RISPETTARE UN BAMBINO NON SIGNIFICA FARGLI FARE QUELLO CHE VUOLE

rispettare i bambini

“L’educazione non è rispetto delle regole ma rispetto degli uomini”.
Anonimo

Un tempo, le regole erano al centro dell’azione educativa. Il rispetto delle regole e dei compiti assegnati era sinonimo di buona educazione, di buona scuola. Quando la psicologia dell’infanzia e dello sviluppo si è accorta dei danni prodotti da un sistema troppo rigido (pensiamo all’uso della disciplina fisica e delle punizioni corporali), insieme alle regole abbiamo gettato via anche il rispetto. Insomma, abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca.

Oggi abbiamo – giustamente – un gran numero di studi e testimonianze che parlano di diritti dei bambini e di rispetto dei bambini. Tuttavia, questi sono stati fraintesi: oggi pensiero dominante è quello secondo cui rispettare i bambini significa lasciare che facciano quello che vogliono. È solo negli ultimi anni che psichiatri, pediatri e psicologi sono intervenuti per ridimensionare questa leggenda metropolitana.

Ed è così che ci piace interpretare il pensiero di autori come Paolo Crepet, Paolo Sarti e Daniele Novara: non tanto come super-critici, ma come pionieri di una nuova idea di educazione, quella secondo cui rispettare un bambino (o un adolescente) non significa fargli fare tutto quel che vuole. Il rispetto, a nostro avviso, è frutto della responsabilità educativa.

Cedere a un capriccio, per fare un esempio, non è sinonimo di rispetto: è il contrario. Insegnare a un bambino che pestando i piedi otterrà il giocattolo che vuole non significa fargli del bene, ma farlo crescere in una bolla ideale, completamente avulsa dalla realtà.

Ma come possiamo diventare adulti rispettosi dei bambini? Dobbiamo essere coraggiosi e fare quello che ci sembra giusto, non quello che ci sembra comodo. Dobbiamo cominciare a pensarci educatori.

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