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Il settore secondario

Il settore secondario è uno dei tre settori dell’economia. Il settore secondario comprende le attività attraverso che trasformano le materie prime, cioè l’industria e l’artigianato.

Se la lavorazione delle materie prime è fatta a mano o utilizzando attrezzi (come martelli, coltelli, etc.) prende il nome di artigianato. Gli artigiani producono piccole quantità di prodotti (pochi pezzi, decine, centinaia). Se la lavorazione delle materie prime impiega macchinari meccanici ed elettronici prende il nome di industria. Le industrie producono grandi quantità di pezzi (migliaia, centinaia di migliaia, milioni).

Esistono molte attività industriali differenti. Le principali sono:

  1. Industria alimentare
  2. Industria metallurgica e siderurgica
  3. Industria metalmeccanica
  4. Industria tessile
  5. Industria elettronica
  6. Industria chimica
  7. Industria farmaceutica
  8. Industria manifatturiera
  9. Industria delle costruzioni (edilizia)
  10. Industria del mobile

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A cosa servono le emozioni positive?

Perché le emozioni positive sono utili? Le emozioni negative, per farti un esempio, predispongono il corpo ad una certa reazione: la rabbia ci spinge ad attaccare un avversario, la paura a fuggire, il disgusto a evitare il contatto con determinati cibi o sostanze. Si tratta di emozioni che hanno la funzione di salvarci la vita da potenziali pericoli. E le emozioni positive? La gioia, l’orgoglio e l’amore non generano comportamenti in modo altrettanto marcato. Proprio quest’assenza di comportamenti ha costituito per anni un ostacolo difficile per i ricercatori che affrontavano il tema delle emozioni positive.

La broaden-and-build theory sulle emozioni positive
Barbara Fredrickson, dopo una serie di controlli sperimentali rigorosi, ha proposto una teoria alternativa, conosciuta come broaden-and-build theory (teoria dell’ampliamento-costruzione). Secondo la teoria della Fredrickson, le emozioni positive non hanno il compito di generare un determinato comportamento. Al contrario, predispongono la mente all’apprendimento, la rendono molto più ricettiva agli stimoli. Le emozioni positive costruiscono un bagaglio di risorse intellettuali, sociali, psicologiche e fisiche che rimarranno a disposizione dell’individuo. Una persona che prova uno stato emotivo positivo, è naturalmente portata ad approfondire e apprendere, costruendo conoscenza e abilità; questo è quanto è emerso dalle ricerche condotte in laboratorio.
Questa teoria, inoltre, contestualizza la natura rapida e transitoria delle emozioni positive: nessuno di noi può vivere in uno stato perenne di gioia, di orgoglio o di gratitudine. Proprio come le emozioni negative, anche quelle negative sono transitorie. Tuttavia, durante il loro breve ciclo vitale, queste emozioni permettono di costruire risorse che permetteranno, anche dopo la loro scomparsa, di vivere con maggior soddisfazione la propria vita.

Le applicazioni pratiche della teoria
La teoria della Fredrickson è fondamentale per il mondo dell’educazione e della scuola: infatti, ci offre la possibilità di rendere più efficaci i nostri programmi educativi attraverso la ricerca di un ambiente capace di generare emozioni positive (ambiente di apprendimento positivo).
Alcuni studiosi si sono concentrati sulle pratiche utili per generare emozioni positive; quella che ha ottenuto il maggiore riscontro scientifico è il cosiddetto reliving, ovvero la rievocazione di un momento in cui abbiamo sperimentato delle emozioni positive. Un esercizio efficace è la scrittura di un ricordo: scrivere a proposito di un momento in cui abbiamo sperimentato delle emozioni positive intense e uno stato di profondo benessere ci permette di rievocare quelle sensazioni, quelle emozioni. Bastano poche righe; l’importante, è che l’esercizio sia svolto con autenticità, cercando di rievocare il ricordo in modo vivido. In questo modo, ci predisporremo ad imparare di più e meglio, a migliorare le nostre relazioni e ad entrare in una modalità decisamente più ricettiva.

Laboratori educativi

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

TORNA A:

BIBLIOGRAFIA
Fredrickson, B. L. (2004). “The broaden-and-build theory of positive emotions”. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences. 359

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La principessa della neve

La principessa della neve è una leggenda trentina per bambini da 4 anni in su.

La principessa della neve

Leggenda trentina. Testo a cura di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle

C’era una volta un piccolo regno tra le Dolomiti, governato da una bellissima regina, Chiomadoro. I suoi sudditi vivevano in pace, ma la regina era disperata e ogni giorno si nascondeva a piangere in cima alla torre del castello. Infatti, non riusciva a dare alla luce una principessa e si sa, un regno senza principesse è come un giardino senza fiori.

Un giorno, una donna bussò alle porte del castello: la sua pelle era bianca come la neve, indossava un’armatura di ghiaccio incantato e sui suoi capelli d’argento scintillava una corona di stalattiti. Era la Regina delle Nevi, che viveva sulle montagne della Marmolada, poco distanti dal castello.

La Regina delle Nevi chiese di parlare con Chiomadoro e le disse: “Perché ti disperi, mia cara? Ogni giorno, l’eco del tuo pianto arriva fino al mio castello, tra i ghiacciai. Non posso sopportare che una donna soffra così; dimmi cosa ti è successo e farò tutto ciò che posso per aiutarti.

Chiomadoro le raccontò della principessa: “Ormai sto invecchiando e non ho ancora dato alla luce una bambina; che ne sarà del regno senza una principessa? Quando morirò, verrà conquistato da qualche nobile senza scrupoli. Ah, che tragedia”.

La Regina delle Nevi promise a Chiomadoro che l’avrebbe aiutata; tornò sulla Marmolada e si presentò nuovamente al castello dopo tre giorni: tra le mani stringeva una piccola culla di ghiaccio. Al suo interno, riposava una minuscola bambina di neve.

La regina porse la culla a Chiomadoro e le disse: “Prendi con te questa bambina: è la principessa della neve. Crescila come una figlia, amala e lei ti ricambierà. Nelle sue vene scorre il sangue reale di queste montagne, diventerà un’ottima regina. Ma fai attenzione: i raggi del Sole non dovranno mai sfiorare la principessa della neve, neppure per un istante. Altrimenti si scioglierà, e io non potrò fare nulla per salvarla”.

Chiomadoro adottò la bambina e da quel giorno non fu più triste. Per rispettare l’ordine della regina, decise di invertire il giorno e la notte in tutto il regno.

“Udite! Udite! Udite! A partire da domani, tutti si alzeranno un’ora dopo il tramonto e andranno a dormire un’ora prima dell’alba. Finché il Sole splenderà sul regno, nessuno dovrà uscire di casa”.

I sudditi del regno amavano moltissimo la regina Chiomadoro e nessuno di loro si oppose al suo ordine: per qualche mese, la vita continuò come prima ma col passare del tempo le persone diventarono pallide, deboli e tristi.

Trascorsero gli anni e la principessa della neve divenne una ragazza piena di spirito e di energia. Il suo cuore era tutt’altro che di ghiaccio e la principessa si preoccupava moltissimo per gli abitanti del regno; per questa ragione si crucciava: le persone intorno a lei erano tristi e non capiva il perché.

Un’estate andò da sua madre, la regina Chiomadoro, e le chiese:

“Ve lo chiedo per favore,
dal profondo del mio cuore.
Perché regna la tristezza e non l’amore?”

Ma la regina non rispose. Allora, la principessa scappò dal castello, attraversò il bosco e raggiunse la grotta dove viveva la strega della montagna.

“Ve lo chiedo per favore,
dal profondo del mio cuore.
Perché regna la tristezza e non l’amore? “

La strega prese un paiolo di rame appeso a una parete della grotta, lo avvicinò al focolare e scrutò con attenzione i riflessi dorati che si agitavano sul metallo. Poi disse:

Sento odor di maledizione
ma non viene da uno stregone:
l’ha lanciata la regina,
quella che tu chiami mammina.

Quando il Sole sorgerà
apri le finestre e resta là.
La maledizione si scioglierà
e la gioia tornerà.

La principessa della neve tornò al castello senza dire una parola: si chiuse nella sua stanza e aspettò. Per tutto il giorno (o meglio, la notte) non rispose a Chiomadoro, che la chiamava attraverso la porta.

Aspettò l’alba e quando vide spegnersi tutte le luci del castello, spalancò la finestra della sua camera e uscì sul suo balcone. L’alba la investì con la sua luce rosata e il corpo di neve della principessa cominciò a fondere. Le sue guance erano rigate dalle lacrime, ma non erano lacrime di tristezza: erano i suoi capelli di ghiaccio che si scioglievano, alla calda luce del Sole.

In lontananza, la principessa vide gli abitanti dei regni vicini, che uscivano di casa; vide i bambini che seguivano i genitori nei campi ridendo e giocando. Soltanto allora capì cos’era successo: sua madre, la regina Chiomadoro, aveva scambiato il giorno con la notte per proteggerla.
“Amo mia madre, ma ciò che ha fatto è ingiusto: nessuno, per splendere, dovrebbe oscurare la luce degli altri. Preferisco sciogliermi che vivere causando tanto dolore”.

Ma quando la videro, il Sole, il Vento e le Nuvole ebbero pietà di lei.
“Quella bambina ha il corpo di ghiaccio, ma il suo cuore arde più di mille stelle. Non possiamo lasciare che si sciolga così”, dissero in coro. Insieme, escogitarono un piano per salvarla: le Nuvole fabbricarono un castello per proteggerla dai raggi del Sole; il Vento soffiò, la portò in alto nel cielo e la posò nel suo nuovo castello.

Gli abitanti del cielo adottarono la principessa della neve e da quel giorno visse con loro, come una sorella. Si dice che sia ancora lì, nel suo castello tra le nuvole.

Solo d’inverno torna sulla Terra, per trovare sua madre: allora il cielo si copre e la neve ammanta le montagne, per impedire alla principessa di sciogliersi.

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La leggenda del re Laurino

La leggenda del re Laurino

Fiaba delle dolomiti

Tanto tempo fa, sui monti del Catinaccio, nel cuore delle Dolomiti, abitava il re dei nani Laurino. Il sovrano lavorava giorno e notte per estrarre le pietre preziose nel cuore della montagna e si dice che durante i suoi scavi avesse trovato due oggetti magici: una cintura che donava al suo portatore la forza di dodici cavalieri e un mantello capace di rendere invisibile chi lo indossava.
Un giorno, il re dell’Adige, decise di dare in sposa sua figlia Similde e diede una grande festa nel suo palazzo: invitò tutti i sovrani tranne Laurino. Il re dei nani, offeso, si intrufolò alla festa indossando il mantello che rendeva invisibili; quando vide Similde, se ne innamorò a tal punto che la caricò sul suo cavallo e la rapì, portandola nel suo palazzo tra le montagne.
I cavalieri del re dell’Adige la cercarono in lungo e in largo, ma nessuno di loro riuscì a trovare la casa di re Laurino, nascosta sulle Dolomiti.
Nel frattempo, il re dei nani decise di fare un regalo alla sua futura sposa: piantò nel suo giardino tra le montagne centomila rose rosse.
I cavalieri videro il giardino da lontano e capirono che il re dei nani si nascondeva proprio lì, così partirono al galoppo e raggiunsero il suo palazzo. Circondato, Laurino indossò la sua cintura magica e sfidò a duello i cavalieri: grazie al potere della cintura sconfisse i primi dodici cavalieri, ma il tredicesimo lo atterrò e gli strappò la spada dalle mani. Il re dei nani, sconfitto, indossò il mantello che rendeva invisibili e scappò nel suo giardino; nessuno poteva vederlo, ma le rose ondeggiavano al passaggio di Laurino, così il cavaliere lo trovò, lo legò sul suo cavallo e lo portò dal re dell’Adige.
Laurino, prigioniero, lanciò una maledizione alla montagna e disse: “Nessuno potrà più ammirare il mio giardino, né di giorno né di notte”. Le rose rosse scomparvero magicamente e la montagna tornò bianca; tuttavia, il re si era dimenticato dell’alba e del tramonto, che non sono né giorno né notte.
Ancora oggi, a quell’ora, le Dolomiti si tingono di rosso, come un giardino fiorito: sono le rose di Laurino, che per qualche istante sfuggono alla maledizione.

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La leggenda del Mazaròl

La leggenda del Mazaròl

In un tempo ormai lontano, da qualche parte sulle Dolomiti, abitava il Mazaròl, un piccolo ometto vestito di rosso, col cappello a punta e una mantella nera. Il Mazaròl conosceva a menadito le montagne, i loro abitanti e i loro segreti, compreso il più prezioso: l’arte di ricavare il formaggio, il burro e la ricotta dal latte. Quando tutti dormivano, il Mazaròl mungeva le vacche nelle stalle e portava i secchi di latte nel suo nascondiglio; all’alba, cominciava a preparare il burro, il formaggio e per finire la ricotta. Era un lavoro estenuante, che lasciava il folletto esausto e scontroso. Gli abitanti delle Dolomiti badavano bene a non avvicinarsi al Mazaròl: un’antica leggenda infatti raccontava che chiunque avesse calpestato una delle sue orme sarebbe diventato suo schiavo per l’eternità.
Un giorno, una ragazza del Primiero, camminando tra i pascoli poggiò un piede su un’impronta del folletto. Stregata dall’incantesimo, la fanciulla cadde distesa sull’erba e si svegliò nel rifugio del Mazaròl, una casetta di legno e pietra in cima a un alpeggio.
«Bene! Bene!» esclamò il folletto, saltando di gioia. «Finalmente ho trovato un nuovo aiutante».
Poi offrì da bere alla ragazza un bicchiere di latte della sua capretta nera e lei dimenticò ogni cosa della sua vita passata. Da quel giorno la poveretta fu costretta a servire il Mazaròl, dall’alba fino a notte fonda, senza mai uscire dal suo rifugio. Il folletto le insegnò come togliere la panna dal latte e come trasformarla in burro, come ricavare il formaggio dal latte e la ricotta dal siero. La giovane donna imparò tutti i segreti dell’arte casearia. All’alba, il Mazaròl rincasava col suo carico di latte e le diceva: «Sei proprio brava! Un giorno o l’altro ti insegnerò l’ultimo dei miei segreti: come trasformare il latte in cera».
Una mattina, un cacciatore passò davanti al suo rifugio e vide da una finestrella spalancata la ragazza; il folletto stava dormendo al piano di sopra e non si accorse di nulla. L’uomo, senza fare rumore, aiutò la giovane ad uscire, se la caricò sulle spalle e scappò di corsa verso il paese. Quando si accorse che la fanciulla non ricordava nulla di sé, la porto da una vecchia strega che le diede da bere un bicchiere di latte della sua capretta bianca; come d’incanto, la memoria tornò e la giovane indicò al cacciatore il paese del Primiero da cui proveniva. Come segno di gratitudine, la ragazza insegnò al cacciatore e agli altri uomini del suo paese come si fanno il burro, il formaggio e la ricotta dal latte. Da quel giorno, la vita sulle Dolomiti divenne più dolce. E il Mazaròl? Quando si accorse che la sua serva era fuggita, montò su tutte le furie; da allora nessuno l’ha più avvistato. Ma se camminando in montagna dovesse capitarti di incontrare delle piccole impronte, fai attenzione a non calpestarle!

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Le tre strade dell’apprendimento

Cosa significa imparare? Cos’è l’apprendimento? Questa domanda rappresenta un banco di prova per tutti coloro che desiderano educare. Se non siamo capaci di apprendere e di far apprendere, l’educazione è vana. L’apprendimento è un processo che presenta una struttura tripartita. Esistono, in altre parole, tre forme di apprendimento:

  • l’apprendimento cognitivo, che è apprendimento di concetti e proposizioni (come la gran parte delle conoscenze scolastiche);
  • l’apprendimento emotivo, che è apprendimento ed elaborazione dei sentimenti;
  • l’apprendimento psicomotorio, che è apprendimento di abilità.

Tutte e tre queste forme di apprendimento hanno il potere di modificare la nostra struttura cognitiva, di “aggiornare” la nostra mente creando nuovi collegamenti e nuovi percorsi. Tuttavia, non procedono seguendo tre strade separate. Le tre forme di apprendimento interagiscono tra loro, prima e durante il lavoro sul sistema cognitivo.

Il processo di apprendimento si può schematizzare così:

apprendimento
Clicca sulla mappa per ingrandirla.

Come puoi vedere, esistono due tipi di apprendimento:

  • apprendimento meccanico;
  • apprendimento significativo.

L’apprendimento meccanico è quello tipico dello “studio a memoria” fine a se stesso: la mente immagazzina informazioni nella memoria a breve termine ma, per ragioni di economia, non integra le nuove informazioni con quelle di cui già dispone. L’apprendimento meccanico è effimero: si tramuta presto in oblio, come sanno bene gli studenti.

L’apprendimento significativo, al contrario, prevede l’integrazione di ciò che si apprende all’interno della struttura cognitiva, modificando in profondità i legami tra concetti, sentimenti e abilità. Questo apprendimento è un apprendimento durevole.

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APPROFONDIMENTI

  • Abbiamo trattato in dettaglio la teoria dell’apprendimento significativo di J. Novak nell’articolo “Apprendimento meccanico o apprendimento significativo?“. Questi appunti sull’apprendimento sono condizionati fortemente da questa teoria scientifica, che a nostro avviso rappresenta un’eccellente teoria dell’apprendimento.
  • La struttura tripartita dell’apprendimento evidenzia bene l’importanza del movimento come fattore in grado di sostenere e potenziare l’apprendimento cognitivo. Quest’idea (che era già stata teorizzata da Maria Montessori) è stata esplorata da numerosi scienziati che hanno trovato un forte legame tra movimento e apprendimento.
  • L’apprendimento psicomotorio non è limitato agli esercizi ginnici o alle abilità professionali (lavorare il legno o la pietra, saldare i metalli etc.). Un esempio particolarmente interessante di attività che integra delle forme di apprendimento psicomotorio e che facilita tutti gli altri apprendimenti è la mindfulness.

FONTI

  • D. Ausubel, The Psychology of Meaningful Verbal Learning, Grune & Stratton, 1963
  • J. Novak, Costruire mappe concettuali, Erickson, 2010

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