Categoria: storie

La principessa sul pisello

La principessa sul pisello è una fiaba di Hans Christian Andersen adatta per i bambini da 3 anni in su.

La principessa sul pisello

C’era una volta un principe, con un bel castello e un regno grazioso. Purtroppo per lui, però, non riusciva a trovare una principessa da sposare nonostante avesse viaggiato in lungo e in largo per trovarne una. Una sera d’autunno, mentre fuori pioveva a dirotto, qualcuno bussò alle porte del castello. Fu il principe in persona ad aprire: davanti a lui c’era una ragazza completamente infradiciata, con l’acqua che le usciva perfino dalle scarpe e dai vestiti.
“Sono una principessa, mi sono persa mentre cercavo di recuperare il mio cavallo e adesso non so dove andare. Potreste ospitarmi per questa notte?”.
Il principe non sapeva se crederle o meno, tuttavia la ragazza continuava ad affermare di essere una vera principessa. Così, la fece entrare. La vecchia regina, però, decise di metterla alla prova: andò nella camera degli ospiti, sollevò il materasso e ci mise sotto un pisello. Poi mise venti materassi, uno sopra l’altro, e venti cuscini.
Il principe fece accomodare la principessa nel letto con i venti materassi e la ragazza dormì lì. La mattina seguente, durante la colazione, la regina le chiese come aveva dormito.
“Malissimo: non ho chiuso occhio per tutta la notte, c’era qualcosa sotto i materassi che mi ha lasciato un gran livido!”.
Il principe e la regina capirono così che era sincera: solo una vera principessa si sarebbe potuta accorgere di un pisello sotto venti materassi! I due si sposarono e vissero tutti felici e contenti.

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La piccola fiammiferaia

La piccola fiammiferaia è una fiaba di Hans Christian Andersen.

La piccola fiammiferaia

Era la sera di Capodanno: fuori nevicava e soffiava un vento gelido. Sotto la neve, c’era una bambina che vagava solitaria, senza scarpe e senza berretto. In verità, quando era uscita di casa, aveva un paio di ciabatte, che erano state della sua mamma ed erano troppo grandi: una l’aveva persa per schivare due carrozze che correvano di gran carriera e l’altra gliel’aveva portata via un ragazzo, per scherzo. Così, la bambina camminava con i piedini congelati.

In grembo, teneva due scatole di fiammiferi che avrebbe dovuto vendere. Purtroppo, però, faceva così freddo che la gente era rimasta chiusa in casa, e così non era riuscita a vendere nemmeno un fiammifero. La piccola fiammiferaia non poteva nemmeno tornare a casa, così a mani vuote: suo padre l’avrebbe picchiata.

La bambina si rannicchiò nell’angolino formato da due case; prese uno dei suoi fiammiferi e lo strofinò contro il muro, per riscaldarsi un poco. Il fiammifero si accese di una luce bizzarra, come fosse una stufa di ferro, che scoppiettava allegramente.La piccola allungò i piedi, per avvicinarli al fuoco, ma il fiammifero si spense e lei si trovò sola al freddo, con un fiammifero bruciato tra le dita.
La bambina accese un secondo fiammifero: alla luce, le parve di vedere una tavola imbandita con un’oca arrostita ripiena di mele e prugne. La piccola si alzò per avvicinarsi al banchetto, ma anche quel fiammifero si spense e lei si trovò a camminare nella neve gelida.
“Ancora uno!” disse la bambina, e accese un terzo fiammifero. Questa volta, nella luce, immaginò di trovarsi di fronte un enorme albero di Natale, con centinaia di candeline che scintillavano tra le sue fronde.

Quando il fiammifero si spense, le candeline volarono in cielo, ed ecco la volta stellata: la bambina ripensò alla sua nonna, che era volata in cielo tanto tempo prima; accese un quarto fiammifero, strofinandolo sul muro. Ed ecco, nella luce, comparve la sua nonna, con uno scialle sulle spalle e il suo lungo grembiule.

“Nonna!” gridò la piccola, cercando di abbracciarla “portami con te! Presto sparirai anche tu, come la stufa, l’oca arrosto e l’albero di Natale. Portami con te”. La piccola fiammiferaia accese uno dopo l’altro tutti i fiammiferi che le rimanevano: la luce si fece sempre più forte, sembrava rischiarare l’intera città. La nonna prese in braccio la sua bambina e insieme volarono in cielo, tra le braccia di Dio.

Il giorno dopo, i passanti trovarono la bambina senza vita, rannicchiata tra due case, con il sorriso tra le labbra. “Poverina” pensarono “avrà provato a riscaldarsi un poco con i fiammiferi”. Ma nessuno di loro poteva immaginare tutte le cose belle che la piccola aveva visto in quella sera di Capodanno.

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Il gigante egoista

Il gigante egoista è una fiaba di Oscar Wilde, adatta ai bambini da 5 anni in su.

Il gigante egoista

Oscar Wilde

C’era una volta un gigante, che abitava in una casa nel mezzo del bosco. La casa era circondata da un giardino fiorito e da un frutteto che produceva frutta e verdura prelibata tutto l’anno. Un giorno, il gigante andò a trovare il suo amico orco e partirono insieme per fare un viaggio in giro per il mondo.
In questi anni, i bambini dei paesi vicini cominciarono a frequentare il giardino del gigante: si trovavano lì dopo la scuola e giocavano fino al tramonto. Quando il gigante tornò dal suo viaggio, trovò il suo giardino invaso dai bambini che correvano e si rincorrevano. Il gigante non sopportava la confusione: scacciò tutti i bambini e costruì un muro di pietre e mattoni intorno al giardino. Il gigante trascorse l’inverno da solo, accanto al camino; i bambini, invece, dovettero trovare altri luoghi in cui giocare.

Quando tornò la primavera il ghiaccio cominciò a sciogliersi, ma nel giardino del gigante non spuntò nessun fiore: il giardino, senza bambini, si era rifiutato di svegliarsi e aveva continuato a dormire. Il gigante fece finta di niente e rimase rintanato nella sua casa. Arrivò l’estate, ma il giardino rimase coperto di ghiaccio. Il gigante si prese un brutto raffreddore e fu costretto a letto. Trascorse l’estate e l’autunno successivo tra il letto e la finestra, a controllare che nessun bambino scavalcasse il suo muro. Con l’inverno, il raffreddore peggiorò: il gigante rimase a letto.

Un bel giorno, il gigante fu svegliato dal canto di un uccellino: gli parve il suono più bello che avesse mai udito. Il gigante scese dal letto con fatica e si affacciò alla finestra. Nel giardino c’erano tre bambini che si rincorrevano. Sotto i loro piedi, il ghiaccio si stava sciogliendo e i primi fiori primaverili stavano sbocciando.

Il gigante uscì di casa. I bambini, appena lo videro, si nascosero dietro gli alberi per la paura. Ma il gigante li rassicurò: “Non abbiate paura, non voglio farvi del male. Vorrei restituirvi il mio giardino: così avrete un posto in cui giocare tutti insieme. Le parole del gigante sciolsero il manto di ghiaccio che aveva avvolto il giardino. I bambini corsero in paese a chiamare i loro amichetti e sparsero la voce che il gigante era diventato buono. Nel frattempo, il vecchio gigante buttò giù il muro che aveva costruito per nascondere il giardino: mentre lavorava, si sentiva pieno di energie e felice e così guarì dal suo raffreddore. Da quel giorno, il gigante egoista divenne un gigante gentile, che trascorreva le sue giornate in giardino a giocare con i bambini.

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I vestiti nuovi dell’imperatore

I vestiti nuovi dell’imperatore è una fiaba di Hans Christian Andersen adatta ai bambini da 5 anni in su.

I vestiti nuovi dell’imperatore

C’era una volta un imperatore che pensava soltanto al suo guardaroba. Spendeva tutte le proprie ricchezze acquistando nuovi vestiti e ogni giorno cambiava almeno dieci abiti diversi. Se qualcuno lo cercava, potete star certi che era nel suo camerino! Un giorno, si presentarono a corte due sarti, dicendo: “La nostra stoffa è ricamata con oro, gemme e colori scintillanti. Ma è invisibile per gli stupidi: possono vederla solo le persone nobili e di gran valore”.

L’imperatore ordinò subito un abito confezionato con quella stoffa preziosa: pagò una fortuna ai due e lasciò loro le chiavi del suo palazzo, in modo che potessero mettersi a lavorare dove preferivano.
I due sarti imbroglioni sistemarono un telaio di legno in una stanza e cominciarono a far finta di filare la stoffa. Chiesero all’imperatore oro, seta e gioielli preziosi per ricamarla e intanto continuavano a fingere di lavorare.

Qualche giorno dopo, l’imperatore mandò un servitore a controllare come procedeva il lavoro. Il servitore entrò nella stanza, ma vide il telaio vuoto.
“Non vedo niente: sono forse uno stupido?” si domandò l’uomo. Tuttavia, non voleva ammetterlo davanti agli altri e così disse una bugia all’imperatore, raccontando di aver visto un vestito stupendo.

Nei giorni successivi l’imperatore mandò nobili, cavalieri e servitori a vedere quella stoffa così preziosa e tutti tornavano descrivendogliela come il più bel vestito mai visto.
I due sarti imbroglioni, dopo aver portato via tutto l’oro, la seta e i gioielli, chiamarono l’imperatore e gli dissero che avevano finito il loro lavoro: “Guardi che stoffa meravigliosa, maestà! Adesso prenderemo le sue misure per realizzarle l’abito più bello che abbia mai avuto“.

I due, per non farsi scoprire, puntavano spilli per aria, sforbiciavano di qua e di là e facevano finta di passarsi pezzi di stoffa. Dopo qualche ora, conclusero il loro lavoro, fecero finta di vestire l’imperatore e poi lasciarono il palazzo.
L’imperatore usci dalla stanza completamente nudo. Tutte le persone della sua corte gli fecero tantissimi complimenti e dicevano: “Che vestito meraviglioso maestà“.
Il sovrano era così contento che il giorno seguente decise di fare un giro in città, per mostrare a tutti quel tessuto tanto prezioso. La gente della città rimase muta: vedevano tutti l’imperatore girare nudo per strada, ma nessuno aveva il coraggio di dirglielo.

Ad un certo punto si sentì la voce squillante di un bambino: “L’imperatore è nudo!
A quelle parole, tutti scoppiarono a ridere indicando l’imperatore. Il sovrano capì che era stato imbrogliato e tornò di corsa nel suo palazzo.
A quelle parole, la gente cominciò a ridere a crepapelle: tutti indicavano l’imperatore e si gettavano a terra dalle risate. E il sovrano, una volta che ebbe capito di esser stato imbrogliato, non ebbe altra scelta che rientrare al palazzo in tutta fretta.

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Biancarosa e Rosarossa

Biancarosa e Rosarossa è una fiaba dei fratelli Grimm, adatta ai bambini da 3 anni in su.

Biancarosa e Rosarossa

C’era una volta una famiglia di contadini, che abitavano in una misera capanna, abbellita da due cespugli di rose: uno era bianco come il latte, l’altro rosso come il sangue. Quando la donna che abitava la capanna diede alla luce due figlie, decise di chiamarle come i fiori che decoravano la sua casa: Biancarosa e Rosarossa.
Una notte, mentre fuori infuriava una tempesta, le due ragazze sentirono bussare alla porta; la aprirono, e si trovarono davanti un gigantesco orso, intirizzito dal freddo. Piene di compassione, le ragazze lo fecero stendere accanto al fuoco e lo rifocillarono per bene.

Qualche tempo più tardi, mentre erano nel bosco, videro un’aquila che stringeva tra i suoi artigli un nanetto. Le due ragazze corsero a salvarlo, ma questo, invece che ringraziarle, si comportò da vero maleducato e le rimproverò perché, nel salvarlo, gli avevano scompigliato la barba.  Il giorno dopo le ragazze videro di nuovo il nanetto ingrato: trascinava con sé un sacco piuttosto pesante. Ad un certo punto, la minuscola creatura si nascose tra i cespugli e aprì il sacco: era pieno di pietre scintillanti e tesori d’oro. In un baleno, comparve l’orso che le ragazze avevano salvato, che mise in fuga il nanetto e prese il sacco: non appena le sue zampe toccarono le gemme, si trasformò in un bellissimo principe vestito di verde.

Il principe, accortosi delle ragazze, spiegò loro cosa gli era capitato: “Sono stato colpito da una maledizione che mi ha trasformato in un orso: solo quelle gemme potevano farmi tornare alla mia vera forma”. Poi, ricordandosi che Biancarosa e Rosarossa erano le stesse ragazze che lo avevano salvato dal freddo, le invitò al suo palazzo.

Il principe e suo fratello sposarono Biancarosa e Rosarossa e da quel giorno vissero tutti felici e contenti; nel giardino del palazzo, le ragazze piantarono due cespugli di rose: uno era bianco come il latte, l’altro rosso come il sangue, proprio come le rose che abbellivano la capanna in cui erano cresciute.

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Barbablu

Barbablu è una fiaba di Charles Perrault, adatta ai bambini da 5 anni in su.

Barbablu

C’era una volta un uomo ricchissimo: era il proprietario di ville e palazzi, con piatti d’oro e d’argento e bauli pieni di gemme. Tuttavia, quest’uomo, per disgrazia, aveva la barba blu, che lo rendeva spaventoso. Quando camminava per le strade, tutti lo evitavano e le ragazze, addirittura, se la davano a gambe. Vicino al suo palazzo abitava una signora per bene, con due figlie bellissime. Un giorno, Barbablu (così era chiamato nella cittadina quell’uomo), bussò alla sua porta e chiese alla signora di poter sposare una delle due figlie. Sarebbe stata lei a scegliere quale.

Ma nessuna delle due aveva intenzione di sposare Barbablu, per via del suo aspetto ripugnante. E poi, quell’uomo aveva già sposato parecchie donne e nessuno sapeva che fine avessero fatto. Barbablu, per convincere le ragazze della sua bontà, le invitò per una settimana intera in una delle sue ville, insieme alle loro amiche e a molti altri ospiti. Fu una settimana di festeggiamenti, banchetti e divertimenti di ogni tipo. La più piccola delle ragazze, cominciò a pensare che in fondo era un brav’uomo e un gran signore e decise di sposarlo. Ma appena un mese dopo il matrimonio, Barbablu disse alla moglie che doveva partire per un affare molto importante e che sarebbe stato via almeno un mese. Raccomandò alla ragazza di divertirsi e di invitare le sue amiche perché le facessero compagnia.

L’uomo consegnò alla moglie un mazzo di chiavi d’oro.
“Ecco a te: queste sono le chiavi del guardaroba, queste quelle degli armadi in cui tengo i piatti d’oro e d’argento, queste poi sono le chiavi della cantina, dove troverai il vino e i formaggi migliori; queste sono le chiavi dello scrigno in cui c’è il denaro e questa è la chiave che apre e chiude il portone della villa.”
“Questa infine” disse indicando una piccola chiave arrugginita “apre la porta dello stanzino in fondo al corridoio. Puoi andare dove vuoi, aprire tutte le porte che vuoi ma quello stanzino deve rimanere chiuso. Se dovessi aprirlo, la mia rabbia sarà terribile e non so dirti cosa ti farò.”
Poi, Barbablu salì sulla sua carrozza e partì.

I primi giorni, la ragazza invitò le sue amiche e diede grandi feste; tuttavia, la curiosità di sapere cosa ci fosse nello stanzino non la abbandonava. E fu così che una sera, dopo aver salutato tutte le sue amiche, scese al pian terreno e aprì la porticina. Le finestre erano tutte chiuse e non si vedeva nulla; dopo un istante, però, le luci del corridoio rischiararono anche lo stanzino: il pavimento era coperto di sangue e alle pareti erano appesi i corpi di tutte le donne che Barbablu aveva sposato: erano tutte morte scannate. La ragazza prese un terribile spavento, così grande che la chiave dello stanzino cadde per terra e si sporcò di sangue. Non ci fu modo di ripulirla: la chiave, infatti, era stregata.

Barbablu tornò il giorno seguente: disse alla moglie che aveva ricevuto una lettera e che i suoi affari erano già conclusi. Poi le chiese indietro il mazzo di chiavi. La ragazza gliele restituì tremando come una foglia e l’uomo capì subito cos’era successo.
“Com’è che la chiave dello stanzino è macchiata di sangue?”
“Io non ne ho idea.”
“Io ne ho qualcuna: perché sei entrata? Ti avevo proibito di aprire la porta dello stanzino, ma tu non mi hai ascoltato. Adesso dovrò ucciderti” tuonò Barbablù.

La ragazza, spaventata a morte, chiese un attimo di tempo per pregare e chiedere perdono per i suoi peccati. Barbablu le concesse mezz’ora di tempo. Salì le scale e si mise a guardare fuori dalla finestra: se fossero arrivati i suoi fratelli, che le avevano promesso di venire a trovarla. Solo loro avrebbero potuto salvarla. Ma fuori c’era solo il sole che splendeva e l’erba che si agitava al vento.
“Scendi giù, o verrò io a prenderti” urlò Barbablu dal salone di sotto.
La ragazza guardò di nuovo fuori: c’era un gran polverone e forse… no, era solo un gregge di pecore.
“Sto salendo” tuonò Barbablu, che aveva in mano un coltellaccio.
La ragazza guardò fuori per l’ultima volta ed ecco: vide due cavalieri scintillanti che galoppavano verso la villa. Erano i suoi fratelli, due valorosi moschettieri del Re.
Barbablù buttò giù la porta con un calcio. La ragazza si buttò a terra, piangendo disperata.
“Non serve piangere: mi hai disobbedito e ora ti ucciderò”.

Poi la prese per i capelli e sollevò per aria il suo coltellaccio. Ma proprio in quel momento, entrarono i due cavalieri, che vedendo Barbablu con il coltellaccio sguainato sfoderarono le loro pistole e…pum! lo colpirono a morte. E così la ragazza ereditò tutte le ricchezze che erano state di Barbablù. Una parte le donò alla sorella, e con il rimanente visse felice e contenta, dopo aver sposato un buon cavaliere.

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