Isidoro, il pirata del tesoro

Testo di: Eleonora Callegari

Isidoro Prenditutto era un vero pirata dalla testa ai piedi, compreso bandana, spada, cappello a tricorno, senza benda nera perché ci vedeva bene da entrambi gli occhi, neri come la pece e con espressione truce, come si conviene al proprio stato.

Era cresciuto in una famiglia di pirati e aveva ereditato dal padre un grosso libro di “Mappe del tesoro”, perciò era sempre per mare col suo veliero battente la solita bandiera nera col terribile teschio bianco.

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Non che gli dispiacesse l’oceano quando i delfini lo accompagnavano saltando festosi, quando il sole si tuffava al tramonto e nasceva all’alba nell’oro. E la notte poi, con tutte quelle stelle… ma, ecco, se si scatenava la tempesta con onde gigantesche, ne avrebbe volentieri fatto a meno.

Dunque, ancora una volta, sbarcò con la propria ciurma, sulla solita isola di palme e jungla. Improvvisamente, mentre stava esplorando quel palmeto… Toc, una noce di cocco quasi gli cadde in testa. Poi un’altra e ancora, ancora, una vera pioggia investì i pirati. Era il non proprio benvenuto di un branco di scimmie dispettose che li costrinsero a cercare rifugio nel folto della foresta.

Seguendo le indicazioni della mappa arrivarono ai piedi di una montagna, dove scoprirono uno stretto passaggio ed entrarono con circospezione.

Una grande grotta si aprì ai loro occhi, altissima e in penombra. Nel bel mezzo c’era un grosso forziere, sicuramente contenente il tesoro. Era custodito da un pappagallo enorme che si mise a gridare minaccioso. Isidoro sfoderò la spada pronto alla lotta. Con sua grande sorpresa, l’uccello si mise a parlare:

“Se il tesoro vuoi arraffare
Cinque passi avanti dovrai fare
Se buono è il tuo cuore
Lo potrai avere”

Isidoro avanzò e si accorse che in realtà, il grande pappagallo non era che lo specchio deformante di uno piccolo che gli si posò sulla spalla. E non è finita qui, la grotta si animò, indigeni grandi e piccoli, uscirono da tutte le parti, guidati dal loro capo, tutto ornato di piume. Non erano ostili, anzi, lo accolsero sorridenti.

“Benvenuto, ti aspettavamo. Il Grande Spirito aveva predetto il tuo arrivo e noi abbiamo conservato il tesoro per te. Egli ci ha parlato della tua bontà (sì perché ciò che non vi ho detto è che, al di là di quel suo rude aspetto, Isidoro Prenditutto aveva un grande cuore. Gran parte dei suoi tesori venivano distribuiti, nottetempo, ai poveri delle città nelle quali sbarcava) e la prova l’ha confermato. Se il tuo animo fosse stato cattivo, una voragine si sarebbe aperta ai tuoi piedi facendoti precipitare”.
Il pirata era esterrefatto. Mai gli era capitato un tale evento. Ringraziò il capo e aprì la cassa.

Monete d’oro, gioielli, pietre preziose, perle: era un tesoro in piena regola. Ne consegnò una parte agli abitanti che li condussero al villaggio e festeggiarono per giorni con canti, falò, balli e buon cibo.

Giunse il giorno della partenza con il dispiacere di tutti. Il capo lo abbracciò e gli disse: “Il nostro tesoro più grande è stato la tua amicizia. Va in pace. I nostri cuori attenderanno il tuo ritorno”.

I pirati salutarono quel popolo accogliente con una punta di rimpianto e, già, nostalgia. Isidoro Prenditutto, pirata suo malgrado, tornò a veleggiare. La polena (statua di legno) della sua splendida nave, solcava le onde, quasi volando. Il coro dei gabbiani urlavano i saluti. I delfini lo aspettavano laggiù e la notte lo avrebbe sorpreso ancora col suo manto di stelle.
Il vento gli carezzava il viso e Loreto, il pappagallo diventato ormai amico inseparabile, stava appollaiato sulla sua spalla, dicendo: “Vai Isidoro, pirata del tesoro!”.

Era pronto per un’altra avventura, seguendo la prossima mappa, verso un’altra isola da scoprire.

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