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La principessa della neve

La principessa della neve è una leggenda trentina per bambini da 4 anni in su.

La principessa della neve

Leggenda trentina. Testo a cura di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle

C’era una volta un piccolo regno tra le Dolomiti, governato da una bellissima regina, Chiomadoro. I suoi sudditi vivevano in pace, ma la regina era disperata e ogni giorno si nascondeva a piangere in cima alla torre del castello. Infatti, non riusciva a dare alla luce una principessa e si sa, un regno senza principesse è come un giardino senza fiori.

Un giorno, una donna bussò alle porte del castello: la sua pelle era bianca come la neve, indossava un’armatura di ghiaccio incantato e sui suoi capelli d’argento scintillava una corona di stalattiti. Era la Regina delle Nevi, che viveva sulle montagne della Marmolada, poco distanti dal castello.

La Regina delle Nevi chiese di parlare con Chiomadoro e le disse: “Perché ti disperi, mia cara? Ogni giorno, l’eco del tuo pianto arriva fino al mio castello, tra i ghiacciai. Non posso sopportare che una donna soffra così; dimmi cosa ti è successo e farò tutto ciò che posso per aiutarti.

Chiomadoro le raccontò della principessa: “Ormai sto invecchiando e non ho ancora dato alla luce una bambina; che ne sarà del regno senza una principessa? Quando morirò, verrà conquistato da qualche nobile senza scrupoli. Ah, che tragedia”.

La Regina delle Nevi promise a Chiomadoro che l’avrebbe aiutata; tornò sulla Marmolada e si presentò nuovamente al castello dopo tre giorni: tra le mani stringeva una piccola culla di ghiaccio. Al suo interno, riposava una minuscola bambina di neve.

La regina porse la culla a Chiomadoro e le disse: “Prendi con te questa bambina: è la principessa della neve. Crescila come una figlia, amala e lei ti ricambierà. Nelle sue vene scorre il sangue reale di queste montagne, diventerà un’ottima regina. Ma fai attenzione: i raggi del Sole non dovranno mai sfiorare la principessa della neve, neppure per un istante. Altrimenti si scioglierà, e io non potrò fare nulla per salvarla”.

Chiomadoro adottò la bambina e da quel giorno non fu più triste. Per rispettare l’ordine della regina, decise di invertire il giorno e la notte in tutto il regno.

“Udite! Udite! Udite! A partire da domani, tutti si alzeranno un’ora dopo il tramonto e andranno a dormire un’ora prima dell’alba. Finché il Sole splenderà sul regno, nessuno dovrà uscire di casa”.

I sudditi del regno amavano moltissimo la regina Chiomadoro e nessuno di loro si oppose al suo ordine: per qualche mese, la vita continuò come prima ma col passare del tempo le persone diventarono pallide, deboli e tristi.

Trascorsero gli anni e la principessa della neve divenne una ragazza piena di spirito e di energia. Il suo cuore era tutt’altro che di ghiaccio e la principessa si preoccupava moltissimo per gli abitanti del regno; per questa ragione si crucciava: le persone intorno a lei erano tristi e non capiva il perché.

Un’estate andò da sua madre, la regina Chiomadoro, e le chiese:

“Ve lo chiedo per favore,
dal profondo del mio cuore.
Perché regna la tristezza e non l’amore?”

Ma la regina non rispose. Allora, la principessa scappò dal castello, attraversò il bosco e raggiunse la grotta dove viveva la strega della montagna.

“Ve lo chiedo per favore,
dal profondo del mio cuore.
Perché regna la tristezza e non l’amore? “

La strega prese un paiolo di rame appeso a una parete della grotta, lo avvicinò al focolare e scrutò con attenzione i riflessi dorati che si agitavano sul metallo. Poi disse:

Sento odor di maledizione
ma non viene da uno stregone:
l’ha lanciata la regina,
quella che tu chiami mammina.

Quando il Sole sorgerà
apri le finestre e resta là.
La maledizione si scioglierà
e la gioia tornerà.

La principessa della neve tornò al castello senza dire una parola: si chiuse nella sua stanza e aspettò. Per tutto il giorno (o meglio, la notte) non rispose a Chiomadoro, che la chiamava attraverso la porta.

Aspettò l’alba e quando vide spegnersi tutte le luci del castello, spalancò la finestra della sua camera e uscì sul suo balcone. L’alba la investì con la sua luce rosata e il corpo di neve della principessa cominciò a fondere. Le sue guance erano rigate dalle lacrime, ma non erano lacrime di tristezza: erano i suoi capelli di ghiaccio che si scioglievano, alla calda luce del Sole.

In lontananza, la principessa vide gli abitanti dei regni vicini, che uscivano di casa; vide i bambini che seguivano i genitori nei campi ridendo e giocando. Soltanto allora capì cos’era successo: sua madre, la regina Chiomadoro, aveva scambiato il giorno con la notte per proteggerla.
“Amo mia madre, ma ciò che ha fatto è ingiusto: nessuno, per splendere, dovrebbe oscurare la luce degli altri. Preferisco sciogliermi che vivere causando tanto dolore”.

Ma quando la videro, il Sole, il Vento e le Nuvole ebbero pietà di lei.
“Quella bambina ha il corpo di ghiaccio, ma il suo cuore arde più di mille stelle. Non possiamo lasciare che si sciolga così”, dissero in coro. Insieme, escogitarono un piano per salvarla: le Nuvole fabbricarono un castello per proteggerla dai raggi del Sole; il Vento soffiò, la portò in alto nel cielo e la posò nel suo nuovo castello.

Gli abitanti del cielo adottarono la principessa della neve e da quel giorno visse con loro, come una sorella. Si dice che sia ancora lì, nel suo castello tra le nuvole.

Solo d’inverno torna sulla Terra, per trovare sua madre: allora il cielo si copre e la neve ammanta le montagne, per impedire alla principessa di sciogliersi.

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La leggenda del re Laurino

La leggenda del re Laurino

Fiaba delle dolomiti

Tanto tempo fa, sui monti del Catinaccio, nel cuore delle Dolomiti, abitava il re dei nani Laurino. Il sovrano lavorava giorno e notte per estrarre le pietre preziose nel cuore della montagna e si dice che durante i suoi scavi avesse trovato due oggetti magici: una cintura che donava al suo portatore la forza di dodici cavalieri e un mantello capace di rendere invisibile chi lo indossava.
Un giorno, il re dell’Adige, decise di dare in sposa sua figlia Similde e diede una grande festa nel suo palazzo: invitò tutti i sovrani tranne Laurino. Il re dei nani, offeso, si intrufolò alla festa indossando il mantello che rendeva invisibili; quando vide Similde, se ne innamorò a tal punto che la caricò sul suo cavallo e la rapì, portandola nel suo palazzo tra le montagne.
I cavalieri del re dell’Adige la cercarono in lungo e in largo, ma nessuno di loro riuscì a trovare la casa di re Laurino, nascosta sulle Dolomiti.
Nel frattempo, il re dei nani decise di fare un regalo alla sua futura sposa: piantò nel suo giardino tra le montagne centomila rose rosse.
I cavalieri videro il giardino da lontano e capirono che il re dei nani si nascondeva proprio lì, così partirono al galoppo e raggiunsero il suo palazzo. Circondato, Laurino indossò la sua cintura magica e sfidò a duello i cavalieri: grazie al potere della cintura sconfisse i primi dodici cavalieri, ma il tredicesimo lo atterrò e gli strappò la spada dalle mani. Il re dei nani, sconfitto, indossò il mantello che rendeva invisibili e scappò nel suo giardino; nessuno poteva vederlo, ma le rose ondeggiavano al passaggio di Laurino, così il cavaliere lo trovò, lo legò sul suo cavallo e lo portò dal re dell’Adige.
Laurino, prigioniero, lanciò una maledizione alla montagna e disse: “Nessuno potrà più ammirare il mio giardino, né di giorno né di notte”. Le rose rosse scomparvero magicamente e la montagna tornò bianca; tuttavia, il re si era dimenticato dell’alba e del tramonto, che non sono né giorno né notte.
Ancora oggi, a quell’ora, le Dolomiti si tingono di rosso, come un giardino fiorito: sono le rose di Laurino, che per qualche istante sfuggono alla maledizione.

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La leggenda del Mazaròl

La leggenda del Mazaròl

In un tempo ormai lontano, da qualche parte sulle Dolomiti, abitava il Mazaròl, un piccolo ometto vestito di rosso, col cappello a punta e una mantella nera. Il Mazaròl conosceva a menadito le montagne, i loro abitanti e i loro segreti, compreso il più prezioso: l’arte di ricavare il formaggio, il burro e la ricotta dal latte. Quando tutti dormivano, il Mazaròl mungeva le vacche nelle stalle e portava i secchi di latte nel suo nascondiglio; all’alba, cominciava a preparare il burro, il formaggio e per finire la ricotta. Era un lavoro estenuante, che lasciava il folletto esausto e scontroso. Gli abitanti delle Dolomiti badavano bene a non avvicinarsi al Mazaròl: un’antica leggenda infatti raccontava che chiunque avesse calpestato una delle sue orme sarebbe diventato suo schiavo per l’eternità.
Un giorno, una ragazza del Primiero, camminando tra i pascoli poggiò un piede su un’impronta del folletto. Stregata dall’incantesimo, la fanciulla cadde distesa sull’erba e si svegliò nel rifugio del Mazaròl, una casetta di legno e pietra in cima a un alpeggio.
«Bene! Bene!» esclamò il folletto, saltando di gioia. «Finalmente ho trovato un nuovo aiutante».
Poi offrì da bere alla ragazza un bicchiere di latte della sua capretta nera e lei dimenticò ogni cosa della sua vita passata. Da quel giorno la poveretta fu costretta a servire il Mazaròl, dall’alba fino a notte fonda, senza mai uscire dal suo rifugio. Il folletto le insegnò come togliere la panna dal latte e come trasformarla in burro, come ricavare il formaggio dal latte e la ricotta dal siero. La giovane donna imparò tutti i segreti dell’arte casearia. All’alba, il Mazaròl rincasava col suo carico di latte e le diceva: «Sei proprio brava! Un giorno o l’altro ti insegnerò l’ultimo dei miei segreti: come trasformare il latte in cera».
Una mattina, un cacciatore passò davanti al suo rifugio e vide da una finestrella spalancata la ragazza; il folletto stava dormendo al piano di sopra e non si accorse di nulla. L’uomo, senza fare rumore, aiutò la giovane ad uscire, se la caricò sulle spalle e scappò di corsa verso il paese. Quando si accorse che la fanciulla non ricordava nulla di sé, la porto da una vecchia strega che le diede da bere un bicchiere di latte della sua capretta bianca; come d’incanto, la memoria tornò e la giovane indicò al cacciatore il paese del Primiero da cui proveniva. Come segno di gratitudine, la ragazza insegnò al cacciatore e agli altri uomini del suo paese come si fanno il burro, il formaggio e la ricotta dal latte. Da quel giorno, la vita sulle Dolomiti divenne più dolce. E il Mazaròl? Quando si accorse che la sua serva era fuggita, montò su tutte le furie; da allora nessuno l’ha più avvistato. Ma se camminando in montagna dovesse capitarti di incontrare delle piccole impronte, fai attenzione a non calpestarle!

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Le tre strade dell’apprendimento

Cosa significa imparare? Cos’è l’apprendimento? Questa domanda rappresenta un banco di prova per tutti coloro che desiderano educare. Se non siamo capaci di apprendere e di far apprendere, l’educazione è vana. L’apprendimento è un processo che presenta una struttura tripartita. Esistono, in altre parole, tre forme di apprendimento:

  • l’apprendimento cognitivo, che è apprendimento di concetti e proposizioni (come la gran parte delle conoscenze scolastiche);
  • l’apprendimento emotivo, che è apprendimento ed elaborazione dei sentimenti;
  • l’apprendimento psicomotorio, che è apprendimento di abilità.

Tutte e tre queste forme di apprendimento hanno il potere di modificare la nostra struttura cognitiva, di “aggiornare” la nostra mente creando nuovi collegamenti e nuovi percorsi. Tuttavia, non procedono seguendo tre strade separate. Le tre forme di apprendimento interagiscono tra loro, prima e durante il lavoro sul sistema cognitivo.

Il processo di apprendimento si può schematizzare così:

apprendimento
Clicca sulla mappa per ingrandirla.

Come puoi vedere, esistono due tipi di apprendimento:

  • apprendimento meccanico;
  • apprendimento significativo.

L’apprendimento meccanico è quello tipico dello “studio a memoria” fine a se stesso: la mente immagazzina informazioni nella memoria a breve termine ma, per ragioni di economia, non integra le nuove informazioni con quelle di cui già dispone. L’apprendimento meccanico è effimero: si tramuta presto in oblio, come sanno bene gli studenti.

L’apprendimento significativo, al contrario, prevede l’integrazione di ciò che si apprende all’interno della struttura cognitiva, modificando in profondità i legami tra concetti, sentimenti e abilità. Questo apprendimento è un apprendimento durevole.

LABORATORI DI EDUCAZIONE CREATIVA©

APPROFONDIMENTI

  • Abbiamo trattato in dettaglio la teoria dell’apprendimento significativo di J. Novak nell’articolo “Apprendimento meccanico o apprendimento significativo?“. Questi appunti sull’apprendimento sono condizionati fortemente da questa teoria scientifica, che a nostro avviso rappresenta un’eccellente teoria dell’apprendimento.
  • La struttura tripartita dell’apprendimento evidenzia bene l’importanza del movimento come fattore in grado di sostenere e potenziare l’apprendimento cognitivo. Quest’idea (che era già stata teorizzata da Maria Montessori) è stata esplorata da numerosi scienziati che hanno trovato un forte legame tra movimento e apprendimento.
  • L’apprendimento psicomotorio non è limitato agli esercizi ginnici o alle abilità professionali (lavorare il legno o la pietra, saldare i metalli etc.). Un esempio particolarmente interessante di attività che integra delle forme di apprendimento psicomotorio e che facilita tutti gli altri apprendimenti è la mindfulness.

FONTI

  • D. Ausubel, The Psychology of Meaningful Verbal Learning, Grune & Stratton, 1963
  • J. Novak, Costruire mappe concettuali, Erickson, 2010

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La ninfa del lago di Carezza

La ninfa del lago di Carezza

Tanto tempo fa, nel lago di Carezza abitava la ninfa Ondina, che col suo canto faceva innamorare di lei tutti i giovani del paese. Pochissimi l’avevano avvistata e quei pochi erano certi che su tutta la Terra – così dicevano – non ci fosse fanciulla più bella di Ondina.
Un giorno la vide lo stregone del Latemar, che s’innamorò perdutamente di lei e decise di rapirla per condurla nel suo nascondiglio. Tentò e ritentò, ma la ninfa non cadde nei suoi tranelli.
Lo stregone chiese aiuto alle Strie del Masarè, una congrega di streghe esperte in rimedi d’amore. Ed ecco il responso:«Se vuoi rapire Ondina dovrai fare come ti dico: travestiti da mercante di pietre preziose e va’ in riva al lago. Poi, con uno dei tuoi incantesimi, costruisci un arcobaleno, il più bello che si sia mai visto nel cielo. Dev’essere un arcobaleno scintillante, come se tu l’avessi forgiato con rubini, zaffiri e topazi. La ninfa uscirà dall’acqua per ammirarlo e tu potrai catturarla facilmente».
Lo stregone del Latemar seguì il consiglio delle Strie, ma dimenticò di traverstirsi. Seduto in riva al lago, fabbricò l’arcobaleno e davvero non s’era mai visto in terra un arcobaleno bello come il suo. Ondina uscì dall’acqua, incantata da quel prodigio scintillante, ma non appena avvistò lo stregone intuì il suo imbroglio e con un tuffo scomparve nelle acque del lago di Carezza. Da quel giorno, nessuno ha più avvistato la ninfa né udito la sua voce. Lo stregone, in preda alla collera, fece a pezzi l’arcobaleno e buttò i suoi frammenti nel lago; ed è per questo motivo che il lago di Carezza ha i colori dell’arcobaleno.

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La leggenda del lago rosso

La leggenda del lago rosso

C’era una volta il piccolo regno di Ràgoli; piccolo, sì, ma così ricco di boschi e di pascoli da suscitare l’invidia di tutti i vicini. Un giorno, il vecchio re di Ràgoli morì, lasciando un’unica figlia, la principessa Tresenga. La quale, dopo aver celebrato solennemente i funerali del padre, chiamò a raccolta i suoi sudditi e disse loro: «A Ràgoli manca un sovrano. Volete che io, Tresenga, diventi regina? O che sposi un principe? Se mi sposerò, mio nuovo marito, diventerà il nuovo re di Ràgoli e di tutte le sue ricchezze».
I sudditi sapendo quanto fosse buona Tresenga e quanto avidi gli altri principi, gridarono: «Tresenga regina! Tresenga regina!»
La giovane principessa li ascoltò: divenne regina e giurò solennemente che non si sarebbe sposata mai. Nel frattempo, la morte del vecchio re di Ràgoli aveva fatto il giro delle Dolomiti e ogni giorno un nuovo principe si presentava alle porte del palazzo, per chiedere in moglie Tresenga; ma la ragazza, senza mancare di rispetto a nessuno, rifiutò le proposte di tutti. Arrivò il turno di Lavinto, re di Tuenno; da sempre, il suo regno era in lotta con Ràgoli per il dominio dei ricchi pascoli sul Brenta. Lavinto pensò che sposarsi sarebbe stato un ottimo modo per risolvere la questione, una volta per tutte.
Al rifiuto di Tresenga, Lavinto montò su tutte le furie e la principessa fu costretta a chiamare le sue guardie e a farlo scacciare con le armi.
«Non finisce qui!» gridò il re, galoppando verso Tuenno. Qualche settimana più tardi, si venne a sapere che a Tuenno si era radunato un esercito e che Lavinto era pronto a muovere guerra al regno di Ràgoli.
Nuovamente, Tresenga chiamò i suoi sudditi e chiese loro: «La guerra incombe su Ràgoli; se sposerò Lavinto, la eviteremo. Altrimenti, dovrete combattere e molti di noi moriranno. Cosa volete che faccia?»
I sudditi gridarono: «Morte a Lavinto! Viva Tresenga!». Presero le armi e partirono lungo sentiero che risaliva le montagne verso Tuenno. Anche Tresenga andò con loro, armata come un cavaliere: la giovane regina non avrebbe abbandonato i suoi sudditi per nessuna ragione al mondo. Tresenga però non sapeva che nei boschi del Brenta c’erano ovunque le sentinelle di Lavinto, che corsero a Tuenno ad informarlo dell’arrivo dell’esercito di Ràgoli. Lavinto tese loro una trappola mortale: ordinò ai suoi soldati di nascondersi nei boschi sopra il lago di Tovel e di aspettare. Non appena la regina e il suo esercito raggiunsero le sponde del lago per rifornirsi di acqua, Lavinto sferrò il suo attacco. I soldati di Ràgoli, colti di sorpresa, si difesero con coraggio, ma non ci fu niente da fare: nessuno di loro scampò a quell’agguato. Anche Tresenga morì, combattendo tra le acque del lago. Quel giorno fu versato tanto sangue che il lago di Tovel si tinse di rosso, e tale è rimasto fino a pochi anni or sono. In seguito, Lavinto conquistò il regno di Ràgoli e divenne il padrone del Brenta. Tuttavia, per rendere omaggio al coraggio di Tresenga, chiamò col suo nome il piccolo torrente che dal lago di Tovel scende a valle. Qualcuno sostiene che il fantasma della giovane regina sia ancora lì, in riva al lago, e che nelle notti di plenilunio si possa sentire il suo pianto.

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