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Educare a pensare: le riflessioni di un’alunna di Alberto Manzi

EDUCARE A PENSARE

di Elisa Manacorda, alunna di Alberto Manzi

Ho avuto la fortuna di passare qualche anno della mia vita (dalla seconda alla quinta) con il Maestro Manzi, e sono qui per raccontarvi in prima persona quali sono le cose che dal mio personalissimo punto di vista il maestro mi ha trasmesso nelle ore passate in classe e fuori, e che ho sedimentato dentro di me. Ho fatto una lista di quattro parole chiave, che a loro volta si portano dietro concetti complessi. Alcune si ritrovano nella sua lettera che ci ha lasciato alla fine del ciclo scolastico, altre invece fanno parte della vita che abbiamo trascorso insieme, io e i miei compagni. Compagni e amici che ancora oggi formano un gruppo coeso, che ha voglia non soltanto di ricordare il passato ma anche di vivere insieme il presente.

FIDUCIA IN SE STESSI (coraggio, sicurezza)

La V A della Scuola elementare Fratelli Bandiera di Roma era una classe molto composita, in un quartiere di commercianti e media borghesia. Tra noi c’era il figlio del dirigente, quello del bancario, quello dell’intellettuale, ma anche quello del pizzicagnolo e del bidello. C’era la destra e c’era la sinistra (parliamo della fine degli anni Settanta). Qualcuno aveva più opportunità e più strumenti, qualcuno meno. Eppure questo dato incideva assai poco nella vita di noi bambini. Le lezioni del maestro avevano una caratteristica fondamentale, che oggi sembra essere persa. Si parlava moltissimo. Si discuteva tanto. E di temi difficili, alti: la democrazia, il rapporto con lo straniero (gli zingari, nel linguaggio dell’epoca). E ciascuno poteva davvero dire quello che pensava. Naturalmente avevamo opinioni molto diverse, ma le esprimevamo in libertà sapendo che nessuno sarebbe
stato preso in giro per il proprio pensiero. Erano discussioni vere, in cui nessuno sapeva dove saremmo andati a finire. Non c’era un obiettivo, o se c’era (il maestro presumibilmente lo aveva) era molto ben celato. In questo senso non importava tanto dove stessimo andando, ma la strada che stavamo facendo per raggiungere la nostra meta. Questo ci dava moltissima fiducia nelle nostre opinioni e nel nostro punto di vista. Anche il fatto di non essere etichettati con un voto alla fine del trimestre era molto importante ai fini della nostra fiducia. Naturalmente il maestro ci valutava, eccome. Ma non dava a questa sua valutazione un numero fisso. Era una valutazione variabile, che cambiava a seconda della giornata, a seconda di quello che avevamo fatto. Conoscendoci, sapeva perfettamente cosa potevamo fare e gli sforzi che ci erano necessari per andare avanti. Ma la strada era diversa per ognuno: partivamo da posizioni diverse, e rinchiudere i nostri percorsi in un numero sarebbe stata una gabbia che in alcuni casi avrebbe tolto la fiducia in noi stessi. Infine: nella lettera di fine anno c’è un riferimento molto esplicito alla fiducia in noi stessi. “Fate lavorare quel macinino del vostro cervello, perché nessuno di voi è incapace di farlo”. Nessuno. Il maestro aveva davvero una fiducia illimitata nelle nostre potenzialità. E oggi posso dire che tra noi, quelli che in una scuola normale sarebbero stati forse penalizzati oggi sono felici e realizzati professionisti.

CURIOSITÀ (autonomia, senso critico)

Anche questo è un tema importante, che io sento molto nel lavoro che faccio. Curiosità voleva dire non fermarsi all’apparenza delle cose, ma provare ad andare più a fondo, vedere le cose da un altro punto di vista, sempre. Nella lettera c’è una frase che incoraggia a “infilare le dita nelle piaghe del mondo”, e questo secondo me è il senso vero del suo insegnamento. Provare sempre a scavare, non essere superficiali, sapere che ogni cosa può avere mille sfaccettature e che la curiosità è parte integrante del senso critico. Quest’ultimo era un altro punto fondamentale: il senso critico fa sì che nessuno possa schiacciarti. C’era quindi un senso di libertà insito in
questo insegnamento, la capacità di continuare a ragionare e resistere a ogni “dittatura” intellettuale, essere sempre aperti ma saper ragionare con la propria testa. Mettersi nei panni degli altri, provare farsi domande, sempre, davanti a qualunque tema. Indagare, riflettere su un argomento, rigirarselo tra le mani prima di metterlo via.

ONESTÀ (etica, rispetto, dignità)

Questa parola, che pure è presente nella lettera di fine anno, serve a dire che la scuola del maestro era soprattutto una scuola di vita. Alberto Manzi era un trasmettitore di valori, e non di nozioni. Onestà era aderenza con quello che si era, era mancanza di ipocrisia, era coraggio delle proprie azioni. Il maestro aveva una formazione cattolica, ma onestà qui è inteso in senso laico, di dirittura morale. Era etica nelle cose che si dovevano fare, che bisognava fare bene e rispettando gli altri (esseri umani e viventi in generale). Lo studio, il lavoro, i rapporti con gli altri, tutto era improntato all’onestà, che però racchiudeva valori più grandi e più vasti. Era anche schiena dritta davanti alle avversità, era coraggio di pensare le cose in un certo modo, difendere le proprie idee, dignità propria e degli altri. Noi sapevamo che il maestro veniva punito per le sue scelte. Pagava in prima persona. E dunque questa dirittura morale, rispetto della nostra e della sua dignità è stato per noi un grande insegnamento.

LINGUAGGIO, LOGICA

Il maestro era molto attento alle parole. Era infatti narratore e traduttore, oltre che insegnante. Quando parlo di linguaggio intendo in primo luogo attenzione alla punteggiatura. Che in quegli anni e ancora oggi è stata molto trascurata. La sequenza che si vede nello sceneggiato, relativa all’arrivo dell’ispettore in classe, è vera. Il maestro scrisse sulla lavagna la frase “Il maestro, dice l’ispettore, è un asino”. Poi cambiò la punteggiatura e scrisse “Il maestro dice: l’ispettore è un asino”. Noi ci mettemmo a ridere, ma era un modo per farci capire quanto pesassero quei minuscoli segni tra le parole. Ma la sua era soprattutto attenzione a quello che davvero
volevano dire le parole. Abbiamo imparato che quando si legge un testo bisogna fare molta attenzione, e capire cosa c’è scritto davvero. Abbiamo imparato che per ogni domanda non c’è una sola risposta (penso ai test a crocette che si svolgono nelle scuole di oggi), ma molte altre, tutte ugualmente esatte. Quando ci chiedeva di descrivere a parole come ci si allacciano le scarpe o come ci si lavano i denti, era importantissimo fare attenzione a tutte le parole usate nella descrizione. È un esercizio molto difficile, riuscire a descrivere esattamente tutte le azioni che si compiono quando ci si lavano i denti. Perché teneva tanto alle parole? Perché le parole mettono in ordine i pensieri. Parlare bene, pensando a quello che si sta dicendo, usare le parole giuste e la struttura corretta, ha molto a che fare con la logica, con una struttura di pensiero solida.

BIBLIOGRAFIA
L’eredità dei grandi maestri. Storie di un passato da riscoprire per rispondere alle sfide del presente, Centro Alberto Manzi, zaffiria.it

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Una persona senza creatività è una persona incompleta

A cosa serve la creatività? Vi proponiamo la risposta – magistrale – a questa domanda offerta da Bruno Munari:

“La creatività, come uso finalizzato della fantasia e dell’invenzione, si forma e si trasforma continuamente.
Essa esige una intelligenza pronta ed elastica, una mente libera da preconcetti di alcun genere, pronta a imparare ciò che gli serve in ogni occasione e a modificare le proprie opinioni quando se ne presenta una più giusta. L’individuo creativo è quindi in continua evoluzione e le sue possibilità creative nascono dal continuo aggiornamento e dall’allargamento della conoscenza in ogni campo. Una persona senza creatività è una persona incompleta, il suo pensiero non riesce ad affrontare i problemi che gli si presentano, egli dovrà sempre farsi aiutare da qualche altra persona di tipo creativo. Le tecniche della sperimentazione e della ricerca non finalizzate, aiutano lo sviluppo della creatività. Queste due attività vanno svolte in modo sistematico altrimenti si avranno solo dei dati parziali e non si sarà sicuri di aver sperimentato ogni possibilità utile.

Una persona senza creatività avrà sempre difficoltà di adattamento nelle inevitabili mutazioni della vita, come molti genitori non capiscono più i loro figli. Una persona creativa prende e dà continuamente cultura alla comunità, cresce con la comunità. Una persona non creativa è spesso un individualista ostinato nell’opporre le proprie idee a quelle degli altri individualisti. È più giusto occuparsi dei problemi sociali, più che dei problemi individuali. I problemi sociali riguardano la collettività, la quale è qualcosa che è sempre esistita e che esisterà sempre finché ci saranno individui.

La crescita culturale della collettività dipende da noi come individui, dipende da quello che diamo alla collettività. Noi siamo la collettività. La società del futuro è già tra noi, la possiamo vedere nei bambini. Da come crescono e si formano i bambini possiamo pensare ad una società più o meno libera e creativa. Dobbiamo quindi liberare i bambini da tutti i condizionamenti ed aiutarli a formarsi. Sviluppare ogni personalità perché questa possa aiutare la crescita collettiva”.

BIBLIOGRAFIA
Bruno Munari, Fantasia, Laterza, 2017 (ed. or. 1977)

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Julian

Julian è un nome di origine latina. Deriva dal nome gentilizio Julius, che significa “appartenente a Giulio” e fa riferimento alla Gens Iulia, famiglia romana di origini patrizie.

Julian è un nome adespota. L’onomastico si può festeggiare il 1° novembre, nel giorno di Ognissanti.
Il colore legato al nome Julian è il ross o.
La pietra portafortuna per Julian è il rubino.

Cliccate qui per scaricare e per stampare la scheda del nome Julian.

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Grazia

Grazia è un nome di origine latina. Deriva dall’antico nome latino Gratia, “grazia”, “bellezza”. Il nome Grazia si è diffuso nel Medioevo negli ambienti cristiani, riferito alla grazia divina.

L’onomastico del nome Grazia si può festeggiare il 13 marzo, in ricordo della martire Santa Grazia.
Il colore legato al nome Grazia è il giallo.
La pietra portafortuna per Grazia è l’ambra.

Cliccate qui per scaricare e per stampare la scheda del nome Grazia.

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Un docente agisce in modo efficace se…

Quali azioni sono davvero efficaci per migliorare la qualità della scuola e dell’apprendimento? Di seguito vi proponiamo un elenco di pratiche didattiche efficaci e un elenco di pratiche didattiche inefficaci, tratte dal lavoro del Prof. Roberto Trinchero (dal quale abbiamo tratto anche le riflessioni contenute nell’articolo “Qual è la tecnica più efficace per insegnare qualcosa“).

Un docente agisce in modo efficace se:

  1. Propone materiali didattici sintetici e focalizzati sugli obiettivi di apprendimento.
  2. Propone materiali didattici che utilizzano immagini e testi brevi di spiegazione, coerenti con l’immagine stessa.
  3. Opera un’opportuna mediazione dei contenuti di apprendimento per fare sì che l’allievo assegni il giusto significato alle informazioni ricevute o esperite.
  4. Presenta le informazioni in segmenti brevi e dà il tempo allo studente di assimilarle nelle proprie strutture cognitive.
  5. Prevede momenti in cui gli studenti debbano mettere alla prova le proprie rappresentazioni mentali (valutazione formativa), nelle quali controlla che le informazioni fornite siano effettivamente state assimilate nel modo corretto, e fornisce un feedback dettagliato allo studente utile per correggere miscomprensioni.
  6. Cerca di capire “come ragionano gli studenti” e di adattare le attività didattiche a tale modo di ragionare, proponendo anche attività in grado di “potenziare” le capacità elaborative dello studente.
  7. Cerca di far emergere le preconoscenze degli studenti sugli argomenti trattati, se necessario fornisce feedback per eliminare le miscomprensioni, e usa le rappresentazioni corrette come base per “agganciare” i nuovi concetti.
  8. Rende chiari fin da subito gli obiettivi che gli studenti dovranno raggiungere e i modi per capire se li hanno raggiunti o meno.
  9. Usa tecniche per catturare l’attenzione e per far sì che ogni concetto esposto sia allocato nella giusta posizione di una struttura cognitiva.
  10. Fornisce spunti per riconoscere le molteplici situazioni cui i contenuti appresi possono essere applicati.
  11. Propone momenti di pratica (prima guidata poi indipendente) in cui gli studenti debbano applicare le proprie rappresentazioni anche a problemi nuovi, mai visti prima in quella forma.
  12. Propone periodicamente momenti di pratica di concetti esposti anche molto tempo prima.
  13. Usa gli allievi più bravi come risorsa per aiutare quelli in difficoltà.
  14. Propone attività di gruppo strutturate (obiettivi precisi, strategie definite, preparazione preliminare del gruppo ad affrontare le attività proposte).

Un docente non agisce in modo efficace se:

  1. Propone materiali didattici che contengono informazioni ridondanti o scarsamente coerenti con gli obiettivi di apprendimento per cui sono utilizzati.
  2. Propone materiali didattici che obbligano lo studente a uno sforzo aggiuntivo nel capire che relazione c’è tra testi e immagini.
  3. Lascia che gli allievi assegnino da soli significato alle informazioni ricevute o esperite.
  4. Fornisce troppe informazioni, o inizia a spiegare un nuovo argomento senza che l’argomento precedente sia stato correttamente assimilato.
  5. Non prevede momenti di “messa alla prova” delle rappresentazioni degli studenti o, se lo fa, non fornisce un feedback tempestivo e adeguato.
  6. Lavora solo sui contenuti e non sulle strategie che gli allievi usano per elaborarli ed integrarli nelle proprie strutture cognitive.
  7. Non rileva le preconoscenze degli studenti o si limita a far svolgere un test iniziale che sonda solo elementi “superficiali” di conoscenza.
  8. Inizia il corso non dichiarando gli obiettivi di apprendimento (o li cambia in itinere) e non fornisce guide per capire in modo non ambiguo se sono stati raggiunti o meno.
  9. Si limita a richiamare l’attenzione in classe con semplici rimproveri e non fa uso di organizzatori anticipati.
  10. Lascia che siano gli studenti a cercare di applicare in autonomia i concetti visti a scuola a situazioni non esplicitamente affrontate a scuola.
  11. Lascia che gli studenti facciano pratica da soli, oppure propone solo problemi del tutto analoghi a quelli visti nell’esposizione dei contenuti.
  12. Concentra tutta la pratica dei concetti esposti immediatamente dopo l’esposizione e poi non vi ritorna.
  13. Non propone attività che favoriscano le interazioni tra allievi.
  14. Propone attività di gruppo estemporanee e non rigidamente strutturate.

Questi due elenchi sono stati costruiti analizzando in modo critico le ricerche quantitative sulle pratiche didattiche a livello internazionale. Questo significa che non derivano dalle personali convinzioni di chi scrive, ma da una comparazione statistica delle pratiche reali (con relativi risultati) applicate nelle scuole di tutto il mondo.

BIBLIOGRAFIA
Roberto Trinchero, Sappiamo davvero come far apprendere? Credenza ed evidenza empirica, Form@re, Open Journal per la formazione in rete, FUPress, Volume 13, 2013

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Danilo

Danilo è un nome di origine ebraica. Si tratta della variante del nome Daniele utilizzata nei paesi slavi. Deriva dal nome ebraico Daniyyel, che significa “Dio è il mio giudice” e che nell’Antico Testamento viene portato dal profeta Daniele.

L’onomastico del nome Daniele si può festeggiare il 21 luglio, in ricordo di San Daniele, profeta.
Il colore legato al nome Daniele è l’arancione.
La pietra portafortuna per Daniele è il topazio.

Cliccate qui per scaricare e per stampare la scheda del nome Danilo.

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