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Perché il fuoco appartiene all’uomo

Questo racconto fa parte della raccolta “Fiabe dal mondo“.

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Perché il fuoco appartiene all’uomo

Leggenda dei nativi americani Alabama. Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Quando la Terra era giovane, il Fuoco apparteneva all’Orso. L’Orso portava il Fuoco con sé ovunque andasse. Quando faceva freddo, Fuoco teneva al caldo l’Orso e la sua famiglia. Quando era buio, il Fuoco illuminava la strada. Un giorno, l’Orso e la sua famiglia arrivarono in una foresta. L’Orso posò il Fuoco ai margini della foresta mentre lui e la sua famiglia andavano a esplorare. Presto l’Orso scoprì che questa foresta aveva le migliori ghiande che avesse mai assaggiato. Così, si trasferì nelle profondità del bosco per trovare sempre più ghiande e decise di fermarsi a vivere lì.

Quando il Fuoco, ai margini della foresta, finì la legna, gridò all’Orso: “Torna a nutrirmi! Non ho più niente da mangiare”. Ma l’Orso era lontano e non poteva sentirlo. Fu proprio in quel momento che arrivò l’uomo. Vide il Fuoco che stava per spegnersi e gli chiese se poteva aiutare. Il Fuoco gli disse: “Portami della legna e dei bastoni per favore”. L’uomo mise della legna suo Fuoco e lui riprese a fiammeggiare, tutto contento perché aveva molta legna da bruciare. Quando l’uomo scoprì che il Fuoco poteva scaldare e illuminare la notte, lo portò nella sua casa e continuò a dargli legna. Insieme erano felici.

E l’Orso? Quando tutte le ghiande nella foresta finirono, tornò a riprendere il Fuoco ma non c’era più. Girò in lungo e in largo per rintracciarlo e quando finalmente lo trovò nella casa dell’uomo il Fuoco gli disse: “Vattene! Quando avevo fame ti sei dimenticato di te; è stato l’uomo ad aiutarmi e adesso è lui il mio amico”.

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Il pastore e la stella

Questo racconto fa parte della raccolta “Fiabe dal mondo“.

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Il pastore e la stella

Leggenda portoghese. Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle

C’era una volta un pastore che viveva in un piccolo rifugio su una montagna e nascondeva un segreto: ogni notte si incontrava con una stella.

Quando il re venne a saperlo, fece chiamare a palazzo il pastore e gli disse: “Se mi darai la tua stella, in cambio ti darò una fortuna: sarai nominato Barone e avrai il tuo castello, le tue terre, dei servitori e tante altre ricchezze”.

Ma il contadino rifiutò l’offerta del re.
“Maestà, non posso accettare. Non riuscirei a vivere senza la mia stella; preferisco vivere da povero che rinunciare all’amica più preziosa che ho”.

Poi tornò al suo rifugio sulla montagna. Quella notte la stella gli disse: “Ho avuto tanta paura, sai? Temevo che per diventare ricco mi avresti abbandonato”.
“La nostra amicizia è troppo preziosa e dovrebbe durare per sempre” le rispose dolcemente il ragazzo. “Vale molto più dell’oro e dei castelli”.

Poi decise che da quel giorno avrebbe chiamato la montagna “Serra da Estrela”, che vuol dire montagna della stella. Ancora oggi, chi sale sulla sua cima di notte può scorgere una stella più luminosa di tutte le altre.

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La storia è il miglior antidoto all’indifferenza

Quando affrontiamo il tema della politica a scuola, solitamente veniamo criticati con durezza. Questo accade perché per noi la politica è quella dei compromessi, della corruzione e dei taciti accordi; viviamo la politica come una guerra tra bande e, purtroppo, proiettiamo questa visione sui nostri bambini. Così, tendiamo a tenerli lontani dalla politica, come se fosse un male capace di corromperli.

Eppure, la politica è alla base della civiltà umana. Quello che siamo è il frutto di millenni di attività politica. La politica è molto più grande degli scontri tra partiti: fare politica significa interrogarsi sui bisogni dell’uomo e proporre soluzioni concrete per realizzarli. Fare politica significa comprendere l’essenza del diritto come fondamento per la convivenza umana. Fare politica significa impegnarsi attivamente per far crescere la propria comunità. Proporre questi temi ai bambini sarebbe disdicevole? Assolutamente no.

C’è un’altro aspetto della politica che viene spesso sottovalutato: la storia. Studiare la storia dell’umanità significa studiare millenni di politica, accanto ai suoi effetti concreti. Liliana Segre sottolinea che “la storia va rimessa al centro dei programmi scolastici, perché è l’antidoto alla barbarie. Le tragedie sono dovute proprio all’indifferenza dei più. Per uscirne, occorre una scelta libera, una scelta di coscienza come è stato nel mio caso“. Lo storico greco Polibio, d’altro canto, sostenne che le forme di governo si alternano ciclicamente (è la famosa teoria dell’anaciclosi) e altrettanto ciclicamente si deteriorano e si evolvono. Conoscere queste forme di governo attraverso gli esempi storici e comprendere le cause che le hanno scatenate e gli effetti che hanno prodotto è l’unica strada che possiamo percorrere se vogliamo costruire consapevolmente il futuro.

Oggi il futuro è al centro di tanti dibattiti educativi. Noi siamo convinti sostenitori dello studio del passato per avere un futuro. Come scrisse Neil Postman: “Conoscere le proprie radici non significa soltanto sapere da dove è venuto il nonno e che cosa ha dovuto sopportare. Significa anche sapere da dove vengono le nostre idee e perché crediamo proprio in quelle, sapere da dove proviene la nostra sensibilità morale ed estetica. Significa sapere da dove viene il nostro mondo, non solo la nostra famiglia…
Quello che voglio raccomandare, dunque, è che ogni materia sia insegnata come storia. In questo modo anche i bambini delle prime classi potranno cominciare a capire, cosa che oggi non avviene, che il sapere non è qualcosa di fisso, bensì uno stadio dello sviluppo umano, con un passato e un futuro“.

Se vogliamo che l’umanità possa crescere ancora, se vogliamo consegnare ai nostri figli un mondo migliore di come l’abbiamo trovato, dobbiamo recuperare con urgenza la dignità degli studi storici. Non possiamo rimandare né minimizzare: il tempo sta per scadere e la storia potrebbe ripetersi.

FONTI

  • N. Postman, Technopoly, la resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, 1993 (ed. originale 1992)

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La volpe parlante

Questo racconto fa parte della raccolta “Fiabe dal mondo“.

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La volpe parlante

Fiaba cinese. Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Le volpi argentate assomigliano alle altre volpi, ma sono di colore giallo o bianco. C’è una specie di volpe argentata che può imparare a parlare come un uomo in un anno soltanto. Queste volpi sono chiamate “volpi parlanti”.

Questa storia è ambientata in un luogo remoto della Cina, conosciuto come Tower Mountain, la montagna sul bordo del mare.  Sulla montagna c’era un vecchio tempio con l’immagine di una dea, la Vecchia Madre di Tower Mountain. Quando i bambini si ammalavano, i loro genitori lasciavano dei piccoli biglietti con la loro immagine sull’altare del tempio, per chiedere aiuto alla dea. Ma non sapevano che dietro l’altare c’era una grande grotta in cui viveva una volpe parlante. Era lei che li aiutava, quando ne aveva voglia.

Altre volte usciva dalla grotta e si nascondeva vicino alla strada. Quando passava qualcuno, diceva: “Ehi, vicino! Fermati a fumare la pipa insieme a me”. I viaggiatori si guardavano intorno terrorizzati, poi scappavano a gambe levate, mentre la volpe rideva e diceva: “Ciao! Ciao! Arrivederci vicino”.

Una volta c’era un contadino che arava il suo campo, sul fianco della montagna. Alzando lo sguardo, vide un uomo con un cappello di paglia, che indossava un mantello di erba intrecciata che gli veniva incontro.
“Vicino Wang”, disse, “fuma la pipa e riposati un po’. Poi ti aiuterò io ad arare il campo”.
Il contadino lo guardò più da vicino e vide che non era un uomo, ma una volpe parlante. Non appena l’animale si avvicinò, lo colpì con la sua frusta di bue, perché credeva che fosse una creatura malvagia; la volpe si mise ad urlare e scappò via.

Da quel giorno la volpe si infuriò con gli uomini e lanciò una maledizione sul villaggio. Poco dopo, una donna si ammalò gravemente. Nessun medico riusciva a guarirla e suo marito andò al tempio sulla montagna per implorare aiuto.

Ma non appena la volpe udì le sue preghiere disse: “Le dea non vi aiuterà; l’unico di cui ho paura è il vicino Wang, che una volta mi ha colpito crudelmente con la sua frusta”.

L’uomo uscì dal tempio e cominciò a cercare in ogni casa questo Wang, finché un giorno lo trovò nel suo campo. Quando sentì della volpe, Wang prese la sua frusta e seguì lo straniero fino alla casa in cui c’era la sua moglie malata. Poi fece schioccare la frusta per terra una, due e tre volte, finché la volpe, che stava nascosta sotto il letto, scappò fuori dalla finestra per la paura.

la volpe parlante

Da quel giorno, la volpe continuò a combinare guai nel villaggio, ma nessuno riusciva ad acciuffarla, nemmeno Wang. L’animale infatti era diventato più furbo e non si fermava mai nella stessa casa più di una notte.

Un giorno arrivò un giovane arciere da un villaggio lontano, che aveva sentito tante leggende sulla volpe parlante ed era deciso ad ucciderla una volta per tutte. Senza dir niente a nessuno, cominciò ad esplorare qua e là, finché un giorno non trovò una volpe dal pelo argentato che dormiva sotto un albero.

L’arciere prese l’arco, incoccò la sua freccia e prese la mira, ma in quel momento la volpe si svegliò e lo implorò: “Non uccidermi. Gli uomini del villaggio non ti pagheranno più di cinquemila monete di rame per la mia pelle. Ma se mi lasci andare, verrò via con te, ti ricompenserò con un forziere pieno di monete d’oro e sarai ricco per tutta la vita. Pensaci bene”.

Cos’avrà scelto l’arciere? Avrà ucciso la volpe per cinquemila monete o sarà tornato al suo villaggio lontano insieme a lei? Solo una cosa è sicura: da quel giorno, nessuno vide più la volpe parlante sulla montagna.

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La palla di fuoco della volpe

Questo racconto fa parte della raccolta “Fiabe dal mondo“.

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La palla di fuoco della volpe

Fiaba cinese. Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle

C’era una volta un giovane contadino che  una sera tornò a casa tardi dal mercato. Passando davanti alla casa di un ricco gentiluomo, vide qualcosa che brillava nell’aria all’interno del giardino, qualcosa che brillava come una sfera di cristallo. Il ragazzo rimase stupito e scalò il muro intorno ai giardini, ma non c’era essere umano in vista; tutto ciò che vide era, a distanza, qualcosa che assomigliava ad un cane, che guardava la luna. Ad ogni respiro, una palla di fuoco usciva dalla sua bocca e si alzava verso la Luna. E ogni volta che inspirava, la palla di fuoco tornava verso di lui e lo strano animale la divorava. Il contadino si rese conto che era una volpe e che la palla di fuoco non era altro che l’elisir di lunga vita. Si nascose nell’erba e aspettò che la palla di fuoco si allontanasse dalla volpe. Poi saltò fuori, la afferrò velocemente e la mangiò; sentì uno strano calore mentre l’elisir scendeva nel suo stomaco. Quando la volpe se ne accorse, si infuriò con il ladro, ma aveva paura che il contadino potesse colpirla con la sua falce e così si allontanò per la sua strada, colma di rabbia.

la palla di fuoco della volpe

Da quel giorno il ragazzo acquistò dei poteri incredibili: poteva diventare invisibile, riusciva a vedere fantasmi e diavoli e parlava con gli spiriti. Riusciva a guarire gli ammalati e a perdonare le colpe di chi aveva commesso azioni imperdonabili. Il contadino ne approfittò e cominciò a vendere i suoi poteri, facendo una piccola fortuna.

Arrivato a cinquant’anni, aveva accumulato un tesoro e così smise di usare i suoi poteri. Si ritirò dalla città e andò ad abitare in un piccolo palazzo tra le montagne. Una sera, mentre era sdraiato in cortile a godersi l’aria fresca, si addormentò. Fece uno strano sogno: c’era qualcuno che gli accarezzava la schiena ed ecco che all’improvviso, la palla di fuoco che aveva ingoiato da ragazzo gli saltava fuori dalla gola. Il contadino si svegliò di soprassalto.

Dietro di lui vide la volpe, che gli disse: “Trent’anni fa hai rubato il mio tesoro e grazie a lui sei diventato un uomo ricco. Ma adesso basta: ho deciso di riprendere la mia palla di fuoco”. Poi, scomparve all’improvviso.

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La farfalla e la bambina

Questo racconto fa parte della raccolta “Il giardino delle emozioni“.

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La farfalla e la bambina

Testo di: Alessia de Falco

C’era una volta una bambina dalle guance rosa. Viveva in una casa con una grande vetrata che si affacciava sul cortile. Da lì, ogni mattina, salutava il suo papà che andava a lavorare.

“Ah, che persona speciale è il mio papà!” Pensava con orgoglio la bambina dalle guance rosa “È uno scienziato! Da grande voglio diventare come lui!”.

Il papà della bambina lavorava in un immenso laboratorio, dove si analizzavano tutti gli insetti del mondo. Faceva l’entomologo, una parola difficile che la bambina dalle guance rosa aveva imparato a memoria.

Tuttavia il papà aveva poco tempo da dedicarle, visto che era sempre molto indaffarato. Per non annoiarsi, la bambina aveva iniziato a sedersi sul davanzale della grande vetrata e ad osservare rapita il roseto che si snodava come un fiume rosso nel giardino.

“Lo senti anche tu il profumo dei fiori?”. La bambina dalle guance rosa sobbalzò.
“Chi ha parlato?”. Accanto a lei, sul davanzale, c’era un piccolo bruco verde.

“Ciao, come sei carino! ” disse la bambina avvicinando i suoi enormi occhi azzurri ed il nasino all’insù alla creaturina. “Anche tu sei carina!”, le aveva risposto il bruco, muovendo le antennine di gioia. Erano diventati amici!

Passarono i giorni e i due si tenevano compagnia. Un pomeriggio il bruco le rivelò un segreto: “Sai, presto anch’io sarò nel roseto, in mezzo a tutti quei fiori”.

La bambina dalle guance rosa guardò perplessa il bruco e si rattristò: “E quindi non potremo più essere amici?”. “No, lo saremo. Solo, sarò un po’ diverso: sarò una farfalla!”.

La bambina dalle guance rosa si insospettì e decise di andare nella grande libreria della casa a cercare una spiegazione. Fu lì che trovò un grande quaderno, pieno di disegni di tutti gli insetti del mondo. “È qui che il mio papà prende i suoi appunti! Ho un’idea: anche io farò un ritratto al mio amico bruco, così mi ricorderò sempre di lui”.

Da quel giorno, ogni giorno, la bambina disegnò il bruco che a poco a poco si trasformò, fino a diventare una farfalla. “Ora amica mia devo andare, è stato bello conoscerti!”

Sulle guance rosa della bambina scesero le lacrime: era felice per il suo amico, pronto a spiccare il volo verso nuove avventure. Ma giá le mancava!

la farfalla e la bambina

Quella sera il papà rientró prima e la trovò accucciata sul davanzale della grande vetrata, in lacrime. “Perché piangi bambina mia?”. La piccola singhiozzó sconsolata: “Ho perso un buon amico”.

Il papà le si avvicinò e raccolse il quaderno su cui era disegnata la metamorfosi del bruco. La guardò stupefatto: la bambina dalle guancia rosa aveva disegnato con estrema precisione ogni minimo cambiamento del bruco, seguendolo in tutta la sua trasformazione.

La abbracció, stretta stretta: “Un giorno, se lo vorrai, potremo studiare insieme le farfalle”. “Ma papà” esclamò la bambina “Hai sempre detto che il tuo lavoro non era adatto a me…”.
“Tesoro mio, ho imparato dalle farfalle. Nel tempo le idee si trasformano, proprio come il tuo amico bruco. E ho anche capito la cosa più importante: tu sarai sempre la mia piccola farfalla e, quando sarai pronta, volerai per la tua strada”.

Si abbracciarono, osservando il tramonto che calava sul roseto. Tra i fiori, una farfalla osservava la grande vetrata, ripensando ad una buona amica che non avrebbe mai dimenticato.

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