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La leggenda del papavero

la leggenda del papavero

LA LEGGENDA DEL PAPAVERO

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta un campo di grano. I chicchi, qualche centimetro sotto la terra, si stavano svegliando ed erano pronti a germogliare e a trasformarsi in spighe dorate.
Uno di loro, il piccolo Chiccolino, non voleva diventare una spiga. Tra uno sbadiglio e un altro chiese al suo vicino: “Secondo te perché dobbiamo diventare proprio spighe di grano? Sono tutte dorate, tutte uguali. Io vorrei tanto diventare qualcos’altro, un fiore ad esempio. Ci sono fiori di tutti i colori”. “Un fiore? Ma i fiori non si mangiano, i chicchi di grano sì. È grazie alle spighe se gli uomini possono nutrirsi e sfornare del pane profumato. Tra tutte le piante, siamo quelle più utili”.
Il chicco di grano provò a fare la stessa domanda agli altri chicchi che si stavano svegliando vicino a lui e tutti gli diedero le stesse risposte. Qualcuno, addirittura, lo prese per matto. Una mattina, uno dei chicchi più grossi borbottò: “Un chicco di grano che vorrebbe diventare un fiore, questa è la sciocchezza più grande che io abbia mai sentito. Non dovresti andare in giro dicendo certe stupidaggini”. Mentre diceva così, due merli si posarono sopra di loro e cominciarono a beccare la terra alla ricerca di semi: l’inverno era appena finito e loro erano tremendamente affamati. Uno dei merli afferrò col becco il grosso chicco di grano, mentre l’altro prese Chiccolino, poi volarono verso i loro nidi.
Lungo il tragitto, Chiccolino – che non voleva finire divorato da un merlo – si divincolò finché scivolò dal becco dell’uccellino e cadde su una collina, accanto alla casetta della Primavera. Per fortuna, i semi, anche quando cadono da molti metri di altezza, non si fanno neppure un graffio. Il chicco fu raccolto dal Bruco Mangianoia, che lo trovò tra i fili d’erba e gli domandò curioso: “Da dove vieni? Non ho mai visto un chicco come te in questo prato”.
“Sono un chicco di grano e vengo da un campo molto, molto lontano. Un merlo mi aveva afferrato e voleva divorarmi, ma sono scivolato dal suo becco e sono precipitato fin qui”.
“Ti riporterò a casa” disse il bruco risoluto.
“Veramente” disse tentennando Chiccolino, “non sono sicuro di volerci tornare. Lì ci sono soltanto spighe di grano. So bene che il grano è importante, perché dà da mangiare agli uomini, ma io vorrei vivere tra i fiori, immerso tra mille colori. Anche i colori sono importanti: senza di loro non c’è bellezza e senza bellezza la vita è di una noia mortale”.
Il Bruco Mangianoia decise di portarlo nella casetta sulla collina. Quando furono dentro posò Chiccolino sul tavolino dipinto a fiori che si trovava nel salotto e chiamò la Primavera, a cui spiegò per filo e per segno il desiderio di Chiccolino.
Sentendo le sue parole, la Primavera esclamò: “Ben detto, giovane chicco”. Poi lo prese e lo immerse delicatamente in un bicchiere di legno, colmo di una pozione rosa dolce come il miele.
“Ecco, adesso non devi più preoccuparti: puoi tornare alla tua casa, ma non sarai uguale a prima”.
Il Bruco Mangianoia portò Chiccolino nel campo di grano e lo sotterrò insieme ai suoi fratelli.
Passarono le settimane e i semi divennero piante, ma Chiccolino non era come gli altri: si era trasformato in un papavero. A maggio, il suo fiore sbocciò tra le spighe: era meraviglioso.
“Che bello averti di nuovo tra noi” dissero le altre spighe. “Avevi ragione: a questo campo mancava un po’ di colore, ma adesso abbiamo anche quello”.
Da allora ogni campo ha i suoi papaveri, che incantano il cuore degli uomini con la loro bellezza.

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