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La favola delle ciliegie

la favola delle ciliegie

LA FAVOLA DELLE CILIEGIE

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’erano una volta due piccole ciliegie sorelle. Come tutte le ciliegie, vivevano attaccate allo stesso picciolo e non si erano mai separate una dall’altra.
A maggio, quando erano ancora piccole e verdi, scoppiò un temporale: la più piccola delle due ciliegie esclamò: “Che bel temporale! E quanta acqua: avremo da bere a sufficienza e diventeremo grandissime”.
La più grande delle due, invece, si lamentò dicendo: “Che orribile pioggia; fa freddo e siamo fradice come i panni bagnati. Ci ammaleremo di sicuro”.
Chi delle due aveva ragione?
A giugno, il tempo si rasserenò e cominciò a splendere il caldo Sole d’estate. La più piccola delle due ciliegie esclamò: “Che bel Sole! E che calduccio; con questo tempo diventeremo rosse come rubini”.
La più grande, invece, si lamentò dicendo: “Ci mancava soltanto questo Sole rovente. Se continua così matureremo al punto di marcire, e poi con quest’aria calda arriveranno nugoli di mosche e di vespe”.
Chi delle due aveva ragione?
Sempre a giugno, un merlo afferrò il picciolo col becco e portò via le ciliegie, nel suo nido. La più piccola delle due esclamò: “Guarda che panorama qui sotto! Grazie a questo merlo potremo vedere il mondo, e poi potremo sfamare i suoi uccellini con la nostra polpa dolce. È bello essere ciliegie”.
La più grande delle due, invece, si lamentò dicendo: “Questo lo dici tu; quel furfante ci porterà nel suo nido e ci mangerà. È questo il destino di noi ciliegie”.
Chi delle due aveva ragione?
Il merlo diede le ciliegie ai suoi uccellini e lanciò i due semi nel prato che si trovava sotto il suo nido. La più piccola delle due esclamò: “Che fortuna! Tra poco metteremo foglie e radici e ci trasformeremo in due magnifici alberi, così anche gli abitanti di queste terre potranno gustare le nostre ciliegie”.
La più grande delle due, invece, si lamentò dicendo: “Cresceremo lontane dalla nostra casa, e poi chissà se diventeremo mai alberi. Io penso invece che qualche animale ci mangerà”.
Il tempo passò e i due semi crebbero e diventarono due magnifici ciliegi. Un giorno, l’albero nato dalla ciliegia più piccola disse all’altro: “È bello essere degli alberi, gli uccellini fanno il nido tra i nostri rami e gli uomini si prendono cura di noi, in cambio di qualche ciliegia. Mi sento così importante”. Ma l’albero nato dalla ciliegia più grande si lamentò dicendo: “Che fatica essere alberi; e poi, presto o tardi qualcuno ci taglierà a pezzi e ci butterà in una stufa. Era meglio quando eravamo soltanto ciliegie”.
Queste ciliegie ci insegnano una lezione importante: c’è chi trova qualcosa di buono anche nella sfortuna e chi vede il male anche nella più grande delle fortune.

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

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La leggenda del cactus

la leggenda del cactus

LA LEGGENDA DEL CACTUS

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

Tanto tempo fa, in un deserto lontano, ci fu una guerra tra i fiori che crescevano in un’oasi e le rose del deserto che abitavano tra le dune. Dopo molte battaglie, i fiori decisero di stipulare la pace con le rose del deserto: per suggellare la loro alleanza, il re dei fiori avrebbe concesso sua figlia in moglie al generale delle rose del deserto. La figlia del re dei fiori era combattuta: il generale delle rose del deserto era nobile, gentile e valoroso, però… lei nell’oasi aveva acqua fresca e tante amiche, ma tra le dune sarebbe stata sola. E sotto il Sole, perdipiù!
Quando il suo futuro marito venne in visita all’oasi, per organizzare le nozze, la giovane principessa gli domandò: “Dove troverete l’acqua per nutrirmi e le palme per ripararmi dai raggi roventi del Sole?”
“Non preoccuparti”, rispose lui, ti ripareremo sotto una grande roccia e verremo a prendere l’acqua tutti i giorni.
La giovane pianticella scosse il capo: vivere nascosti sotto un sasso e bere l’acqua calda dopo un lungo viaggio era fuori discussione. Così si rinchiuse nelle sue stanze a studiare, alla ricerca di una soluzione: non avrebbe abbandonato l’oasi senza un piano. In un vecchio libro scoprì l’esistenza di alcune piante capaci di allungare le proprie radici per decine di metri sotto la sabbia, fino a raggiungere l’acqua dell’oasi.
La notte prima delle nozze, la pianticella si recò dalla palma maga, l’incantatrice dell’oasi e le chiese una pozione per far crescere le sue radici così in profondità da raggiungere l’acqua dell’oasi. La palma le fece bere un certo intruglio ma la mise in guardia: “Otterrai ciò che chiedi, ma in cambio dovrai offrire qualcosa”.
Il giorno seguente la carovana delle rose del deserto partì, diretta verso le dune aride, portando con sé la principessa dei fiori. Dopo un lungo viaggio raggiunsero la duna imperiale, e lì conficcarono la pianticella nella sabbia.
“Domani ti porteremo nella tua nuova casa” le disse il generale.
Quella notte, la pozione che aveva bevuto fece effetto: le radici della pianticella si allungarono così tanto che arrivò a bere l’acqua fresca della sua vecchia oasi ma le sue foglie, tenere e verdi, si trasformarono in spine dure come l’acciaio.
La mattina seguente, le rose del deserto, al posto della pianticella trovarono un cactus grande, verde e irto di spine.
“E tu chi saresti?” domandò il generale.
“Sono la tua sposa, ma ho cambiato la mia forma; adesso posso sopravvivere anche alle dune più aride. Così non dovrai nascondermi sotto un sasso e potremo vivere insieme”.
“L’hai fatto per me?” domandò la rosa del deserto, sciogliendosi in lacrime; “Grazie. Spero di poter ricambiare il tuo amore un giorno”.
La rosa del deserto rimase accanto al cactus, ma si scrollò le lacrime di dosso in fretta e furia, prima che si portassero via il suo bel corpo (le rocce paiono indistruttibili, ma sono molto più fragili di quel che sembra: basta un temporale a sciogliere le rose del deserto); le sue lacrime caddero sulla sabbia intorno al cactus, che le raccolse con le sue radici, perché la gratitudine è un nettare prezioso. Magicamente, sul capo della principessa, sbocciò un fiore bianco, rosa e arancione, il fiore più bello di tutto il deserto.
Da allora, i due sposi non si sono più separati: quando piove, la principessa cactus ripara la rosa del deserto sotto il suo corpo e durante le notti d’estate, nel deserto, si odono le loro voci cantare all’unisono sotto le stelle.

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La leggenda del tallone del frate

la leggenda del tallone di frate

LA LEGGENDA DEL TALLONE DEL FRATE

Tanto tempo fa, una ricca signora abitava nella piovosa Irlanda. Questa Signora possedeva tanti oggetti. Ormai la sua casa strabuzzava di cose ma lei continuava a comprarne di nuove e più ne comprava più ne avrebbe comprate.
Figuratevi cari bambini, riuscì anche a comprare delle pietra alte 3 metri. Che se ne faceva chiederete voi, nulla, ma lei amava comprare.
Un giorno un affascinante gentiluomo venne a bussarle alla porta, era una persona dai modi garbati e decisi.
La signora lo aprì facendole accomodare in casa.
“Signora ho fatto un lungo viaggio solo per venire fin qui. Lei possiede qualcosa che a me interessa molto. Non uscirò da questa casa con un no come risposta”.
“Giovanotto, io non do nulla per nulla. Annuso i buoni affari, non mi trufferà” disse la signora
Il gentiluomo incalzò: “Signora, sono un semplice collezionista di pietre. Vorrei comprare tutte le pietre che lei possiede”.
La signora non si disfaceva mai di qualcosa di suo, era attaccata ai suoi oggetti, e soprattutto a quelle vecchie pietre. Rifiutò l’offerta del gentiluomo e tornò in casa a contare i suoi oggetti. Qualche giorno dopo il gentiluomo tornò e bussò nuovamente alla sua porta. Questa volta il gentiluomo era ancora più determinato a comprare le pietre e le offrì una somma di denaro ancora più alta della precedente. Ma la signora non si lasciò convincere e rifiutò. I giorni passarono e il gentiluomo tornava sempre con la sua offerta e la donna senza scomporsi rifiutava.
Un giorno il gentiluomo arrivò alla sua porta con una grossa borsa piena di monete d’oro, promettendole questa volta di darle tutte le monete che sarebbe riuscita a contare, nel periodo di tempo in cui lui stesso avrebbe impiegato per trasportare le pietre dall’Irlanda all’Inghilterra.
A quel punto la donna, vedendo la borsa luccicante e piena di monete accettò. Ma ciò che non poteva sapere la povera vecchina era che quel giovane gentiluomo era il Diavolo in persona. E naturalmente il Diavolo riuscì a trasportare tutte le pietre prima che la donna potesse contare anche una sola moneta in quella borsa. E così alla donna non toccò neanche una moneta d’oro.
Dopo aver sistemato le pietre, il diavolo iniziò a vantarsi che nessuno riuscisse a contarne esattamente il numero. Un frate di passaggio, però, una volta esclamò: “Ce ne sono più di quante se ne possano contare”. Dopo aver udito la risposta giusta, il Diavolo si arrabbiò così tanto che lanciò una pietra addosso al frate, colpendo il tallone dello sventurato e piantandosi nel terreno, nella posizione esatta in cui è possibile ammirarla tuttora.

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La leggenda della camomilla

la leggenda della camomilla

LA LEGGENDA DELLA CAMOMILLA

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta un prato in collina, a ridosso del mare, là dove la terra d’estate è gialla di girasoli; non parliamo di un campo di quelli che si spingono fin dove l’occhio riesce ad arrivare, era soltanto un praticello di collina. Nonostante il Sole splendesse il prato dall’alba al tramonto, non vi crescevano alberi da frutto, né grano o null’altro di rigoglioso; soltanto una minuscola pianticella dalle foglie frastagliate aveva fatto capolino da una fessura nella terra. Piccola e senza fiori.
Il Sole, tuttavia, prese in simpatia quella piantina e cominciò a parlarle: oggi discutevano del tempo e del clima, domani dei corvi e dopodomani chissà di cos’altro; la pianticella era felice di avere un compagno tanto speciale: un amico, come si dice, “bello come il Sole”.
Presto, però, la pianta cominciò a sentirsi in imbarazzo ad avere un amico così speciale; le pareva che i girasoli e gli ulivi la guardassero di sottecchi e dicessero: “che razza d’amica s’è scelta il Sole, rinsecchita e senza fiori”. La pianticella si convinse di non meritare il Sole, smise di parlargli e cominciò ad evitarlo, volgendo lo sguardo a terra dall’alba al tramonto.
In Sole si accorse del cambiamento e si preoccupò: “Forse le ho detto qualcosa che l’ha offesa? Forse le ho fatto uno sgarbo?”.
Dopo mille indecisioni finalmente prese coraggio e chiese alla piantina: “Cosa c’è che non va? Sei risentita verso di me?”.
La piantina sporse il capo, timidamente, dalla fessura in cui era nascosta e rispose con un fil di voce: “No di certo, è solo che tu sei così…bello, e io sono una pianticella da nulla, con quattro foglie secche e niente di più”.
Il Sole trattenne una risata, per non ferire ulteriormente la piantina, ch’era già tanto abbattuta, e le rispose con dolcezza: “Non importa; tu m’ispiri con i tuoi pensieri sul mondo e col sorriso che avevi fino all’altro giorno. Splendeva più dei miei raggi, sai?”.
Il Sole avrebbe voluto continuare, ma era giunto il tramonto e dovette lasciare il posto alla Luna, ch’era una signorina tremendamente pignola; prima di andare, aggiunse soltanto: “Ti ho detto quello che penso; ma ti prego, domani mi dirai se anche tu mi vuoi bene come te ne voglio io?”.
Quella notte la pianticella rimase sveglia, riflettendo sulle parole del suo amico. Il Sole era così nobile e ottimista. Anche lei avrebbe voluto avere un po’ della sua energia e del suo coraggio; avrebbe tanto desiderato regalare alla Terra un caldo abbraccio, come una stella, ma si sentiva così fragile e brutta. All’improvviso, però, sentì che i raggi del suo amico avevano riscaldato anche il suo cuore e che si sentiva diversa: si voleva bene. E voleva bene anche al Sole, col cuore.
Quella notte accadde un prodigio: sullo stelo della pianticella si schiuse una corona di fiori bianchi e profumati.
All’alba, quando il Sole rischiarò la Terra, non trovò più l’amica che aveva lasciato la sera prima: adesso era alta e bella, si era trasformata in un cespuglio di camomilla
“Sei bellissima” disse il Sole alla camomilla, “era questo il tuo destino e sono proprio felice che l’abbia capito anche tu”.
Da allora, il Sole e la camomilla hanno continuato a volersi bene e a trascorrere insieme le calde giornate d’estate. E d’inverno, quando il giorno è breve e l’aria è gelata, la camomilla regala agli uomini i suoi fiori essiccati, perché possano farci una buona tisana che porti il calore e l’energia del Sole nelle proprie case. È così che ringrazia la natura per averle offerto un amico tanto speciale.

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Ginestra e il solstizio d’estate

ginestra e il solstizio d'estate

GINESTRA E IL SOLSTIZIO D’ESTATE

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

La notte più corta dell’anno si avvicinava.
Gli uomini la chiamano solstizio e ogni anno, quel giorno, festeggiavano l’arrivo dell’estate; i bambini si rincorrevano nei prati e si arrampicavano sugli alberi per raccogliere le prime ciliegie acerbe.
Ma quella notte non era magica solo per gli umani: nelle grotte, nei boschi e perfino nelle vecchie case abbandonate, le streghe e i folletti si preparavano a festeggiare l’estate.
Anche Ginestra, una giovane streghetta col faccino costellato di lentiggini, si stava preparando con entusiasmo a quella notte magica. “Quest’anno raccoglierò più erbe di tutte le altre streghe!” pensava.
Dovete sapere che il passatempo preferito dalle streghe è collezionare erbe magiche, che custodiscono nei loro erbari dalla copertina d’oro massiccio. Nella prima notte d’estate si trovavano certe erbe rare, introvabili durante il resto dell’anno, come lo stramonio.
Per qualche strano motivo, però, gli esseri umani non le vedevano di buon occhio: anche loro raccoglievano erbe durante le prime notti d’estate, ma erano mazzi d’iperico per scacciare le streghe (o almeno, così credevano gli esseri umani).
Ginestra non si era mai preoccupata dei pensieri degli umani e si incamminò nel bosco spensierata, per raccogliere un bel cesto d’erbe durante quella notte tanto speciale.
E ne trovò, – ah se ne trovò! – però perse qualcosa di altrettanto prezioso: la strada del bosco. Le streghe non sono ricordate per il loro senso dell’orientamento, per questo di solito volano in cielo: così è più facile trovare la via del ritorno. Ginestra giunse in una piccola radura, nella quale sorgeva una casetta di legno: era una casa abitata dagli esseri umani.
“Accipicchia! Una strega nel folto del bosco; se mi vedono, finirò arrostita come una quaglia”.
Mentre si disperava, udì una voce alle sue spalle: “Ma tu sei… una strega!”
Era una bambina umana, alta all’incirca come Ginestra, con i riccioli biondi tutti arruffati e il naso sporco di terra; tra le mani reggeva un mazzolino giallo di iperico.
“S-ì-ì, sono una strega” balbettò Ginestra, col cuore in gola, “ma ti prego, non farmi del male; ho soltanto smarrito la strada di casa, non volevo disturbarvi”.
“Farti del male?” domandò la bambina.
“Sarà meglio piuttosto che TU non ci faccia del male con le tue strambe magie” le disse severa, fissandola con gli occhietti socchiusi e dimenando il mazzo giallo che reggeva tra le manine.
Le due creature si fissarono a lungo, intensamente. Infine, compresero: Ginestra non avrebbe fatto nulla di male all’altra, e viceversa. Erano soltanto due bambine, uscite di casa al calare del sole per raccogliere dei mazzolini d’erbe profumate, nulla di più.
“Forse ci siamo fraintese. Perché non andiamo insieme nel bosco a cercare le erbe?” si giustificò Ginestra.
“Va bene”, convenne con entusiasmo l’altra.
E così fecero: trascorsero la notte raccontandosi segreti su come preparare infusi e tisane e cogliendo le erbe più rare e evitando quelle avvelenate.
Quando l’alba si affacciò all’orizzonte, la streghetta disse: “Adesso devo andare. È tardi e la mia mamma sarà in pena per me”.
“Tornerai?” chiese la bambina.
“Lo vuoi?”
“Ma certo!”
“Aspettami domani, al tramonto: ci aspettano tante altre erbe incantate”.
Entrambe, la streghetta e la bambina umana, tornarono a casa col cuore pieno di gioia e energia: quella notte avevano condiviso la magia più potente di tutte, quella dell’amicizia.

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