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La regina della neve

La regina della neve è una delle fiabe più conosciute e amate dello scrittore danese H. C. Andersen. Si tratta di un racconto lungo, diviso in sette storie, che racconta la storia della piccola Gerda alla ricerca di Kay, il suo amico, portato via dalla regina della neve.

La regina della neve: riassunto

  1. Prima storia: il diavolo fabbrica uno specchio che elimina la bellezza da tutto ciò che riflette. Lo specchio però va in frantumi e le sue schegge, dotate dello stesso potere, si spargono sulla terra.
  2. Seconda storia: Gerda e Kay sono due grandi amici; provengono da due famiglie povere che abitano una dirimpetto all’altra e trascorrono insieme le proprie giornate. A primavera, mentre leggono insieme in un giardino di rose, una delle schegge dello specchio si infila nell’occhio di Kay e un’altra nel suo cuore. Il ragazzo cambia improvvisamente. Quell’inverno, partecipa a una festa sugli slittini e viene portato via dalla regina della neve
  3. Terza storia: Gerda aspetta la primavera poi parte, alla ricerca del suo amico. Lungo la strada viene ospitata da una vecchia maga che le fa perdere la memoria spazzolandole i capelli con un pettine magico. La bambina rimane così a vivere con la maga, che la tiene come una figlia. Solo dopo molto tempo Gerda riesce a recuperare la memoria e parte immediatamente per salvare Kay.
  4. Quarta storia: Gerda sente da una cornacchia che in un castello vicino, una principessa si è appena sposata con un ragazzo identico a Kay. Scambiandolo per il suo amico, la bambina si introduce nel castello per vederlo, ma scopre che si trattava di un altro Kay. Il principe e la principessa, dopo aver ascoltato la sua storia, decidono di aiutarla e le donano una carrozza con tutto l’equipaggiamento per il viaggio.
  5. Quinta storia: lungo la strada Gerda viene assalita dai briganti, che le rubano la carrozza. La figlia del capo dei briganti prende Gerda con sé, perché diventi sua amica. La figlia del brigante è una bambina prepotente e viziata, ma dopo aver ascoltato la storia di Gerda decide di aiutarla e la lascia scappare, perché possa ritrovare Kay.
  6. Sesta storia: dopo un lungo viaggio Gerda giunge in Lapponia, ma scopre che la regina della neve è partita da poco per andare in vacanza in Finlandia, insieme a Kay. In groppa a una renna, Gerda prosegue il viaggio fino alla Finlandia.
  7. Settima storia: approfittando dell’assenza della regina della neve, Gerda entra nel castello, armata soltanto del proprio coraggio. Dopo aver affrontato i servi della regina, trova Kay e lo aiuta a liberarsi dalle schegge di vetro del diavolo. Finalmente insieme, i bambini abbandonano il castello di neve e tornano a casa.

La regina della neve: testo integrale

  1. Prima storia: lo specchio e le schegge
  2. Seconda storia: un bambino e una bambina
  3. Terza storia: il giardino della maga
  4. Quarta storia: il principe e la principessa
  5. Quinta storia: la figlia del brigante
  6. Sesta storia: la donna di Lapponia e la donna di Finlandia
  7. Settima storia: che cosa era successo nel castello della regina della neve e che cosa accadde in seguito

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L’omino di pan di zenzero

L’omino di pan di zenzero

C’erano una volta due anziani signori, marito e moglie, che vivevano in campagna. Un giorno, la moglie, preparò un grazioso omino di pan di zenzero, con i bottoni di zucchero e gli occhi canditi. Lo mise in forno e aspettò che fosse cotto a puntino. Quando la vecchia estrasse la teglia dal forno non fece in tempo a posarla sul tavolo che l’omino si mise in piedi e saltò giù, scappando fuori dalla porta di casa.
«Non voglio essere mangiato» disse alla donna, facendole le linguacce.
«Torna qui!» gridarono gli anziani, ma l’omino di pan di zenzero continuò a correre, canticchiando:
«Son l’omino di pan di zenzero;
correte, correte quanto volete,
tanto a prendermi non riuscirete!»
L’omino attraversò il giardino della casa, inseguito dal marito e dalla moglie, poi attraversò la strada e scappò nella fattoria di fronte.
«Che bel bocconcino
Vieni da noi, piccolo omino:
con te faremo un bello spuntino» gli dissero i maiali nel porcile. Ma l’omino, sfrecciando davanti al cancello, continuò a cantare:
«Son l’omino di pan di zenzero;
correte, correte quanto volete,
tanto a prendermi non riuscirete!»
Superati i maiali, entrò nell’aia, dove le galline becchettavano il grano. Il gallo, vedendolo, cantò:
«Guardate un po’ chi è arrivato:
un biscotto di pan pepato,
una vera delizia per il palato.»
L’omino attraversò l’aia e fuggì anche da lì.
«Son l’omino di pan di zenzero;
correte, correte quanto volete,
tanto a prendermi non riuscirete!»
Dopo l’aia, l’omino di pan di zenzero trovò davanti a sé un ruscello e si fermò.
«Non posso certo passare di là:
se il mio corpo si bagnerà,
tutto l’impasto si sgretolerà.»
Ma la donna che l’aveva cucinato era dietro di lui, e stava per raggiungerlo; a quel punto, dalla catasta di legna dietro l’aia spuntò fuori una volpe, che si avvicinò all’omino, sussurrandogli:
«Biscottino, ti offro un affare:
sul mio muso devi saltare
e il ruscello ti farò attraversare.»
L’omino di pan di zenzero saltò sul musi della volpe e quella si lanciò nel ruscello, attraversandolo a nuoto. Quando arrivarono dall’altra parte, l’omino saltò giù dal muso della volpe, ma quella spalancò le fauci e lo addentò al volo. Poi gli disse:
«Perché il nostro sia un buon affare
qualcosa devo pur guadagnare
e perciò ti dovrò mangiare.»

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Tag: omino di pan di zenzero, storia dell’omino di pan di zenzero

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Raperonzolo

Raperonzolo è una fiaba dei fratelli Grimm, adatta ai bambini da 3 anni in su.

Raperonzolo

C’era una volta una donna, che aspettava una bambina. Dalla finestrella della loro piccola casa, si vedeva il giardino di una maga, nel quale crescevano fiori e frutti di qualsiasi genere. La donna, ogni giorno si metteva alla finestra e guardava quel giardino. Un bel giorno le venne voglia di assaggiare i raperonzoli che vi crescevano. Cercò di contenersi, ma la sua voglia era incontenibile: suo marito, non appena se ne accorse, poiché le voleva un gran bene, si intrufolò di nascosto nel giardino della maga e portò via un bel mazzetto di raperonzoli.
Il giorno dopo, però, la voglia non era passata: anzi, era aumentata a dismisura. Il marito, di nuovo entrò nel giardino di soppiatto, ma non aveva ancora raccolto il primo raperonzolo che si trovò la maga dinnanzi. L’uomo si scusò, raccontò della voglia insaziabile di sua moglie e di come fosse saggio accontentare una donna quando aspetta un bambino.
“E sia” disse la maga “prendi tutti i raperonzoli che vuoi dal mio giardino, oggi e anche nei prossimi giorni; ma quando nascerà la vostra bambina, la prenderò io”. Quando la moglie partorì, comparve accanto a lei la maga che prese la bambina, decise di chiamarla Raperonzolo e la portò via.

Raperonzolo divenne presto la bambina più bella del mondo e la maga, temendo che qualcuno potesse portarla via, la rinchiuse in una torre alta e senza scale né porte: c’era solo una finestrella sulla cima. Quando la maga voleva entrare, diceva:
“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.”
E la bambina scioglieva la sua lunghissima treccia e la strega si arrampicava su di quella. Un giorno, passò di lì un principe, che si innamorò della ragazza a prima vista; tuttavia, non c’era alcun modo di raggiungere Raperonzolo in cima alla torre. E così, il principe ogni mattina si recava nel bosco a trovare Raperonzolo; un giorno, vide la maga che si recava ai piedi della torre e diceva:
“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.”
Così, anche il principe imparò quella formula magica e la sperimentò: si mise sotto la finestra e con la sua bella voce disse:
“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.”
La ragazza sciolse i capelli e il principe si arrampicò fino alla cima; quando Raperonzolo si accorse che non si trattava della maga, ma di un principe, all’inizio si spavento; il giovane però era simpatico e i due si innamorarono quasi subito. Il giovane andava ogni giorno a trovare la ragazza alla torre e insieme vivevano felici.

Un giorno, però, la maga si accorse dell’intruso: infatti, si era appena arrampicata sui capelli di Raperonzolo che la fanciulla le disse: “Mamma mia, come siete pesante. Il principe, è tanto più leggero di voi!”
La maga andò su tutte le furie: taglio i capelli a Raperonzolo, poi la portò nel mezzo di un deserto dove la ragazza si trovò a vivere in miseria. Dopo aver sistemato la ragazza, la maga legò i capelli della ragazza ad una trave e non appena il principe arrivò alla torre lasciò cadere a terra i capelli.
Immaginate la sorpresa del principe quando, invece della sua amata Raperonzolo, si trovò davanti una maga! “Raperonzolo non c’è più; per colpa tua, adesso vive in miseria”.
Il principe, sentendo quelle parole, si disperò a tal punto che si buttò giù dalla torre e diventò cieco. Così, prese a girovagare per il mondo senza sapere dove stava andando.
Un bel giorno, infine, arrivò nel deserto e trovò una ragazza con due bambini; riconobbe la sua voce: era Raperonzolo! Il principe le saltò al collo ed entrambi cominciarono a piangere di gioia: le lacrime di Raperonzolo, bagnando gli occhi del principe, gli fecero tornare la vista: e i due vissero felici e contenti.

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Hansel e Gretel

Hänsel e Gretel

J. e W. Grimm

C’era una volta un boscaiolo che aveva due bambini: Hänsel e Gretel. Il boscaiolo era un uomo terribilmente povero e non aveva niente per sfamare i due piccoli. Così, una notte, decise insieme alla madre di abbandonarli nel bosco. La mattina seguente, li portò con se nel bosco, con la scusa di insegnargli a fare la legna, in modo che anche loro potessero aiutarlo. Percorsero insieme miglia e miglia; Hänsel e Gretel erano ormai sfiniti quando i tre giunsero in una radura, nel bel mezzo del bosco.

A questo punto, il padre disse loro di aspettarlo lì mentre andava a cercare un bell’albero da tagliare e si allontanò. I due bambini lo aspettarono per tutto il giorno, fino al tramonto: non potevano credere di essere stati abbandonati.
Decisero però di cercare la via del ritorno prima del buio, e si misero in cammino. Hansel e Gretel avevano ormai perso la strada e girovagavano senza meta, quando si imbatterono in una casetta piccina.

Pensate un po’, il tetto era stato costruito con tegole di cioccolata e i muri erano di marzapane, spesso almeno mezzo metro. E c’erano anche balconcini di caramelle e canditi, zucchero a volontà e ogni sorta di prelibatezza. Senza pensare ad altro, i due si avventarono sulla casetta, prendendo una tegola ciascuno.

Stavano finendo la cioccolata quando dalla porta della casetta uscì una vecchina, che li invitò ad entrare per mangiare tante altre pietanze deliziose. Hänsel e Gretel la seguirono felici. Tuttavia, la vecchina era una strega e appena entrati li rinchiuse in una gabbia. Poi ci pensò su e tirò fuori Gretel, ordinandole di fare le pulizie, di cucinare e di farle da serva. Dovete sapere che i bambini sono il piatto preferito delle streghe, che li cucinano con un po’ di aglio e del rosmarino, facendoli arrostire per bene. Così, la vecchina ogni giorno rimpinzava per bene Hänsel, con la speranza di farlo ingrassare a dovere e poi cucinarlo. Gretel, invece, doveva accontentarsi di un pezzetto di pane e di un bicchier d’acqua.

Un bel giorno, la strega decise che era arrivato il momento: accese il forno e uscì a prendere l’aglio e il rosmarino. Mentre era fuori, Gretel aprì la gabbia del fratello, senza farsi scoprire. Così, non appena la strega fu rientrata, mentre controllava che il forno fosse ben caldo, Hänsel e Gretel la spinsero dentro con tutte le loro forze. Finalmente liberi i bambini scoprirono che la strega aveva un baule pieno di oro e gioielli nella sua camera. Così, dopo aver fatto scorta di dolci, presero il suo tesoro e ripartirono verso casa. Qualcuno dice che, lungo il sentiero, incontrarono un contadino dal cuore gentile, che in cambio di qualche diamante li accompagnò sul suo carretto. Così, tornati dai propri genitori, vissero felici, contenti e con la pancia piena.

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La bella addormentata nel bosco

La bella addormentata nel bosco è una fiaba di Charles Perrault, adatta ai bambini da 3 anni in su.

La bella addormentata nel bosco

C’erano una volta un re e una regina che desideravano tanto un erede: dopo molti anni, diedero finalmente alla luce una bambina, a cui diedero il nome di Aurora. I sovrani organizzarono una grande festa a cui invitarono tutti i sudditi del regno; invitarono anche le fate che abitavano in quella regione. Purtroppo, però, si dimenticarono la fata delle montagne, perché nessuno si ricordava più di lei.
Ciascuna delle fate che erano state invitate portò alla piccola Aurora un dono magico: la prima le donò la bellezza, la seconda la grazia, la terza la gentilezza; la quarta fata le donò l’amore e la quinta il dono di essere stimata e apprezzata da tutti. Ma prima che l’ultima fata potesse pronunciare il suo dono, il salone si fece buio, tutto d’un tratto: le luci si spensero e comparve la fata delle montagne, piena di collera per essere stata dimenticata.
“Anche io voglio fare un dono alla principessa” disse la fata, mentre il re e la regina tremavano dalla paura: “sarà infatti la più bella e graziosa principessa del mondo, ma all’età di sedici anni si pungerà con un fuso e cadrà in un sonno di more”. Poi la fata scomparve nel nulla, prima che le guardie del palazzo potessero acciuffarla.

L’ultima delle fate si fece avanti. “Non posso sciogliere un incantesimo così potente, ma posso aggiungere queste parole: la principessa potrà essere svegliata dal suo sonno dal vero amore”. Il re, credendo di aggirare la maledizione, fece distruggere tutti i fusi del suo regno: inviò soldati e volontari in lungo e in largo a cercare fusi e arcolai per sedici anni. Nel frattempo, Aurora cresceva bella e graziosa. Ma al compimento del sedicesimo anno di età, mentre si aggirava per i corridoi del palazzo, Aurora si accorse di una minuscola porticina che non aveva mai visto prima. La aprì e trovò una lunga scala a chiocciola, che saliva fin sotto il tetto. Lì si trovava un’anziana signora che filava con il fuso e l’arcolaio: la vecchina era sorda e non aveva mai sentito il divieto reale di filare. La principessa si avvicinò a quello strano oggetto e provò ad utilizzarlo, ma si punse il dito e cadde a terra addormentata.
Anche gli altri abitanti del palazzo caddero in un sonno profondo. Il regno continuò la sua vita, ma tutti si dimenticarono del re, della regina, di Aurora e del palazzo che, negli anni, venne coperto da una foresta di rovi impenetrabile. Passarono cento anni. Un giorno, passò di lì un principe, che si era smarrito durante una battuta di caccia. Il ragazzo si accorse che al di là dei rovi c’era qualcosa e volle andare a vedere: da bambino, aveva sentito raccontare dai suoi nonni di un palazzo avvolto dai rovi e di una bellissima principessa addormentata. Prese la sciabola per farsi strada tra i rovi, ma questi si spostavano da soli al suo passaggio, come per magia.

Il principe si trovò nel cortile del palazzo, dove i guardiani giacevano addormentati accanto al portone. Nel mezzo del cortile, c’erano i cuochi e la servitù e così via: non c’era stanza di quel grande palazzo in cui non ci fosse qualcuno bell’e addormentato. Il principe esplorò tutti i saloni e tutte le stanze, finché non capitò nel solaio: lì, trovò stesa la principessa Aurora. La principessa era così bella che il principe non poté fare a meno di innamorarsene: il principe si avvicinò al suo viso e le diede un bacio: era il bacio del vero amore, che risvegliò la principessa. Poi, come d’incanto, i rovi si ritirarono dal castello e tutti i suoi abitanti si risvegliarono: quello stesso giorno furono celebrate le nozze tra Aurora e il principe che l’aveva salvata e vissero tutti felici e contenti.

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Il brutto anatroccolo

Il brutto anatroccolo è una fiaba di Hans Christian Andersen, adatta ai bambini da 3 anni in su.

Il brutto anatroccolo

C’era una volta un bel laghetto di campagna, circondato dalle canne, dai salici e da canali profondi. Era un posto selvaggio e tranquillo, illuminato dai raggi dorati del Sole. In un’ansa del laghetto, un’anatra aveva costruito il suo nido. Trascorreva tutta la giornata a covare le sue uova, in attesa che ne nascessero degli anatroccoli.

Un bel giorno, le uova cominciarono a schiudersi: “Pip Pip” facevano gli anatroccoli, che per la prima volta nella loro vita vedevano il Sole e l’acqua.
“Com’è grande e bello questo mondo” dicevano alla mamma; “andiamo ad esplorarlo”.
“Dovete aspettare” disse loro la mamma anatra “c’è ancora un uovo che si deve schiudere”. Ma l’uovo non ne voleva sapere di schiudersi. Quel pomeriggio, passò di lì una vecchia anatra che disse alla mamma: “Fammi vedere l’uovo; potrebbe essere un uovo di tacchino: una volta ho perso una settimana con un uovo di tacchino e non c’è stato verso di far entrare in acqua i piccoletti. Sì, è proprio un uovo di tacchino! Al posto tuo il lo butterei tra le canne e penserei ai miei paperotti”. Ma mamma anatra continuò a covare l’ultimo uovo rimasto finché si schiuse: ne uscì un anatroccolo molto più grosso degli altri ed era brutto.

“Domani proverò a portarlo in acqua; se è un tacchino, lo lascerò nei campi” si disse l’anatra. Ma il giorno seguente, l’anatroccolo si tuffò e cominciò a nuotare insieme ai suoi fratellini.
“Non è un tacchino!” esclamò la mamma “Guardate come muove bene le zampe, e come si tuffa” disse a tutte le sue amiche.
Poi l’anatra radunò tutti i suoi piccoli. “Adesso vi porterò nel pollaio, a conoscere i nostri vicini animali. Dovreste stare vicini a me e non allontanarvi per nessuna ragione. E state attenti al gatto”.

Ma quando entrarono nel pollaio, gli altri animali cominciarono a fare confusione: “Ma chi è quel brutto anatroccolo? È così grosso, ci fa paura! Non lo vogliamo”. La mamma anatra difese il suo anatroccolo e lo prese vicino a sé. Anche le altre anatre cominciarono a schernirlo: “Che bei piccoli mamma anatra, ma questo qui, è così brutto”.
Il giorno dopo, gli animali ripresero a schernire il povero anatroccolo. Trascorse un mese, ma le cose andavano sempre peggio. Il brutto anatroccolo veniva scacciato dai suoi stessi fratellini, il tacchino lo beccava e perfino mamma anatra, ogni tanto, gli diceva “Se solo tu fossi nato lontano da qui, staremmo tutti meglio”.

Così, l’anatroccolo volò oltre la siepe e lasciò la fattoria. Si avventurò nella palude, abitata dalle anatre selvatiche e dagli altri uccelli. “Sei molto brutto” gli dissero “ma a noi non importa: basta che non ti sposi con uno dei nostri anatroccoli”. Così il piccolo si fermò qualche giorno nella palude. Lì incontrò anche due oche, che cercarono di convincerlo ad unirsi a loro. Purtroppo, però, un cacciatore le centrò tutte e due con la sua carabina. Perfino il cane del cacciatore, che stava nuotando nella palude alla ricerca delle oche, non appena vide l’anatroccolo scappò via.

Il giorno dopo l’anatroccolo scappò via dalla palude, per non finire tra le grinfie dei cacciatori. Si rifugiò in una vecchia casetta di contadini, in cui abitavano una vecchietta, un gatto e la gallina. Quando la vecchietta si accorse dell’anatroccolo, lo mise in prova: “Vorrei tanto mangiare delle uova di anatra. Se ne farai qualcuna, potrai rimanere qui con noi”.
Ma il piccolo anatroccolo non fece alcun uovo; per di più, litigava tutti i giorni con il gatto e la gallina: loro erano convinti che il mondo finisse poco oltre il giardino della casetta e quando l’anatroccolo parlava loro delle anatre selvatiche e della fattoria lo trattavano come un matto.

Un bel giorno, l’anatroccolo si stufò di essere trattato così male e decise di andarsene in giro per il mondo. Era autunno e il piccolo camminò fino a raggiungere un lago. Lì si nascose tra le canne, ad aspettare l’inverno. Con l’inverno, l’acqua in cui nuotava cominciò a ghiacciare e il piccolo rimase incastrato nel ghiaccio, senza nulla da mangiare. Un giorno, un contadino lo trovò privo di sensi nel ghiaccio, lo prese e lo portò a casa, ai suoi bambini. I piccoli volevano giocare un po’ con lui, ma l’anatroccolo si spaventò a morte e scappò via. L’inverno fu duro e il poveretto fece la fame tra le canne. Per fortuna riuscì a sopravvivere al gelo!

Arrivò la primavera e finalmente l’anatroccolo uscì dal suo rifugio per riscaldarsi un poco sotto i raggi del sole. Stava nuotando nel lago quando vide tre cigni meravigliosi passare proprio davanti a lui.
“Chissà cosa mi faranno” pensò il piccolo “sono così brutto che vorranno uccidermi”. I cigni, appena lo videro, si avvicinarono verso di lui agitando le loro piume bianche.

“Uccidetemi” pensò l’anatroccolo, chinando il capo sull’acqua. Ma cosa vide? Nell’acqua argentata, come uno specchio, non vide il brutto anatroccolo grigio che tutti gli animali avevano preso in giro. Al suo posto c’era un bellissimo cigno bianco. L’anatroccolo si era trasformato nel cigno più bello di tutti. Del resto, che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si è usciti da un uovo di cigno?

I tre cigni che si erano avvicinati erano i suoi fratelli e il piccolo si unì a loro. Da quel giorno, visse felice, senza pensare a quanto aveva sofferto. Anzi, ogni volta che un bambino si avvicinava a lui per dargli un pezzo di pane da mangiare pensava tra sé: “Quando ero un brutto anatroccolo pensavo non pensavo che la mia vita sarebbe stata tanto felice”.

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