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Dare un nome alle emozioni

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Difficilmente si vede un uomo infelice per non essere riuscito a scorgere ciò che avviene nell’anima altrui; ma colui che non avverte i moti della propria anima, è inevitabile che sia infelice“. (Marco Aurelio)

In questo articolo ci focalizzeremo su una tecnica che possiamo usare per stimolare l’intelligenza emotiva dei bambini: dare un nome alle emozioni. Possiamo introdurre questa tecnica già a partire dai 3 anni di età.

Dare un nome alle emozioni è una tecnica fondamentale per educare alle emozioni: “Fornire ai figli le parole può aiutarli a trasformare una sensazione amorfa, raccapricciante e sgradevole in qualcosa di definibile, e quindi con confini ben precisi, come ogni altro normale elemento all’interno della vita quotidiana. La collera, la tristezza e la paura diventano così esperienze comuni a tutti e che tutti sono in grado di gestire. Dare un nome alle emozioni, va di pari passo con l’empatia. Un genitore vede il figlio in lacrime e dice: «Ti senti triste, non è vero?». Ora il bambino non solo si sente compreso, ma ha anche una parola per definire il suo stato d’animo. Studi specifici indicano che l’atto di dare un nome alle emozioni ha di per sé un effetto rasserenante sul sistema nervoso, e aiuta i ragazzi a ricuperare più in fretta dalle situazioni di turbamento. Sebbene non si sappia con esattezza come agisca questo effetto rasserenante, la mia teoria è che parlare di un’emozione mentre la si sta provando impegna il lobo cerebrale sinistro, che è il centro del linguaggio e della logica. Ciò, a sua volta, può aiutare il bambino a concentrarsi e a tranquillizzarsi. Come abbiamo già discusso in precedenza, le implicazioni connesse all’insegnare a un bambino a calmarsi da solo sono davvero notevoli. I ragazzi che sanno tranquillizzarsi da soli sin da piccoli mostrano molti segni di intelligenza emotiva. È probabile che riescano a concentrarsi meglio, ad avere migliori relazioni interpersonali, a riuscire meglio a scuola e godano di una salute più robusta. Il mio consiglio ai genitori, quindi, è di aiutare i figli a trovare le parole per descrivere quel che stanno provando. Ciò non significa suggerire ai bambini quel che dovrebbero sentire. Significa semplicemente aiutarli a sviluppare un vocabolario con cui esprimere le loro emozioni. Maggiore sarà la precisione con cui i ragazzi riusciranno a esprimere i loro sentimenti, meglio sarà, per cui cercate di aiutarli a «sputare il rospo». Se vostro figlio è arrabbiato, ad esempio, potrebbe sentirsi frustrato, infuriato, confuso, tradito o geloso. Se è triste potrebbe sentirsi ferito, abbandonato, geloso, svuotato, depresso”. (Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori, BUR, 2015)

Questo esercizio è semplice, ma non banale: ciascuno di noi prova decine di emozioni diverse ogni giorno, ma queste spesso rimangono amorfe e nebulose. Talvolta capita che perfino gli adulti si trovino in difficoltà a dare un nome all’emozione o alle emozioni che stanno provando (spesso proviamo più di un’emozione contemporaneamente).

Affinché i bambini facciano pratica possiamo utilizzare casi di vita pratica o casi letterari. Se decidiamo di partire dai casi di vita pratica, saranno utili domande-guida come:

  • Come ti senti?
  • Ti sei comportato così perché ti senti … ?

Attenzione a non stereotipare le emozioni. Dietro la rabbia o la tristezza potrebbero nascondersi molteplici sfumatura: delusione, frustrazione, amarezza, gelosia, etc. Queste domande aperte dovrebbero dare al bambino la possibilità di esprimersi e fare chiarezza su ciò che sente, senza costringerlo dentro una “gabbia emotiva” preconfezionata.

Anche il momento della lettura è un’ottima palestra per esercitarsi a dare un nome alle emozioni, trattando i personaggi fantastici come se fossero i nostri alter-ego:

  • Come si sente questo personaggio in questa scena?
  • Perché questo personaggio si è comportato così?

Dare un nome alle emozioni: il modello a 3 stadi

“Capita spesso che i bambini provino emozioni dirompenti, come rabbia, frustrazione o tristezza. Dedicare loro del tempo aiutandoli a riconoscere queste emozioni e a trovare le parole giuste per descriverle è un’attività importante per sviluppare una relazione sicura e amorevole” (R. S. Martin, PhD. University of Virginia).

La prossima volta che i vostri bambini proveranno  un’emozione molto forte, provate a riflettere insieme a loro. Ecco alcune semplici indicazioni per farlo:

Stadio 1: Consapevolezza

  • Mostratevi curiosi verso le emozioni e i sentimenti dei bambini e provate a domandare loro cosa provano.
  • Domandate senza pregiudizio (invece di usare una frase come “vedo che sei …” domandate “mi chiedo se tu sia …”).
  • Siate umili e non giungete a conclusioni al posto dei bambini: questo atteggiamento mostrerà loro che state cercando di comprenderli e non di giudicarli.

Stadio 2: Verbalizzazione

  • Quando i bambini avranno finito di raccontarsi, provate a suggerire un nome per la loro emozione.
  • Anche in questo caso, utilizzate un linguaggio non direttivo (“mi sembra che tu sia …”).
  • Esprimere con le parole uno stato d’animo è un modo per affrontare e trasformare in modo costruttivo i sentimenti più forti; attraverso questo piccolo momento di riflessione insegneremo ai bambini a percorrere questa strada.

Stadio 3: Riflessione

  • Fermatevi a riflettere insieme ai bambini sulla loro esperienza: potrebbero provare due sentimenti differenti o addirittura contrastanti tra loro. Esperienze simili capitano a tutti noi (come la gioia per aver trovato un ottimo lavoro in un’altra città mista alla malinconia per il trasferimento imminente) e sono una parte importante della condizione umana.
  • Mostratevi empatici e mai giudicanti; fate capire ai bambini che avete compreso a fondo quello che provano.

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

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BIBLIOGRAFIA
J. Gottman, Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori, BUR, 2015

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