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Barbablu

Barbablu è una fiaba di Charles Perrault, adatta ai bambini da 5 anni in su.

Barbablu

C’era una volta un uomo ricchissimo: era il proprietario di ville e palazzi, con piatti d’oro e d’argento e bauli pieni di gemme. Tuttavia, quest’uomo, per disgrazia, aveva la barba blu, che lo rendeva spaventoso. Quando camminava per le strade, tutti lo evitavano e le ragazze, addirittura, se la davano a gambe. Vicino al suo palazzo abitava una signora per bene, con due figlie bellissime. Un giorno, Barbablu (così era chiamato nella cittadina quell’uomo), bussò alla sua porta e chiese alla signora di poter sposare una delle due figlie. Sarebbe stata lei a scegliere quale.

Ma nessuna delle due aveva intenzione di sposare Barbablu, per via del suo aspetto ripugnante. E poi, quell’uomo aveva già sposato parecchie donne e nessuno sapeva che fine avessero fatto. Barbablu, per convincere le ragazze della sua bontà, le invitò per una settimana intera in una delle sue ville, insieme alle loro amiche e a molti altri ospiti. Fu una settimana di festeggiamenti, banchetti e divertimenti di ogni tipo. La più piccola delle ragazze, cominciò a pensare che in fondo era un brav’uomo e un gran signore e decise di sposarlo. Ma appena un mese dopo il matrimonio, Barbablu disse alla moglie che doveva partire per un affare molto importante e che sarebbe stato via almeno un mese. Raccomandò alla ragazza di divertirsi e di invitare le sue amiche perché le facessero compagnia.

L’uomo consegnò alla moglie un mazzo di chiavi d’oro.
“Ecco a te: queste sono le chiavi del guardaroba, queste quelle degli armadi in cui tengo i piatti d’oro e d’argento, queste poi sono le chiavi della cantina, dove troverai il vino e i formaggi migliori; queste sono le chiavi dello scrigno in cui c’è il denaro e questa è la chiave che apre e chiude il portone della villa.”
“Questa infine” disse indicando una piccola chiave arrugginita “apre la porta dello stanzino in fondo al corridoio. Puoi andare dove vuoi, aprire tutte le porte che vuoi ma quello stanzino deve rimanere chiuso. Se dovessi aprirlo, la mia rabbia sarà terribile e non so dirti cosa ti farò.”
Poi, Barbablu salì sulla sua carrozza e partì.

I primi giorni, la ragazza invitò le sue amiche e diede grandi feste; tuttavia, la curiosità di sapere cosa ci fosse nello stanzino non la abbandonava. E fu così che una sera, dopo aver salutato tutte le sue amiche, scese al pian terreno e aprì la porticina. Le finestre erano tutte chiuse e non si vedeva nulla; dopo un istante, però, le luci del corridoio rischiararono anche lo stanzino: il pavimento era coperto di sangue e alle pareti erano appesi i corpi di tutte le donne che Barbablu aveva sposato: erano tutte morte scannate. La ragazza prese un terribile spavento, così grande che la chiave dello stanzino cadde per terra e si sporcò di sangue. Non ci fu modo di ripulirla: la chiave, infatti, era stregata.

Barbablu tornò il giorno seguente: disse alla moglie che aveva ricevuto una lettera e che i suoi affari erano già conclusi. Poi le chiese indietro il mazzo di chiavi. La ragazza gliele restituì tremando come una foglia e l’uomo capì subito cos’era successo.
“Com’è che la chiave dello stanzino è macchiata di sangue?”
“Io non ne ho idea.”
“Io ne ho qualcuna: perché sei entrata? Ti avevo proibito di aprire la porta dello stanzino, ma tu non mi hai ascoltato. Adesso dovrò ucciderti” tuonò Barbablù.

La ragazza, spaventata a morte, chiese un attimo di tempo per pregare e chiedere perdono per i suoi peccati. Barbablu le concesse mezz’ora di tempo. Salì le scale e si mise a guardare fuori dalla finestra: se fossero arrivati i suoi fratelli, che le avevano promesso di venire a trovarla. Solo loro avrebbero potuto salvarla. Ma fuori c’era solo il sole che splendeva e l’erba che si agitava al vento.
“Scendi giù, o verrò io a prenderti” urlò Barbablu dal salone di sotto.
La ragazza guardò di nuovo fuori: c’era un gran polverone e forse… no, era solo un gregge di pecore.
“Sto salendo” tuonò Barbablu, che aveva in mano un coltellaccio.
La ragazza guardò fuori per l’ultima volta ed ecco: vide due cavalieri scintillanti che galoppavano verso la villa. Erano i suoi fratelli, due valorosi moschettieri del Re.
Barbablù buttò giù la porta con un calcio. La ragazza si buttò a terra, piangendo disperata.
“Non serve piangere: mi hai disobbedito e ora ti ucciderò”.

Poi la prese per i capelli e sollevò per aria il suo coltellaccio. Ma proprio in quel momento, entrarono i due cavalieri, che vedendo Barbablu con il coltellaccio sguainato sfoderarono le loro pistole e…pum! lo colpirono a morte. E così la ragazza ereditò tutte le ricchezze che erano state di Barbablù. Una parte le donò alla sorella, e con il rimanente visse felice e contenta, dopo aver sposato un buon cavaliere.

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Tag: barbablu, storia barbablu

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Il principe felice

Il principe felice è un racconto per bambini di Oscar Wilde, adatta ai bambini da 5 anni in su.

Il principe felice

C’era una volta, nella piazza di un paese, la statua di un principe felice: era una statua ricoperta d’oro e tempestata di gemme e gioielli. Gli abitanti del paese l’avevano costruita in ricordo di un principe che aveva governato quelle terre molti anni prima: si diceva che non ci fosse mai stata una persona più felice di lui.
Un giorno d’autunno, una rondine si posò sulla statua: stava volando verso Sud, per ripararsi dal freddo in qualche oasi d’Egitto, ma era stanca e decise di fare una sosta.

Durante la notte, la rondine si accorse che la statua del principe piangeva a dirotto. “Cosa succede?” chiese.
“Guarda il mio paese” sospirò la statua del principe “è ridotto in miseria, ed è tutta colpa mia. Invece di preoccuparmi per queste persone, ho trascorso la vita a danzare, cacciare e dar feste, e questo è il risultato. Eppure, potrei ancora fare qualcosa”.
La rondine non capiva cosa volesse dire la statua.
“Vedi quella donna laggiù? Suo figlio è malato e lei non ha i soldi per curarlo. Però, se potessi darle uno dei miei occhi…è un rubino grosso come un uovo: le basterebbe per curare il bambino e a sfamarlo per una vita intera. Anzi, non è che potresti occupartene tu?” chiese la statua alla rondine.
La rondine non aveva in programma di rimanere lì: il vento cominciava ad essere freddo e doveva assolutamente partire per l’Egitto. Tuttavia, le lacrime del principe e il suo desiderio la convinsero a fermarsi. Prese uno degli occhi della statua e la portò alla donna, spiegandole che era un dono del principe felice.

Il giorno dopo, la statua riprese a piangere. “Guarda quei bambini: sono orfani e non mangiano da due giorni. Se potessero avere l’altro dei miei occhi, sarebbero sistemati per la vita. È uno zaffiro cinese, vale una fortuna”.
Per la seconda volta, il principe felice convinse la rondine a fermarsi e a portare lo zaffiro ai poveri bambini.

Il terzo giorno, la statua piangeva ancora. ” Se solo potessi dare la mia corona al mugnaio, avrebbe di che vivere, lui e tutti i suoi dieci figlioli”. E la rondine, che ormai aveva preso a cuore quel paese, staccò la corona dal capo della statua e la donò al mugnaio.

Per tutto l’autunno la rondine rimase al paese, aiutando il principe felice a distribuire i suoi gioielli ai poveri della città. Quando arrivò l’inverno, però, l’uccellino si ammalò per il freddo. La statua del principe le consigliò di partire per l’Egitto, ma la rondine era troppo debole e rimase appollaiata sulla statua. A dicembre, la rondinella spirò e cadde ai piedi del principe.

Nel frattempo, il sindaco del paese, vedendo la statua spoglia di tutti i suoi gioielli, ordinò di farla a pezzi e di fonderla: “Al suo posto” disse “metteremo una bella statua in mio onore”. E così fecero, con l’eccezione del cuore del principe, che non ne voleva sapere di fondersi. Non appena la statua fu pronta, il sindaco la fece collocare al centro della piazza. Il cuore di bronzo del principe e il corpicino della rondine, invece, furono gettati tra i rifiuti.

Ma questa storia non è destinata ad un finale così triste: infatti, dopo il Natale, passò di lì un angelo, che vide il cuore e la rondinella coperti di neve. “Due creature tanto buone non possono giacere abbandonate tra i rifiuti” pensò l’angelo. Così, li raccolse e li portò con sé in Paradiso, dove vivono felici ancora oggi.

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I musicanti di Brema

I musicanti di Brema

J. e W. Grimm

Un contadino aveva un vecchio asino: l’animale aveva trasportato centinaia di sacchi di farina al mulino, ma ormai era vecchio e stanco e non poteva più lavorare. Così, il contadino pensò di uccidere l’animale e di acquistare un asino giovane e forte. Ma la bestia, che aveva intuito i pensieri del padrone, una notte fuggì e si ritrovò sulla strada per Brema.

L’asino pensava di entrare nella banda municipale: lì si sarebbe guadagnato da vivere suonando. Lungo la strada, incontrò Zampalesta, un vecchio segugio. Era sdraiato lungo la strada e respirava a fatica.
“Zampalesta, amico mio, che ci fai lì per strada?” gli chiese l’asino.
“Ormai sono vecchio amico mio, e non riesco più a cacciare: così il mio padrone voleva uccidermi; per fortuna me ne sono accorto in tempo e me la sono data a gambe. Ma adesso, come farò a guadagnarmi qualcosa da mangiare?”

L’asino suggerì al cane di recarsi a Brema insieme a lui: sarebbero entrati insieme nella banda municipale. I due vecchi compagni erano lungo la strada quando incontrarono un vecchio gatto spelacchiato.
“Baffone, che ti è successo? Cosa ci fai qui in mezzo alla strada?” chiese Zampalesta.
“Il mio padrone voleva uccidermi: sono troppo vecchio per prendere i topi e non gli servo più a nulla. Per fortuna sono riuscito a scappare”.

i musicanti di brema

E l’asino propose anche a lui di recarsi a Brema per diventar musicista. I tre percorsero un tratto di strada, finché, appollaiato su un recinto di legno, videro un gallo che cantava a squarciagola.
“Perché strilli tanto? Ci assorderai” lo rimproverò il gatto.
“Canto perché domani la mia padrona mi taglierà il collo e mi metterà in forno; l’ho sentito dire dalla cuoca. E finché posso, voglio cantare”.

Gli altri animali, non senza fatica, lo convinsero a seguirli e a diventare musicista a Brema; del resto, qualsiasi cosa è meglio della morte. Il sole tramontò, e Brema era ancora lontana. Così, gli animali si addentrarono nel bosco per passare la notte. Il gallo si arrampicò sulla cima di un albero: da lì, vide una casa poco distante, con le finestre illuminate: “Vedo una casa qui vicina” disse “perché non ci sistemiamo lì per la notte?”
Gli animali si avvicinarono alle finestre e videro una banda di briganti, armati fino ai denti, che mangiavano e bevevano a più non posso.

“Dovremmo scacciarli: guardate quante prelibatezze in quella casa. Potremmo riposarci e rifocillarci per bene”.
E così, gli animali salirono l’uno sull’altro: il cane sull’asino, il gatto sul cane e il gallo sul gatto. Poi, ragliando, abbaiando, miagolando e cantando a squarciagola, mandarono in frantumi il vetro di una finestra ed entrarono in casa.
I briganti, temendo che si trattasse di un fantasma, scapparono nel bosco. Gli animali intanto si erano sistemati e avevano mangiato di tutto e di più, poi avevano spento le luci e si erano messi a dormire. Intanto, i briganti, che tremavano per il freddo in mezzo al bosco, mandarono il più giovane di loro ad ispezionare la casa.

Questi, entrò in cucina e accese una candela; non appena l’avvicinò al gatto, però, questi gli saltò addosso, soffiando e graffiandogli il viso. Il brigante, spaventato a morte, scappò dalla porta sul retro; lì, però, c’era il cane che gli morse una gamba. Più avanti, mentre correva via dal cortile, l’asino gli diede un bel calcione. Intanto, il gallo, strillava a più non posso: “Chicchirichì!”
Il giovane brigante, raggiunto il resto della banda, disse loro: “La casa è infestata! C’è una terribile strega che mi ha graffiato la faccia con i suoi artigli. E alla porta, c’era un assassino che mi ha ferito la gamba col suo coltello. E in giardino, c’era un mostro nero che mi ha colpito con i suoi zoccoli.  E sul tetto, c’era il giudice che strillava: prendetelo!”.

Da quel giorno, i banditi non si avvicinarono mai più alla casa nel bosco. E gli animali? Invece di andare a Brema e diventare musicanti, si fermarono lì da quanto si trovavano bene.

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Tremotino

Tremotino è una fiaba dei fratelli Grimm adatta per i bambini da 4 anni in su.

Tremotino

C’era una volta un mugnaio, terribilmente povero, che aveva però una figlia bellissima. Un giorno, parlando con il re, gli disse: “Mia figlia sa trasformare la paglia in oro”. Il re, che adorava l’oro, ordinò al mugnaio di portargli dinnanzi la sua figliola.

Poi, la portò in una stanza piena di paglia e le disse: “Se domani non avrai trasformato in oro tutta questa paglia, morirai”. Chiuse la porta e lasciò la ragazza da sola. La poveretta stava seduta al centro della stanza, senza alcuna idea di come avrebbe potuto salvarsi. Ad un certo punto, però, la porta si aprì: entrò un omino che disse: “Buonasera signorina, perché piangi?”.

La fanciulla rispose: “Devo trasformare questa paglia in oro entro domattina, ma non ne sono capace”.
“E se lo facessi al posto tuo, cosa mi daresti?” gli chiese l’omino. “La mia collana”.
L’omino prese la collana e si mise al lavoro; andò avanti senza sosta fino al mattino ed ecco, tutta la paglia si era tramutata in oro.

Quando il re aprì la porta ne fu molto soddisfatto: portò la figlia del mugnaio in una stanza molto più grande e le disse che entro la mattina seguente avrebbe dovuto trasformare anche quella paglia in oro. Anche questa volta, comparve l’omino che chiese alla fanciulla: “Che cosa mi dai se trasformo quest’oro in paglia al posto tuo?”
“L’anello che ho al dito” propose la ragazza.
L’omino prese l’anello e si mise al lavoro.

Il re fu molto soddisfatto. Così, porto la ragazza in una stanza ancora più grande e le disse: “Entro domani, dovrai aver trasformato in oro anche questa paglia. Se ci riuscirai, diventerai la mia sposa”. Non appena la ragazza fu rimasta sola, l’omino le chiese: “Cosa mi darai se ti filo la paglia anche questa volta?”
Ma alla ragazza non era rimasto più nulla. “Allora promettimi che non appena sarai diventata regina, mi darai il tuo primo bambino”.
La ragazza promise e l’omino trasformò la paglia in oro al posto suo.

Il re, la mattina seguente, vide tutto l’oro e decise di sposare la ragazza. Dopo un anno, la regina diede alla luce un bel maschietto; si era dimenticata della sua promessa, ma d’un tratto entrò nella sua stanza l’omino, a reclamare il suo bambino. La regina gli offrì oro e gioielli, ma non ci fu modo di corromperlo. La regina scoppiò in lacrime.
“E va bene, se entro tre giorni riesci a scoprire il mio nome, potrai tenerti il bambino”.

La regina inviò i suoi uomini in lungo e in largo per il regno a domandare e a cercare di scoprire l’identità di quell’omino. Il giorno seguente, non appena l’omino si presentò al palazzo, cominciò con tutti i nomi che le avevano suggerito: Gaspare, Melchiorre, Baldassarre e tantissimi altri nomi.
“Non mi chiamo così!” rispondeva ogni volta l’omino.

Anche il secondo giorno la regina provò con una sfilza di nomi, ma nessuno era il nome dell’omino. Così, giunse il terzo giorno; un messaggero tornò dalla regina dicendole che, nel folto del bosco, aveva visto un buffo omino saltellare intorno a un fuoco canticchiando:

“Oggi fo il pane,
la birra domani, e il meglio per me
è aver posdomani il figlio del re.
Nessun lo sa, e questo è il sopraffino,
Ch’io porto il nome di Tremotino!”

La regina si rallegrò; non appena l’omino giunse a palazzo gli disse: “Ti chiami Tremotino! Tremotino è il tuo nome.”
L’omino cominciò a pestare i piedi per terra, gridando “Te l’ha detto il diavolo, te l’ha detto il diavolo!”. Saltava così forte che affondò nella terra fino alla cintura.

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Il pifferaio magico

Il pifferaio magico è una fiaba dei fratelli Grimm, adatta ai bambini da 5 anni in su.

Il pifferaio magico

C’era una volta la città di Hamelin, in Germania: i suoi abitanti erano conosciuti ovunque per la loro avarizia. Quando si accorsero di quanto spendevano a nutrire i loro gatti, decisero di mandarli via dalla città. E così, Hamelin, oltre che per i suoi abitanti avari e antipatici, diventò famosa per essere l’unica città del paese senza l’ombra di un gatto.

Questa notizia fece molto piacere ai topi, che arrivarono in massa. In men che non si dica, infestarono le cantine, i magazzini e i granai. Così, Hamelin diventò famosa, oltre che per i suoi abitanti avari e antipatici e per essere l’unica città del paese senza l’ombra di un gatto anche per i suoi topi.

C’erano topi di tutte le forme e le dimensioni: dagli innocenti topini di campagna alle pantegane, grosse come uno scarpone da montagna. Gli abitanti di Hamelin erano disperati e nemmeno il sindaco sapeva cosa fare. Un giorno, però, si presentò alle porte del municipio un piccolo ometto che disse al sindaco: “Io vi libererò dai topi, ma voglio mille monete d’oro”. Il sindaco fece i suoi conti: mille monete erano la metà di quanto si spendeva per mantenere i gatti. Così accettò.

L’omino prese dalla sua sacca uno zufolo e cominciò a suonare. Come per magia, i topi uscirono dalle cantine e dai granai e lo seguirono, incantati dal suono dello zufolo. Dalle case uscirono migliaia di topi, che seguirono l’omino fino al fiume. Tutti i topi di Hamelin erano usciti dalle loro tane per seguirlo: non ne era rimasto nemmeno più uno.

Il pifferaio si immerse nell’acqua fino alla cintura e i topi lo seguirono, nuotando come potevano. Presto, però, i roditori furono trascinati via dalla corrente impetuosa e morirono affogati. Il pifferaio tornò a riva, si scrollò l’acqua di dosso e tornò ad Hamelin, per ottenere la sua ricompensa.

“E tu vorresti mille monete d’oro per aver suonato lo zufolo?” gli disse il sindaco. “Da me non avrai proprio niente, cialtrone che non sei altro”. L’omino fu cacciato dal municipio e anche gli altri abitanti della città lo presero a male parole.

“Ah sì?” disse loro il pifferaio magico “Pagherete cara la vostra avarizia! Ah se vi pentirete”. Poi si avviò verso le porte della città di Hamelin, tirando fuori dalla sua sacca lo zufolo. L’omino cominciò a suonare ed improvvisamente, dalle case e dalle scuole uscirono i bambini. Proprio come era successo ai topi, tutti i bambini della città vennero incantati dal suono dello zufolo magico del pifferaio e lo seguirono correndo e saltellando.

I loro genitori cercarono di fermarli, ma non ci fu niente da fare: i bambini uscirono dalla città. Il pifferaio camminò suonando fino alle montagne; poi, fece entrare tutti i bambini in una grotta e sigillò l’ingresso con una pietra. Da quel giorno, i bambini non sono mai tornati in città e nessuno sa che fine abbiano fatto. Solo un piccolo rimase fuori dalla grotta: era zoppo e si era fermato nel bosco, esausto.

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Rosaspina

Rosaspina è una fiaba dei fratelli Grimm, adatta ai bambini da 4 anni in su.

Rosaspina

C’era una volta un regno, a cui mancava una principessa. Un bel giorno, al re e alla regina nacque una bambina. Per festeggiare quell’evento fortunato, invitarono al loro castello tutti i sudditi. Ciascuno di essi fece un dono diverso alla bambina: chi le donò dei capelli biondissimi, chi un abito scintillante, chi la bellezza e chi la gentilezza.

Tuttavia, il re, si era scordato di invitare una delle tredici fate del regno, che non fu contenta di scoprirlo. Mentre tutti erano intenti a mangiare e festeggiare, apparve in una nuvola di fumo verdastro e lanciò una terribile maledizione: “Questa bambina, non appena avrà compiuto quindici anni, si pungerà il dito con un fuso e cadrà addormentata, per cento anni”.

Dette queste parole, scomparve così com’era arrivata. Il re e la regina erano disperati per la sorte della loro bambina. Per quindici anni il sovrano mandò i suoi uomini in ogni angolo del regno a bruciare tutti i fusi. Tuttavia, proprio il giorno del suo quindicesimo compleanno, la principessa stava giocando nel castello quando vide una strana luce provenire da una stanza. Si avvicinò incuriosita e aprì la porta. In un angolo, c’era un fuso di legno e una vecchina seduta, che filava la lana.

“Cos’è quest’oggetto? Non ne ho mai visto uno prima d’ora” domandò la principessa. La vecchia sorrise: “serve a realizzare i mantelli e gli abiti che indossi. E’ facile da usare, vuoi provare insieme a me?” La principessa si avvicinò, ma non appena si sedette e avvicinò le mani al fuso, la maledizione si compì: si punse un dito e crollò stesa per terra, addormentata. La vecchina, che altri non era se non la fata malvagia, la adagiò in un lettino nella stanza, poi scomparve.

Pian piano, tutti gli abitanti del castello caddero addormentati: prima il re e la regina, poi i cavalieri, infine i servi e anche gli animali. Non c’era anima viva (e sveglia) nel raggio di un miglio. Intorno al castello cominciarono a crescere i rovi, rovi così alti che superavano perfino le sue torri. Nessun abitante del regno vi mise più piede e cominciarono a chiamarlo “Il castello di Rosaspina”. Numerosi principi provarono negli anni a farsi strada tra i rovi per salvare la bella principessa dal suo sonno, ma nessuno riusci a compiere l’impresa: rimanevano tutti intrappolati tra i rovi, dove venivano divorati dai lupi, dagli uccelli e dagli insetti.

Trascorsero così novantanove anni. Al compimento del centesimo, qualcosa cambiò: un principe arrivò da lontano; aveva sentito di Rosaspina da suo nonno, che un tempo era passato di lì. Si era subito innamorato della bella principessa addormentata e aveva così deciso di salvarla. Si avvicinò al muro di rovi, cercando di aprirsi un varco con la spada, ma la maledizione si stava ormai sciogliendo: le spine dei rovi si tramutarono in rose profumate e il principe riuscì a passare senza fatica. Passò oltre il cortile del castello, dove i servi dormivano distesi, superò il corridoio pieno di guardie, sdraiate sui fianchi, raggiunse la sala del trono e da lì si avviò alla torre più alta. In cima alle scale, trovò una piccola porticina di legno e al suo interno, ecco Rosaspina nel suo lettino.

Il principe non riusciva a distogliere il suo sguardo dalla bellissima principessa addormentata. Si avvicinò a lei sempre di più, poi le diede un bacio. Come d’incanto Rosaspina aprì gli occhi: il suo sonno era finito, cent’anni erano passati e il principe aveva spezzato la maledizione che aveva colpito il castello. I due si sposarono e vissero così felici e contenti.

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Tag: rosaspina, storia rosaspina, fiaba rosaspina

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