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Sapete perché si dice: “salvare capra e cavoli”?

Sapete qual è l’origine del detto popolare “salvare capra e cavolo”? Ce lo spiega Carlo Lapucci:

Salvare capra e cavolo: In una situazione che pare obblighi a una rigorosa alternativa bisogna studiare il mezzo, trovare il modo di raggiungere contemporaneamente i due scopi; bisogna barcamenarsi in maniera tale da sfuggire al dilemma di una scelta che escluda l’altra.

All’origine del detto c’è una storiella che pone un problema d’intelligenza. Un contadino doveva traghettare un lupo, una capra e un cavolo attraverso un fiume, sopra una barchetta che poteva portare solo una cosa per volta, salvando la capra dai denti del lupo e il cavolo da quelli della capra.

Il contadino traghettò prima la capra, tornò a prendere il cavolo, portato il quale, prese indietro la capra, sbarcandola di nuovo sulla riva dove l’aveva presa la prima volta. Da qui traghettò il lupo, quindi tornò a prendere la capra e salvò capra e cavolo, arricchendo inoltre alcune lingue europee di un proverbio e di un modo di dire.
Carlo Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani, 2007

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L’amore non è dipendenza, ma libertà!

Van Gogh, V. (1888). Il mare a Saintes-Maries-de-la-Mer

Una breve lettura per ricordarci che l’amore è libertà, altrimenti si trasforma in una dipendenza che ci imprigiona.

Tratto da: Thibon,G. (1943). Ritorno al reale

L’individualismo – l’abbiamo visto anche troppo – è soltanto un rifugio provvisorio; noi non siamo soli; non possiamo astrarci gli uni dagli altri, e, ben prima della suprema uguaglianza della morte, ci trasporta il medesimo destino. Dipende da noi soli il rendere questo comune destino favorevole o nefasto.

Se non viviamo insieme, come gli organi di uno stesso corpo, appassiremo e imputridiremo insieme, come quelle foglie senza linfa, così indipendenti le une dalle altre, così individualiste, ma che il medesimo vento d’autunno strappa e rivoltola a suo piacere. […]

L’uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno: è libero nell’esatta misura in cui dipende da ciò che ama, ed è prigioniero nell’esatta misura in cui dipende da ciò che non può amare. Così il problema della libertà non si pone in termini di indipendenza, ma in termini di amore.

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I giochi son giochi


Alessia de Falco & Matteo Princivalle

L’estate volgeva al termine e anche per Sophie era arrivato il giorno che tutti i bambini attendeva con ansia: il primo giorno di scuola.
La bambina era eccitata dall’idea di conoscere tante nuove amichette con cui giocare ad “Acchiappa la fatina” o “Inventa la tua pozione fiorita”.

Quei giochi glieli aveva insegnati la Fata Clorofilla, la magica creatura da cui la bambina non si separava mai. A dirla tutta, Sophie avrebbe dovuto lasciare a casa la sua magica amica durante le ore di lezione, ma non se ne crucciava troppo: avrebbe avuto così tante cose da raccontarle al suo rientro!

Il primo giorno di scuola trascorse in fretta. Fata Clorofilla era rimasta a casa, in trepidante attesa di Sophie. Non appena la sentì rientrare, le volò intorno, sbattendo le alette scintillanti. “Raccontami com’è andata, sono curiosissima”. Ma la bambina scosse la testa facendo ondeggiare la codina di boccoli biondi, butto lo zainetto per terra e si sedette sul suo lettino, guardando per terra imbronciata.

La fatina le si poggiò su una spalla e le chiese dolcemente: “Cosa c’è che non va?”.

“Beh” iniziò la bambina con una vocina stridula vicino al pianto “tanto per cominciare, nella mia classe ci sono solo maschi. Poi, visto che ci sono solo maschi, all’intervallo ho dovuto giocare a calcio e tu lo sai che odio il calcio. E per finire, Quando ho chiesto ai miei compagni se volevano giocare a “Acchiappa la fatina”, si sono messi a ridere”.

Fata Clorofilla la guardò pensierosa, poi le disse: “So io cosa ci vuole per te: una bella tazza di cioccolata calda e una fiaba”. E, mentre preparava la merenda iniziò a raccontare.

“C’era una volta una tigrotta molto carina che aveva un problema: era l’unica femminuccia della cucciolata e i suoi fratellini facevano giochi che non le piacevano tanto. Si rincorrevano, giocavano alla lotta e le facevano molti dispetti.

La tigrotta si annoiava un sacco: quanto le sarebbe piaciuto avere un’amica con cui raccogliere fiorellini o giocare alle pozioni fiorite!

Passavano i giorni, i cuccioli crescevano e la tigrotta si sentiva sempre più triste e sola. Un giorno, mentre guardava sconsolata la savana, una cavalletta le si posò sul naso: “Ehi tu, che ci fai qui tutta sola?”. La cavalletta era una gran chiacchierona e, a forza di saltellare qua e là, mise di buon umore la tigrotta che le raccontò tutto.

“Uhm, mi sembra di capire che non ti trovi tanto con quei maschiacci … Sai che ti dico? A volte, per risolvere un problema, bisogna guardarlo da una diversa prospettiva”. “Cosa intendi dire?” chiese la tigrotta, guardandola con i suoi occhioni curiosi. “Dico solo che forse dovresti incuriosirle i tuoi fratellini proponendogli tu un gioco nuovo, che possa piacere a tutti”.

“Ci sono! Inventerò una caccia al tesoro delle fate!”. E così fece: nascose fiori profumati in vari nascondigli e, quando fu tutto proprio, chiamò gli altri cuccioli: “Ehi, vi sfido a trovare tutti i tesori che ho nascosto”. Fu un pomeriggio indimenticabile: a volte, ci si sente un po’ fuori luogo o non capiti ma, se guardiamo bene nel nostro cuore, troveremo sempre un modo di giocare con i nostri amici. Del resto, chi trova un amico, trova un tesoro, maschietto o femminuccia che sia.

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La caffettiera e l’arte del silenzio

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una cucina, completa di tutto: pentole, utensili, posate e una bella caffettiera in servizio da anni. Un giorno arrivò un mestolo che, per attirare l’attenzione, sbatteva dappertutto, portando una gran confusione. Presto anche le forchette, i coltelli e i piatti cominciarono a parlare a voce sempre più alta, finché il fracasso non si fece infernale. Fu allora che la vecchia caffettiera richiamò tutti all’ordine e disse agli altri: “Vi svelerò un segreto: tempo fa, anche io borbottavo sempre ad alta voce. Purtroppo, con quella confusione, nessuno capiva quando il caffè era pronto e si bruciava ogni volta. Poi ho compreso : dobbiamo scegliere quando è il momento di alzare la voce, quando è meglio sussurrare e quando è bene rimanere in silenzio. Da allora il mio caffè è infinitamente migliore”.

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Leggere i libri attraverso i polpastrelli, di Umberto Eco

“Una biblioteca di casa non è solo un luogo in cui si raccolgono libri: è anche un luogo che li legge per conto nostro. Mi spiego. Credo che sia capitato a tutti coloro che hanno in casa un numero abbastanza alto di libri di vivere per anni con il rimorso di non averne letti alcuni, che per anni ci hanno fissato dagli scaffali come a ricordarci il nostro peccato di omissione. Poi un giorno accade che prendiamo in mano uno di questi libri trascurati, incominciamo a leggerlo, e ci accorgiamo che sapevamo già tutto quel che diceva. Questo singolare fenomeno, di cui molti potranno testimoniare, ha solo tre spiegazioni ragionevoli.

La prima è che, avendo nel corso degli anni toccato varie volte quel libro, per spostarlo, spolverarlo, anche soltanto per scostarlo onde poterne afferrare un altro, qualcosa del suo sapere si è trasmesso, attraverso i nostri polpastrelli, al nostro cervello, e noi lo abbiamo letto tattilmente, come se fosse alfabeto Braille. Io sono seguace del CICAP e non credo ai fenomeni paranormali, ma in questo caso sì, anche perché non ritengo che il fenomeno sia paranormale: è normalissimo, certificato dall’esperienza quotidiana.

La seconda spiegazione è che non è vero che quel libro non lo abbiamo letto: ogni volta che lo si spostava o spolverava vi si gettava uno sguardo, si leggeva la bandella di copertina, si apriva qualche pagina a caso, e così poco per volta se ne è assorbita gran parte.

La terza spiegazione è che mentre gli anni passavano leggevamo altri libri in cui si parlava anche di quello, così senza rendercene conto abbiamo appreso che cosa dicesse (sia che si trattasse di un libro celebre, di cui tutti parlavano, sia che fosse un libro banale, dalle idee così comuni che le ritrovavamo continuamente altrove).

In verità credo che siano vere tutte e tre le spiegazioni che interagiscono tra loro. Si leggono altri libri, senza accorgercene leggiucchiamo anche quello, e anche soltanto a toccarlo qualcosa nella grafica, nella consistenza della carta, nei colori, ci parla di un’epoca, di una ambiente. Tutti questi elementi messi insieme ‘quagliano’ miracolosamente e concorrono tutti insieme a renderci familiari a quelle pagine che, legalmente parlando, non abbiamo mai letto. Se pertanto una biblioteca serve per conoscere il contenuto di libri mai letti, quello di cui ci si dovrebbe preoccupare non è la sparizione del libro bensì quella delle biblioteche di casa”.

BIBLIOGRAFIA
Umberto Eco, La bustina di minerva, 1999

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La virtù e la saggezza non si possono comprare

La virtù e la saggezza non si possono né prendere in prestito, né comprare, ma scommetto che, se fossero in vendita, non troverebbero il compratore, mentre giornalmente si spende tanto per i vizi.

[…] Cerca piuttosto un bene duraturo; ma è duraturo solo quel bene che l’animo trova in sé. Soltanto la virtù procura una gioia stabile e sicura; anche se c’è un ostacolo, fa’ come le nubi, che si frappongono, ma non vincono mai la luce del giorno.

[…] Lascia ogni affare e mettiti a completa disposizione della saggezza: nessuno può raggiungerla, se ha altri impegni. La filosofia è sovrana nel suo regno: è lei che concede a noi il suo tempo, non noi a lei. Non è cosa accessoria; è la cosa principale.

BIBLIOGRAFIA
Seneca, Lettere a Lucilio

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