I libri non servono per sapere, ma per pensare

“I libri vanno aperti, sfogliati, dissolti nella loro presunta unità, per offrirli a quella domanda che non chiede “che cosa dice il libro?”, ma “a che cosa fa pensare questo libro?” I libri non servono per sapere ma per pensare, e pensare significa sottrarsi all’adesione acritica per aprirsi alla domanda, significa interrogare le cose al di là del loro significato abituale reso stabile dalla pigrizia dell’abitudine; è evitare che i testi divengano testi sacri per coscienze beate che, rinunciando al rischio dell’interrogazione, confondono la sincerità dell’adesione con la profondità del sonno“.
Umberto Galimberti

Come sottolinea Galimberti, il sapere è un mezzo per raggiungere un fine più alto: l’esercizio del pensiero. Solo attraverso il pensiero possiamo diventare autenticamente sapienti. La tecnologia ha reso il sapere accessibile a tutti, in qualunque luogo e in qualsiasi momento; tuttavia, questo sapere è freddo e sterile se non è mosso dal pensiero. Oggi più che mai ci serve educare al pensiero prima che educare al sapere.

Queste riflessioni si possono trasferire anche alla nostra scuola e alla famiglia: il proliferare delle tecnologie non deve diventare l’occasione per dimenticare il pensiero, cullandoci nell’illusione del sapere (in realtà, come aveva già compreso Platone, la tecnologia non dà la sapienza né la memoria, ma solo l’illusione della conoscenza). Al contrario: i dispositivi tecnologici, con il loro potere sconfinato, dovrebbero trasformarci in sentinelle del pensiero – critico – e di una cultura incentrata su di esso.

FONTI

  • Umberto Galimberti, Il gioco delle opinioni, Feltrinelli, 1989

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