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La vespa e le api

Testo di: Alessia de Falco & Matteo Princivalle

La vespa mandarinia (che, a dispetto del nome, era un calabrone!) non era capace di fare il miele. Aveva provato cento e una volta, collezionando fallimenti centouno, oltre a un mucchio di sputacchi impastati di polline e terra.

“Perché i miei genitori non mi hanno mandato alla scuola delle api?” si chiedeva, mentre andava a caccia di bruchi per smaltire la rabbia.
“Se mi avessero fatto studiare, oggi anch’io sarei un’ape provetta e farei tanto miele per me e per la mia famiglia. E invece, devo accontentarmi di dare la caccia ai vermi”.

Poco lontano dal vespaio c’era un bell’alveare, abitato da uno sciame di api giapponesi. Piccole, ordinate e grintose, lavoravano dall’alba al tramonto per raccogliere il nettare da trasformare in miele.

Guardandole, la vespa provava una rabbia infinita: erano così ordinate e industriose. In quella fabbrica, nessuno si sentiva fuori posto. Ciascuna di loro era un tassello importante dell’alveare. Lei invece era un’assassina feroce, che abitava in un brutto vespaio abitato da tante altre assassine.

Un giorno, la vespa mandarinia decise che se proprio non poteva fabbricare il miele, se lo sarebbe preso con la forza: si avvicinò all’alveare di soppiatto ed entrò, senza dare nell’occhio.

Raggiunse le arnie del miele e mangiò fino a saziarsi. Poi, dopo il gran banchetto, si stese a sonnecchiare. Quando si svegliò, davanti a lei trovò due operaie che la fissavano interdette.

“Che fare con quel ladro?”
“Dare l’allarme?
Far finta di niente sperando che se ne andasse da solo?”
“Darsela a gambe? No, questo era fuori discussione”.

Mentre le operaie pensavano, la vespa fu più veloce: morsicò le api lasciandole zoppicanti, poi volò fuori dall’alveare e fuggì.

Il miele le piacque così tanto che la vespa cominciò a rubarlo più spesso. Le povere api, disperate, non sapevano più cosa fare: la vespa era troppo forse e nessuna di loro voleva essere uccisa dal pungiglione di quell’assassina.Provarono a parlare con la vespa, ma quella non faceva altro che insultare e prendere a morsi chiunque si azzardasse a dirle qualcosa.

Quando tutto il miele fu rubato, le api decisero che non si poteva andare avanti così: senza miele, quell’inverno sarebbero morte di fame! E così, una di loro escogitò una soluzione: “Nessuna di noi può sfidare la vespa da sola, ma se unissimo le forze?”

Il giorno dopo, quando la vespa si avvicinò all’alveare, non trovò nessuno.
“Le api saranno scappate” pensò l’insetto, “tanto meglio per me. Mangerò l’intero alveare, pareti comprese”.

Ma quando si avvicinò all’ingresso, l’intero sciame di api – nascoste sotto l’alveare, lo circondò da tutti i lati. Poi cominciarono a sfregare le ali tra loro, così forte che l’aria divenne caldissima.

Per le api, il calore era poca cosa: erano abituate a lavorare chiuse nell’alveare sotto il Sole d’estate.
Ma la vespa non lo sopportava: le sembrava di essere rinchiusa dentro a un forno.
Dopo qualche minuto, la vespa cadde a terra tramortita e le api, di nuovo, sciamarono intorno a lei, circondandola.
“Basta! Smettetela! Mi ucciderete!” implorò la vespa.

Le operaie si lanciarono certi sguardi e si dissero qualcosa.

Ma come sarà finita la storia? La vespa fu arrostita dalle api? Ebbe salva la vita e si mise a studiare per fare il miele?
Chi può dirlo: per scoprirlo, servirebbe un esperto che conosca la lingua delle api e dei calabroni, per ascoltare il finale direttamente da loro.

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