti.

L’approccio proposto consiste in “Due passi indietro e due passi avanti”. Vediamolo di seguito:

  • Il primo passo indietro: non cercate il colpevole perché non c’è. 
    “Chi è stato?”, “Chi ha iniziato?”, sono le domande che da sempre riecheggiano. Si accentua nei bambini l’idea di stare compiendo qualcosa di sgradevole e di rovinoso che senz’altro non piace agli adulti e, dato che i bambini vogliono per loro natura compiere azioni che gli adulti gradiscono, scatena un corto circuito: il bambino non riesce più ad agire secondo le sue componenti naturali auto regolative e comincia ad attivare le antenne su quello che l’adulto si attende da lui. Si instaura così una triangolazione: non sono più i bambini che litigano tra di loro, ma il loro litigio avviene in funzione dell’adulto giudice, colui che può restituire il giusto e lo sbagliato.In questo senso la ricerca del colpevole è un atto che interferisce profondamente perché falsa la naturalezza psicologica con cui i bambini affrontano i loro disaccordi e fornisce l’occasione, specialmente nei contesti intra familiari, di agire un certo esibizionismo, di attivare una sistematica ricerca di attenzione.
  • Il secondo passo indietro: non imponete la soluzione.
    Non esiste la risposta esatta, ma la capacità di gestire la situazione. La paura dell’adulto è che i bambini non siano in grado di agire da soli quando sono in una situazione di contrasto. Così si legittima un interventismo piuttosto coercitivo che implica la necessità di dire ai bambini ciò che devono fare. “Basta!”, “Smettetela!”, “Giocate senza litigare”, “Fate la pace”. L’inefficacia di questo tipo di intervento, per quanto animato da equità e parvenza di imparzialità, è data dal fatto che una soluzione imposta non rappresenta ovviamente un livello adeguato di compenetrazione relazionale tra i bambini. E per questo è destinata, già di per sé, al sostanziale fallimento.
  • Il primo passo avanti: fateli parlare fra loro del litigio.
    Quando c’è un litigio vi è sempre qualcosa che sfugge alla percezione dei litiganti: un’incomprensione, un irrigidimento eccessivo o una volontà dominante che prescinde dalle reali condizioni relazionali. Il parlarsi consente ai bambini di uscire da una dinamica stereotipata, da quelle modalità un po’ nevrotiche e ripetitive che possono aver assunto nel relazionarsi tra loro, per ascoltare la versione dell’altro. I bambini litigano soprattutto per mimesi (il desiderio infantile di avere o fare qualcosa che ha o fa l’altro), per esibizionismo, per conflitti di interesse, per il possesso e l’utilizzo di oggetti, per l’assunzione di ruoli all’interno di un gioco o (in particolare nella scuola primaria) per motivazioni procedurali. Ma anche per i rigidi ruoli attribuiti loro dagli adulti di riferimento.
  • Il secondo passo avanti: favorite l’accordo fra di loro.
    I litiganti hanno potuto esprimere le loro ragioni: è importante ora che l’adulto, mantenendo una posizione di neutralità, aiuti i bambini e le bambine a riconoscere che entrambe, o tutte quelle fornite, sono legittime. Non c’è una ragione più o meno prioritaria rispetto all’altra, non c’è una ragione che debba più o meno soccombere o risultare svalutata dalla discussione. Ecco che i litiganti sono pronti a individuare tra loro un atto di autoregolazione: il bambino che abbandona all’altro il giocattolo a cui ambiva; una qualche forma di accettazione dell’opinione altrui; l’assunzione di un atteggiamento conciliativo di fronte a una posizione più determinata.

 

Litigare come modo di attivare la funzione creativa divergente
Una vita senza conflitti sarebbe impossibile, poichè nel confronto emerge la diversità. L’importante è riuscire ad individuare, nelle situazioni che ci si presentano. la strategia più efficace, che a volte puà essere anche rinunciativa, per cercare nuove occasioni di gratificazione e scoperta. L’obiettivo è imparare a stare insieme interagendo nelle criticità, nella complessità delle relazioni, in particolar modo nei contesti più difficili, quando la contrarietà si pone come ostacolo alla concreta possibilità di lavorare con gli altri.

 

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