Non si può insegnare senza emozionare

Sempre più l’educare appare disgiunto dall’emozionare. Pordenone, incontro insegnanti e genitori di bambini di scuole elementari. Invito le maestre presenti a una semplice prova. Chiedo loro, quando l’indomani passeggeranno tra i banchi, di accarezzare all’improvviso e senza motivo la testa di uno dei bimbi: otto volte su dieci quello farà un salto dalla sedia. La carezza pare essere diventata non tanto un’ovvia e imprescindibile forma di comunicazione affettiva, quanto un premio, un gesto eccezionale. 
Ed è bene che sia così – interviene con voce perentoria una signora, – mando a scuola mia figlia perché venga istruita, non accarezzata…
Cosa intende la signora per insegnare? Come si fa a educare senza relazione, come si può stabilire un rapporto con un bimbo dove non sia prevista una comunicazione emotiva, quindi una carezza o un bacio?
Paolo Crepet

Alla base dell’espressione di sé non ci sono logica, numeri e dati, ma le emozioni: i neuroscienziati hanno dimostrato che le emozioni attivano circuiti neurali antichi ed estremamente sofisticati, in grado di interferire con i nostri pensieri fino a paralizzarli.
Questo principio deve essere alla base dell’agire educativo della famiglia e della scuola: la logica è fondamentale per lo sviluppo dell’essere umano, ma solitamente sono le emozioni ad avere la meglio. Ecco perché dobbiamo rimetterle al centro, rieducarle attraverso l’autorità, l’autorevolezza e la riflessione. Una scuola senza emozioni è una scuola povera. Una famiglia senza emozioni è una famiglia vuota.

FONTI

P. Crepet, La gioia di educare, Einaudi, 2015

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