INVECE DI GIUDICARE, OFFRIAMO UN’ALTERNATIVA

Il pensiero laterale offre ai genitori una cassetta degli attrezzi molto sofisticata: imparare ad evitare i giudizi e a lavorare su un ampio ventaglio di soluzioni, anche sulle più improbabili, è utile in più di un’occasione.
Decidere di allenare il proprio pensiero laterale è vantaggioso anche sul piano dell’intelligenza emotiva e dell’allenamento emotivo dei figli. Leggi questo breve estratto in cui John Gottman, in “Intelligenza emotiva per un figlio: una guida per i genitori” ci insegna a non giudicare, ma ad offrire un’alternativa concreta:

Come genitori nessuno di noi vuole che i nostri figli si accontentino di costruire scatole traballanti. Non vogliamo che i figli crescano pigri, ritrosi, aggressivi, stupidi, codardi, falsi. Ma non vogliamo nemmeno che questi difetti divengano le caratteristiche con cui i nostri figli definiscono se stessi. Come si può evitare questo genere di etichette negative? La risposta è astenersi dalle critiche generali e persistenti sui tratti della personalità del bambino. Quando si correggono i figli, bisogna concentrare l’attenzione su un episodio specifico, che è avvenuto qui e ora nella loro vita. Invece di dire: «Sei così distratto e confusionario,» bisogna dire: «Nella tua stanza i giocattoli sono sparsi dappertutto».
Invece di dire: «Leggi troppo lentamente,» è bene dire: «Se ogni sera ti dedicherai alla lettura per mezz’ora, imparerai a leggere più in fretta».
Invece di «Sei muto come un pesce,» dite: «Se parli più forte, la cameriera può sentire quello che dici».

Il principio è semplicissimo; eppure, quante volte non riusciamo a comportarci così? Troppe. Questo dipende in parte dalla stanchezza (lo stesso Gottman insegna che ci sono casi in cui si è troppo stanchi per educare in modo efficace, e in quei casi sarebbe meglio farlo presente ai ragazzi e ritagliarsi una pausa rigenerante), ma più frequentemente la responsabilità è delle nostre abitudini mentali poco creative. Siamo talmente abitudinari che ci “dimentichiamo” di cercare un’alternativa creativa da offrire ai nostri figli.

Lavoriamo sul pensiero laterale a partire da questi casi, quelli in cui giudichiamo per incapacità di offrire una soluzione. Cominciamo giocando e perseveriamo, finché questa buona abitudine non sarà diventata uno stile di pensiero vero e proprio.

La tecnica di offrire un’alternativa è efficace anche nel caso delle reazioni emotive. Come possiamo trasformare una reazione emotivo-sentimentale negativa in una risposta educativa?

Cominciamo con il primo esempio della lezione precedente: “Perché non presti mai i tuoi giocattoli a tuo fratello? Sei un’egoista. Pensa a tutte le cose che noi facciamo per te; tu, invece, non fai altro che chiedere e pretendere. Dovresti vergognarti”.
In questo caso, dobbiamo considerare che la bambina o il bambino in questione sta agendo sulla base di un suo diritto, benché questo lo stia mettendo in una posizione sociale scomoda. Inoltre, fino ai sette anni di età, un comportamento simile è del tutto naturale: il piacere della condivisione non è innato e si costruisce nel tempo.
Una risposta educativa di ampio respiro, in questo caso, è mostrare al bambino il piacere con cui noi condividiamo qualcosa. Rendiamolo partecipe delle nostre emozioni positive e dei nostri sentimenti positivi mentre condividiamo qualcosa.
Una risposta educativa immediata è quella di rivolgersi al fratello, offrendogli un’alternativa, magari proponendogli un piccolo gioco insieme.
In questo caso gli obiettivi educativi sono due: 1) nell’immediato, togliere l’attenzione dal bambino/bambina che non ha prestato il suo giocattolo per prendersi cura del bambino “offeso”. L’attenzione negata non è una punizione, ma una conseguenza dell’azione, 2) successivamente (dopo che tutti avranno smaltito la carica emotiva legata a quell’episodio), mostrare al bambino che non vuole prestare i suoi giocattoli che è bello condividere.

Secondo esempio: “Non hai studiato neanche una pagina. Sei il più pigro e svogliato della classe. Se continui così, non combinerai mai nulla nella vita”.
In questo caso, dobbiamo trovare un modo di far comprendere al bambino la situazione e le conseguenze della sua azione. Tuttavia, dobbiamo prestare grande attenzione: il nostro intervento rischia di scoraggiare, di avvilire o di danneggiare la motivazione del bambino.
Una risposta educativa potrebbe essere quella di chiedere al bambino perché non ha fatto i compiti, cercando di comprendere eventuali difficoltà (personali e didattiche). Successivamente, potremo chiedergli di svolgerli in classe, approfittandone per correggerli.
La nostra risposta dovrebbe cercare di valorizzare lo studente e le sue qualità: mortificarlo, infatti, non avrà altro effetto che quello di allontanarlo ulteriormente dal mondo della scuola.
In questo caso gli obiettivi educativi sono: 1) confortare e sostenere, 2) far comprendere le conseguenze della mancanza, 3) offrire un’occasione per recuperare (correzione in classe di uno o due esercizi).

Per finire, analizziamo l’ultimo degli esempi che avevamo proposto: “Basta. Non riesci a giocare due minuti da solo senza disturbare noi adulti! Sei davvero fastidioso. Adesso vai in camera e lasciaci in pace”.
Questo è forse il caso più semplice. Infatti, la reazione negativa è stata causata esclusivamente dal fastidio dell’adulto. In questo caso, una risposta educativa adeguata potrebbe essere quella di proporre al bambino una sorta di “missione speciale”: giocare per 3 minuti senza mai chiamare i genitori. Non possiamo spingerci oltre perché il bambino non sarebbe in grado di portare a termine il compito. Ricordiamoci che la padronanza del tempo non è scontata per i bambini.

FONTI

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