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Fare musica sin da piccoli: un’esperienza bellissima da incoraggiare

Partiamo da una buona notizia: tutti noi possiamo imparare a cantare o suonare uno strumento! Non è mai troppo presto per imparare o troppo tardi per iniziare o riprendere gli studi abbandonati.

La musica è innanzitutto un linguaggio universale: se ci pensiamo, ovunque nel mondo, seppur con stili diversi, si canta, si balla e si suona. E’ un qualcosa di talmente connaturato nella natura umana che, sin da piccolissimi, i bambini mostrano piacere ad ascoltare brani musicali e a saltellare accompagnati dalle loro note. La predisposizione innata alla musica è sicuramente un dono che va coltivato, anche perché presenta indiscussi benefici per la crescita dei piccoli. Sicuramente suonare stimola le capacità percettive e aiuta le prime ricerche espressive. Aiuta inoltre a sviluppare l’emotività, toccando le corde dei sentimenti e favorendo il rilassamento e l’acquisizione linguistica. Se da un lato è stato sfatato il mito che fare musica aiuti a incrementare il quoziente intellettivo, dall’altro studi recenti condotti presso la Harvard University hanno  mostrato che studiare uno strumento sviluppa le capacità mentali dei bambini, rendendoli più “flessibili”. Tutti buoni motivi per provare sin dalla più tenera età.

Suonare deve essere un divertimento, non un obbligo!

Ogni anno con l’inizio della scuola ci si trova di fronte al dilemma su quali attività extra far seguire ai propri figli. Quasi sempre in poll position, dopo i vari sport, troviamo lo strumento musicale. E, puntualmente, si presentano una serie di interrogativi su quale sia la scelta migliore o l’età più adatta per iniziare.

Cercheremo di dare qualche breve risposta in merito, attingendo da fonti che si sono espresse in materia.

Il consiglio che ci sentiamo di dare e che vale un po’ per qualsiasi corso a cui vengono avvicinati i bambini è: non forzateli. Si può suonare senza essere Mozart, o si può danzare senza pretendere di diventare Nureyev. L’importante è che i bambini si divertano. Quest’affermazione è banale, ma è bene ribadirla: sono molti i genitori che caricano di aspettative i figli, immaginandoseli pianisti di fama o étoile.

Ecco, questo è un buon modo per mettere i bambini sotto pressione e farli disamorare di ciò che stanno facendo. Non esiste un’età minima per fare musica, ma l’importante è ricordarsi che deve essere un piacere, non certo un obbligo. Va da sé che ognuno di noi ha una sua musicalità, spesso legata all’ambiente circostante. Anzi è proprio l’ambiente, a partire dal nucleo familiare, ad influenzare i più piccoli che hanno bisogno di stimoli interessanti capaci di innescare il processo naturale di conoscenza della realtà.

Qualsiasi sia la strada intrapresa è indiscutibile che i bambini imparano la musica stando a contatto con la musica: per cui ascoltiamo insieme e proponiamo ciò che ci piace. Il resto verrà di conseguenza.

Solitamente i primi corsi sono accessibili a 4-5 anni, anche se vi sono percorsi propedeutici di gruppo già a partire da 3-4 anni. In quest’ultimo caso si tratta di un’introduzione alla musica, dove si lavora sulla voce e il ritmo, spesso utilizzando le mani per le percussioni. E’ anche un modo per avvicinare i più piccoli ai diversi aspetti della musica, scegliendo poi uno strumento specifico in modo spontaneo.

Sì, lo voglio: ecco l’età giusta per partire

Sono in molti a ritenere il pianoforte lo strumento ideale a fornire un approccio propedeutico dato che assicura un feedback pressoché immediato: premendo un tasto si ottiene il suono. In realtà, al netto di limitazioni fisiche (chiaramente il fagotto è un po’ ingombrante per un bambino alto sì e no un metro), non esiste uno strumento principe. Dipende dai desideri del piccolo. Anche l’età giusta la decide il bambino. Ci sono musicisti in erba che a 5 anni chiedono di poter provare a suonare il piano e altri che non se lo sognano nemmeno. La regola d’oro è di rispettare la volontà del bambino, senza fare pressioni e soprattutto, senza trasformare l’interesse in ambizione o forzatura da parte dei genitori, che devono essere in ogni caso preparati al fatto che un domani il figlio potrebbe scegliere di non continuare o perdere interesse per la materia.

La musica rappresenta un impegno, uno sforzo costante nel tempo. Per cui, se il bambino non è pronto, non facciamoci prendere dall’ansia. Scoprirà la sua strada più avanti, magari non nella musica.

In ogni caso se il bambino continua a mostrare interesse dopo due-tre anni di studio, sta rivelando una profonda inclinazione per la materia, che va in ogni caso coltivata. Con un bravo insegnante si ottengono buoni risultati anche a livello amatoriale. Non esiste, almeno sulla carta, un metodo migliore di un altro: è la sensibilità pedagogica dell’insegnante verso il bambino a fare la differenza.

La più grande lezione della musica: non c’è risultato senza sforzo

Imparare a suonare è molto simile a percorrere una salita su per le montagne: arrivati in cima il panorama è splendido, ma quanta fatica per arrivare lassù! E’ più o meno quello che succede con uno strumento musicale: ci saranno momenti di frustrazione ma, se con il giusto incoraggiamento riusciamo a superarli, proveremo la soddisfazione di aver imparato e scalato la nostra montagna.

Non si suona solo per talento: alle doti innate vanno abbinati gli studi e lo sforzo, quotidiano o meno.

Questo è l’insegnamento più grande che ci offre la musica, come altri ambiti dell’arte. Per riuscire bisogna applicarsi, studiare, cercare sempre nuovi stimoli. Ed è un lavoro sulla persona, un percorso educativo, un incoraggiamento a non mollare, anche quando ci prenderà lo sconforto.

La famiglia ha l’impegnativo compito di sostenere i bambini in queste esperienze, senza delegare la disciplina all’insegnante. La musica ha bisogno della collaborazione dei genitori: è un percorso di condivisione. All’inizio, solitamente le lezioni sono molto brevi e mono settimanali. Nel tempo il carico di lavoro aumenta, bilanciando il mix tra gioco e impegno: il programma è legato ai feedback del bambino, chiaramente molto soggettivi.

E se abbiamo Mozart in casa? Aiutiamolo a coltivare il sogno, ma non sogniamo al posto suo

E se il bambino ha davvero talento? Che fare? Sicuramente il consiglio di un valido insegnante è fondamentale ad orientarci nel proseguimento degli studi e a valutare il corretto sviluppo musicale.

Il compito dei genitori è invece di capire le vere inclinazioni dei figli ed incentivarle, senza false aspettative. Non sarà un calciatore perché noi avremmo voluto esserlo. Ma sarà un bambino felice prima, ed un adulto equilibrato poi, se saremo in grado di capire le sue vere passioni e valorizzarle, senza proiettare le nostre aspirazioni su di lui. Vladimir Nabokov diceva che “… Esiste una sola scuola: quella del talento”. Impariamo dunque ad ascoltare i piccoli, lasciandoli liberi di scoprire cosa amano davvero. E se hanno la fortuna di essere portati per la musica o la danza o la pittura, accettiamo la cosa senza caricarci e caricarli di aspettative: hanno bisogno di una famiglia che li sostenga nei momenti di difficoltà, ma che li aiuti a vivere serenamente l’infanzia.

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