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Un buon maestro deve abituare i suoi discepoli a camminare sulle proprie gambe

Come dovrebbe comportarsi un buon maestro? Non si tratta di una domanda recente: vi proponiamo due letture di Michel de Montaigne, che già nel XVI secolo si poneva dei dubbi sui metodi e sull’efficacia dell’educazione.
In questo primo brano si affronta il tema dell’autonomia e, in modo particolare, dell’autonomia nel pensare (la quale genera l’originalità). Nella seconda lettura parleremo del rapporto tra corpo e mente e della costrizione.

“Non desidero che [il precettore, ndr] inventi e parli lui solo, desidero che ascolti il suo discepolo parlare a sua volta. È bene che se lo faccia trottar davanti per giudicar la sua andatura, e giudicare fino a che punto debba abbassarsi per adattarsi alle sue possibilità. Se manca questa proporzione, guastiamo tutto, e saperla trovare, e regolarsi di conseguenza con giusta misura, è uno dei più ardui compiti che io conosca.
Ci hanno sottoposto per tanto tempo alle dande (le fasce di tessuto che si utilizzavano un tempo per sorreggere i bambini nei loro primi passi, ndr) che non sappiamo più camminare da soli. Il nostro vigore e la nostra libertà sono spenti.
Che gli faccia passar tutto allo staccio e non gli metta in testa nulla con la sola autorità e a credito: i principi di Aristotele non siano i suoi principi non più di quanto lo siano quelli degli stoici o degli epicurei. Lo si metta davanti a questa varietà di giudizi: se può sceglierà, altrimenti rimarrà in dubbio. Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti.
Infatti, se abbraccia le opinioni di Senofonte e di Platone per suo proprio ragionamento, non saranno più le loro, saranno le sue. Chi segue un altro, non segue nulla. Non trova nulla, anzi non cerca nulla.
Bisogna che assorba i loro umori, non che impari i loro precetti. E, se vuole, che dimentichi pure arditamente da dove li ha presi, ma che sappia appropriarseli. La verità e la ragione sono proprietà comuni a ognuno, e non sono di chi le ha dette prima a maggior ragione di che le ha dette poi. Non è secondo il parere di Platone più che secondo il mio, dal momento che lui ed io l’intendiamo e la vediamo allo stesso modo. Le api saccheggiano i fiori qua e là, ma poi ne fanno il miele che è solo loro; non è più timo né maggiorana: così i passi presi da altri, egli li trasformerà e li fonderà per farne un’opera tutta sua, ossia il suo giudizio. La sua istruzione, il suo lavoro e il suo studio non mirano che a formarlo”.

BIBLIOGRAFIA
M. de Montaigne, Essais, libro I, cap. XXVI, 1580

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