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Educare alla gentilezza

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Educare alla gentilezza

Gentilezza: la rivoluzione del terzo millennio

La gentilezza può davvero cambiare il mondo? Sì, almeno secondo Cristina Milani, studiosa di psicologia cognitiva comportamentale e di comunicazione, che ha recentemente pubblicato La forza nascosta della gentilezza (Sperling & Kupfer, 2017). Obiettivo del libro è mostrare come anche i piccoli gesti abbiano il potere di cambiare il mondo, a partire dalla nostra felicità. Secondo la studiosa, la chiave di volta è l’impegno dei singoli: quando decidiamo di cambiare le cose, di rendere un po’ più felice il nostro angolo di mondo, ecco che scateniamo un effetto domino, capace di travolgere chi ci sta intorno.
La gentilezza è la vera rivoluzione -silenziosa-  del terzo millennio: essere gentili significa essere attenti agli altri; significa mettere al primo posto un vissuto sociale di qualità. In altre parole: la gentilezza è la vera chiave per evitare che l’egoismo e la competizione (che pure sono naturali e alle volte utili) rovinino le nostre relazioni, rendendoci infelici.

A scuola, a casa e specialmente in azienda, ci dimentichiamo spesso di essere gentili. A volte basta davvero poco: un sorriso, una stretta di mano, una busta passata con gentilezza. Attualmente, la troviamo alla presidenza di Gentletude, associazione elvetica che si occupa di promuovere le pratiche gentili, ma anche vicepresidente del Movimento Mondiale della Gentilezza.
Anche la neuropsicologia si sta occupando da tempo della gentilezza, con risultati sorprendenti. Candace Beebe Pert, neuroscienziata statunitense, ha provato che sorridere attiva il rilascio di speciali neurotrasmettitori che combattono lo stress e ci rendono felici (Repubblica, 2017).
Se questi studi dovessero essere confermati e corroborati, avremmo le prove scientifiche che l’educazione alla gentilezza non è soltanto un ideale sociale, ma un tassello fondamentale nella promozione del benessere psicofisico individuale. Sarebbe un sostegno forte a tutti coloro che, noi compresi, ritengono che l’educazione alla gentilezza dovrebbe essere obiettivo prioritario della scuola e della vita in famiglia.

Lo spunto di oggi non è operativo, ma serve a fare chiarezza tra i nostri pensieri. Prima del “buon proposito” di essere gentili (sì, i buoni propositi nel 90% dei casi non vanno mai oltre il proposito!) è necessario domandarci se noi crediamo davvero nella gentilezza.

  • Siamo convinti che la gentilezza possa cambiare il mondo?
  • Che possa rendere migliori le nostre vite e quelle dei bambini?
  • Siamo disposti a qualche piccolo sacrificio per promuovere e praticare la gentilezza?

Prima di praticare atti di gentilezza a casaccio (cit.), è necessario desiderare ardentemente una vita all’insegna della gentilezza. Quindi, proviamo a rispondere alle tre domande qui sopra, prendendoci del tempo, se necessario. Cominciamo a meditare sulla qualità della nostra vita e, soprattutto, delle nostre relazioni con gli altri.

In molti casi, non faticheremo ad individuare tensioni che, abbracciando la gentilezza, potrebbero essere facilmente risolte. Senza però dimenticare di l’assertività: la gentilezza dovrebbe nascere dal cuore, ma senza trascurare i nostri bisogni! A volte, è il caso di dirlo, è bene ritagliarci dei momenti “solo per noi”, chiudendo la porta agli altri.

Dodici minuti al giorno di gentilezza

Sapevi che la gentilezza si può praticare anche in silenzio, durante una passeggiata? I suoi effetti benefici sull’umore sono i medesimi: lo hanno dimostrato i ricercatori della Iowa State University in un articolo pubblicato sul Journal of Happiness Studies.
I ricercatori hanno chiesto ai partecipanti, divisi in gruppi, di camminare per 12 minuti intorno a un edificio. A seconda del gruppo, i ricercatori davano istruzioni su come orientare i propri pensieri durante la passeggiata: ad alcuni partecipanti hanno chiesto di produrre pensieri gentili verso il prossimo, ad altri di produrre pensieri sull’interconnessione sociale, ad altri infine di pensare a dei confronti sociali con il prossimo, in  modo da far emergere le proprie potenzialità. Naturalmente, per ogni gruppo era previsto un gruppo di controllo, che passeggiava senza istruzioni.
Ma quali erano le istruzioni per produrre pensieri gentili? “Per ciascuna persona che incontrerai durante la passeggiata, augurale una giornata felice”. I ricercatori motivavano i partecipanti a produrre un pensiero sincero, credendoci.
Dalle rilevazioni effettuate al termine della passeggiata è emerso che coloro ai quali era stato suggerito di produrre pensieri gentili presentavano un livello di ansia più basso degli altri, unito ad un grado di felicità e di empatia superiore alla media. In altre parole, questo studio ha dimostrato come i pensieri gentili, già nella loro dimensione astratta e individuale (ai partecipanti non erano richieste azioni concrete o interazioni con gli altri), producono benessere.
Un numero sempre crescente di studi e ricerche sta dimostrando come la gentilezza sia una strategia vincente per vivere bene: al contrario, i confronti e gli scambi competitivi – ad esempio quelli che avvengono, consapevolmente o meno, sui social network – producono tensione, ansia e stress.
L’esercizio proposto dai ricercatori si può trasportare con semplicità nella vita quotidiana. Le istruzioni erano le seguenti: guarda le persone che incontri e augurati che ciascuna di esse sia felice. I ricercatori suggerivano ai partecipanti di riflettere sul significato di quell’augurio, facendo in modo che da un pensiero vuoto diventasse un desiderio sincero.
Possiamo farlo anche noi: 12 minuti al giorno del resto sono ben poca cosa. Per vivere bene, è essenziale ritagliarsi dei momenti quotidiani da dedicare a se stessi e all’educazione del pensiero: l’esercizio dei pensieri gentili è uno di questi.

Teoria e pratica della gentilezza

Compiere atti gentili verso gli altri ci fa star meglio: la gentilezza, come tutti i comportamenti prosociali (ovvero quei comportamenti volti a fare del bene agli altri) è una potente alleata del benessere, anche quando non viene ricambiata.
Ma i benefici non si limitano alle semplici azioni. Un gruppo di ricercatori della University of California, Riverside ha condotto un esperimento su un campione di oltre 500 studenti per comprendere la relazione tra gentilezza e benessere. Dopo aver suddiviso gli studenti in gruppi, hanno assegnato compiti diversi: compiere un atto gentile, pensare a un atto gentile che si era compiuto in passato, fare entrambe le cose o nessuna delle due.
I ricercatori sapevano già che compiere un atto gentile avrebbe incrementato il benessere percepito; quello che non sapevano era che anche ripensare ad un atto gentile che si è compiuto ci aiuta a stare meglio. Questo innesca una spirale positiva: le persone gentili, infatti, traggono gioia non soltanto dalle loro azioni, ma anche dal rievocarle con la mente.
Questa scoperta è un ulteriore passo avanti nella comprensione degli effetti, potentissimi, che la gentilezza ha sulla mente umana e su come questa virtù possa rendere la vita migliore.
Ma cosa vuol dire, nella vita quotidiana, compiere un atto gentile?
Ecco un elenco di azioni gentili tra quelle suggerite dai ricercatori che hanno condotto lo studio:

  • Preparare la cena per la propria famiglia o per un amico;
  • Sbrigare una faccenda domestica per la nostra famiglia o per un amico;
  • Andare a trovare un parente, un amico o un conoscente anziano;
  • Inviare una lettera o un messaggio pieno di gratitudine a una persona per la quale proviamo tale sentimento.
    Vogliamo lanciarvi una piccola sfida educativa: provate a ripercorrere il percorso che hanno seguito gli studenti che hanno preso parte allo studio di cui abbiamo parlato. Per tre giorni, i ricercatori hanno chiesto loro di compiere un’azione gentile (una ogni giorno) tra quelle elencate qua sopra. Provate anche voi e al termine della sfida tirate le somme: vi sentite meglio?

La cultura della gentilezza

La cultura della gentilezza si contrappone alla cultura della competizione e della prevaricazione ed è ancora ai suoi albori. Per diffonderla sarà necessario battersi, in modo fermo e gentile. Ad ogni modo, sono sempre di più le evidenze scientifiche e pedagogiche a sostegno di una società della gentilezza.
La gentilezza si diffonde a partire da alcuni elementi fondamentali. Questi costituiscono una vera e propria cultura, un insieme di valori e convinzioni in grado di formare gli individui e modificare il modo in cui essi interagiscono con l’ambiente.
Per educare alla gentilezza è indispensabile interiorizzare questi fondamentali:

  • la convinzione che la gentilezza nasce come scelta personale (non possiamo aspettarci che il mondo sia gentile con noi, ma possiamo scegliere di essere gentili con il mondo);
  • la convinzione che la gentilezza richieda un approccio comunitario;
  • la convinzione che sia sempre il momento giusto per compiere un atto gentile.

Questi pilastri fondamentali della cultura della gentilezza si possono tradurre in quattro spunti operativi:

  • Educa te stesso: la rivoluzione della gentilezza è innanzitutto una questione individuale; comincia educando te stesso a compiere atti gentili ogni giorno, senza pretenderli dagli altri. In breve tempo ne vedrai i benefici e scoprirai che la gentilezza è contagiosa;
  • Pratica la gentilezza con costanza: se sei mamma o papà, ritaglia dei momenti per praticare ed esaltare la gentilezza in famiglia; se sei un insegnante, porta la gentilezza in classe, ogni mattina;
  • Impara a pensare come parte di una comunità: la gentilezza è fondata sulla cultura della condivisione e sul senso di appartenenza ad una comunità. Alla base della gentilezza c’è la convinzione che i problemi si affrontano meglio in gruppo. Sperimenta il circle time per parlare di ciò che non va;
  • Cerca più occasioni per essere gentile: con il passare del tempo, cerca di aumentare il numero di atti gentili che compi ogni giorno.

La gentilezza è alla base dell’apatia: sorridere, fare del bene, rendere migliore la giornata degli altri. E’ un valore che, poco alla volta, rende la nostra vita più piena. Essere gentili significa essere grati alla vita e al mondo che abitiamo. Per riscoprire la gentilezza, dobbiamo abbattere il muro dell’egoismo e delle finte preoccupazioni: abituiamoci a non utilizzare lo smartphone quando non è strettamente necessario. Abituiamoci ad ascoltare e a comunicare in modo sincero: guardiamo negli occhi i bambini e le persone con cui parliamo.
I bambini nascono gentili: fino a 6/7 anni, nonostante l’egocentrismo tipico della loro età, sono pronti a condividere con gli altri, comunicano volentieri e prendono a cuore i problemi degli altri. Perché noi adulti non ne siamo più in grado? Forse, un primo passo potrebbe essere proprio quello di riscoprire la gentilezza dell’infanzia, facendo un passo indietro con il cuore.

Le parole della gentilezza

Gentilezza e cortesia fanno stare meglio. Peccato che spesso, presi da mille pensieri, ce ne dimentichiamo. Eppure, per iniziare bene la giornata (e proseguirla), basta anche solo una parola, detta al momento giusto. Nella vita le parole davvero importanti non sono così tante e spesso ci sembrano scontate: per questo le perdiamo di vista e ci perdiamo in mille chiacchiere inutili.

GRAZIE
Non tutto ci è dovuto e ciò che gli altri fanno per noi non è automatico, ma segno di amore e rispetto. Un grazie cambia la vita e spesso migliora i rapporti.
PREGO
Non si tratta solo di buona educazione, ma di testimoniare la nostra gioia per ciò che abbiamo fatto.
PER FAVORE
Non sempre, andando di fretta, esprimiamo le nostre richieste nella maniera più corretta. Chiunque sia il nostro interlocutore, ricordiamoci che “per favore” implica la consapevolezza che ciò che viene fatto per noi è una cortesia.
CIAO!
Quattro banalissime lettere, che ci aiutano a interagire meglio con gli altri e a cambiare stile di vita. Vi capita mai di incrociare le persone di fretta, immersi nei vostri pensieri, senza nemmeno salutare? Quel “ciao” è un messaggio molto più ampio di un semplice saluto: significa “Ti auguro una buona giornata!”, “Spero che tutto vada bene!”
TI VOGLIO BENE
Non sempre bastano i gesti, a volte è importate sentirsi dire “ti voglio bene!”. E’ una testimonianza banalissima del nostro esserci, sempre.
COME STAI?
Proviamo a dimostrare il nostro interesse verso gli altri, chiedendo come stanno, ma, soprattutto, teniamoci pronti ad ascoltare davvero la loro risposta.
POSSO AIUTARTI?
Non tutti sono capaci di chiedere aiuto, per paura o orgoglio. E se fossimo noi ad offrire un po’ di assistenza?
SCUSA
Quanto può essere difficile chiedere scusa? L’importante è farlo solo se si è realmente pentiti. Tutti sbagliamo, ma ammettere i nostri errori è il primo modo per ricominciare. Senza falsità e con il massimo impegno.

I ragazzi che giocano a Fortnite sono più gentili degli altri

I videogiochi sono da sempre una fonte di grandi preoccupazioni per i genitori, oltre che il bersaglio di infinite critiche. Ma queste preoccupazioni sono fondate?
Recentemente, un team di ricercatori israeliani ha condotto uno studio per indagare gli effetti sulla socialità dei ragazzi del più chiaccherato fra i videogiochi: Fortnite, il gioco multigiocatore in cui i partecipanti – singoli o squadre – devono eliminarsi a vicenda.
Lo studio, intitolato “The Fortnite social paradox”, aveva lo scopo di indagare gli effetti del gioco sulla socialità dei ragazzi, per verificare l’impatto dei videogiochi violenti sul comportamento dei bambini e degli adolescenti.
I ricercatori hanno suddiviso 845 bambini in due gruppi: il primo destinato a Fortnite, il secondo a Pinball. Ciascun gruppo era a sua volta diviso in due sottogruppi: uno in cui i ragazzi giocavano in squadra e l’altro in cui giocavano da soli.
In seguito, ai ragazzi è stato chiesto di aiutare delle persone e di compiere delle piccole azioni socialmente utili.
A sorpresa, i ragazzi che avevano giocato a Fortnite, si sono rivelati quelli più propensi ad aiutare gli altri e hanno dimostrato un grado maggiore di benessere psicologico.
Questo studio è piuttosto interessante, perché permette di sfatare il mito – ormai consolidato – secondo cui i videogiochi violenti porterebbero a condotte antisociali e a un deterioramento generale del comportamento.
Al contrario, secondo i ricercatori, il contenuto formale di un videogioco non è molto importante e non è assolutamente predittivo della condotta dei ragazzi. Anzi, giocare ad un gioco violento collaborando con altri giocatori sarebbe un incentivo ai comportamenti prosociali.
Un discorso a parte merita il tempo da dedicare ai videogiochi, che deve essere limitato (così come il tempo dedicato a qualunque altra attività). Purtroppo, i videogiochi moderni sono talmente ben progettati da indurre i giocatori in un circolo vizioso che nel medio e lungo termine può degenerare nella dipendenza digitale, un problema serio e reale.

Le persone gentili sono persone forti

Le persone gentili sono persone forti. La gentilezza viene spesso fraintesa e scambiata per debolezza o per accondiscendenza. Eppure, quella non è gentilezza: è paura, desiderio di compiacere gli altri per sentirsi amati, è tutt’altra cosa da un vero gesto gentile. L’atto di gentilezza è facile da riconoscere:

  • non ha doppi fini e non viene compiuto per essere ricambiato;
  • è un atto d’amore;
  • è un atto che riteniamo giusto e necessario.

Dunque, fare qualcosa che non nasce dal nostro cuore e che non riteniamo giusto non significa essere gentili, per definizione. Purtroppo, è difficile cogliere le sfumature e spesso cadiamo nel tranello della “finta gentilezza”. Per riuscire a scioglierlo, abbiamo inventato un giochino.

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

TORNA A:

FONTI
https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/17439760.2019.1663252
Gentile, D.A., Sweet, D.M. & He, L. J Happiness Stud (2019). https://doi.org/10.1007/s10902-019-00100-2

The Fortnite social paradox, su: www.sciencedirect.com

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