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La leggenda dei denti di leone

LA LEGGENDA DEI DENTI DI LEONE

Leggenda irlandese. Testo: Alessia de Falco & Matteo Princivalle

Nei tempi antichi, i boschi d’Irlanda erano popolati da fate, gnomi e altre creature incantate. Un giorno, arrivarono gli uomini e cominciarono ad abbattere gli alberi e a distruggere i boschi. Fate e gnomi furono costretti a fuggire, perché gli uomini non avevano alcun riguardo per le piccole creature della natura. Gli gnomi, che erano del colore della terra, riuscirono a nascondersi nelle fessure tra le rocce del bosco.
Le fate, però, avevano ali e vestiti troppo colorati per riuscire a nascondersi; così, si trasformarono in denti di leone: in questo modo mantennero il loro giallo sgargiante e il vento le avrebbe fatte volare sui campi in estate.
Si dice che i denti di leone possano crescere su qualsiasi terreno, anche sui più inospitali, proprio perché sono animati dallo spirito magico delle fate.

EDUCARE CON LE FIABE

Le nostre emozioni ci guidano nell’affrontare situazioni e compiti troppo difficili e importanti perché possano essere affidati al solo intelletto: si pensi ai momenti di grande pericolo, alle perdite dolorose, alla capacità di perseverare nei propri obiettivi nonostante le frustrazioni, allo stabilirsi del legame di coppia e alla costruzione del nucleo familiare. Ogni emozione ci predispone all’azione in modo caratteristico; ciascuna di esse ci orienta in una direzione già rivelatasi proficua per superare le sfide ricorrenti della vita umana“.
D. Goleman

Riconoscete queste parole nella leggenda che vi abbiamo raccontato? I denti di leone sono nati come reazione resiliente alla più grande delle difficoltà, il rischio di estinguersi. Ciononostante, le fate sono riuscite a superare la difficoltà e a crescere, grazie alla bellezza. Ecco che questa fiaba diventa uno strumento per indagare la realtà attraverso il pensiero narrativo, un dispositivo complesso che coinvolge pensieri, emozioni e socialità.
Fiabe e leggende sono strumenti straordinari per conoscere e padroneggiare il reale grazie all’intelligenza emotiva.

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Il Bruco Mangianoia e l’Ape

Il Bruco Mangianoia e l’ape

Testo di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Tutti i lunedì mattina, il Bruco Mangianoia prendeva le forbici e tagliava l’erba che cresceva ai piedi dell’Albero della Gioia, in cui abitava. Lavorava fino al tramonto, perché era un bruco piuttosto preciso e odiava vedere le erbacce fare capolino in giardino. Un giorno, però, si accorse di un’ape, che stava raccogliendo i suoi bagagli ai margini del prato, stipandoli in una piccola valigetta a fiori. Sembrava in partenza. “Dove vai, amica Ape?” domandò il Bruco Mangianoia curioso. “Cambio casa, perché qui non posso più fermarmi”. “E perché? Forse non ti piace questo giardino?” “Ma no, il fatto è che…” “Che…?” “Che tutti i lunedì tu tagli l’erba, e insieme all’erba tagli i fiori selvatici di cui mi nutro. Noi api siamo molto diverse da voi bruchi: voi vi nutrite di foglie, mentre noi raccogliamo il nettare dai fiori e lo trasformiamo in dolce miele. Tu, però, tagli gli steli dei fiori e così io non ho più niente da mangiare. Il Bruco Mangianoia rimase senza parole: non aveva mai immaginato che il suo prato verde e ordinato creasse un simile problema alla povera ape. “Mi dispiace…” balbettò, ma l’ape scrollò una delle zampine: “Figurati, al giorno d’oggi, chi si cura più di noi api”. Poi chiuse la valigetta e partì. Il Bruco corse in casa, prese i suoi attrezzi da giardiniere e corse fuori: scelse una bella aiuola soleggiata ai margini del giardino e la ripulì. Poi cercò nel mucchio delle erbacce i fiori che aveva tagliato, raccolse i loro semi e li interrò nell’aiuola. Innaffiò la terra soffice e aspettò che i fiori selvatici crescessero di nuovo. Quando l’aiuola fu pronta, partì alla ricerca dell’ape: attraversò il ruscello che scorreva oltre l’Albero della Gioia, i campi di grano, gli orti dei contadini e infine riuscì a trovarla. L’ape aveva trovato riparo in una fioriera, sul davanzale di una finestra e stava riposando all’ombra di una grossa primula gialla e viola. “Puoi tornare” sussurrò il Bruco Mangianoia. “Che?” chiese l’ape, levandosi dal suo riparo. “Dico che puoi tornare nella tua vecchia casa” disse il bruco, schiarendosi la voce. L’ape lo guardò con gli occhi che luccicavano per la nostalgia. “E i fiori?” “Torna con me e vedrai”. L’ape si alzò in volo e seguì il bruco. Insieme attraversarono gli orti dei contadini, i campi di grano, il ruscello e infine videro l’erba verde del prato. Quando l’ape vide l’aiuola piena di fiori selvatici ai margini del giardino, non riuscì a trattenere una lacrima di gioia. “Grazie” disse piano al bruco, “che bell’aiuola”. “Guarda” disse il bruco mostrandole il giardino: sto preparando tante altre aiuole, qui, qui e anche laggiù. Presto saranno pronte, così potrai scegliere i fiori che preferisci”. Grazie alla cura del bruco, l’ape poté tornare alla sua vecchia casa, e non solo: invitò ad abitare con le anche le sue cugine, che erano fuggite qua e là nel mondo. Costruirono un alveare scintillante su uno dei rami più bassi dell’Albero della Gioia e vissero per molti anni, felici e contente. Ma il lavoro del Bruco Mangianoia non era ancora finito: infatti, voleva che tutti sapessero dei fiori e delle api. Così andò dal suo amico il Pulcino Pasqualino, di professione postino, e gli fece diffondere questo messaggino: “Se le api vogliamo salvare, tanti fiori dobbiamo piantare”.

AUDIOFIABA

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Il Bruco 3D

Il bruco 3D è un simpatico lavoretto creativo che si realizza in 5 minuti (è adatto anche ai bambini più piccoli) e che si può utilizzare per tanti semplici giochi da tavolo.

OCCORRENTE

  • Per la sagoma: foglio di carta bianca A4 e pennarello nero (o penna tecnica)
  • Per colorare: pennarelli, matite colorate o pastelli ad olio

TUTORIAL

Nel tutorial abbiamo realizzato tre bruchi dei colori dell’arcobaleno. Naturalmente potete utilizzare i colori che preferite per dare vita al vostro Bruco 3D.

GIOCARE CON IL BRUCO 3D

Il Bruco 3D si può utilizzare per allestire un semplice gioco da tavolo: La corsa dei bruchi. Ecco come si fa:

  • La corsa dei bruchi. Si gioca in due, su un tavolo o sul pavimento. Preparate una pista, delimitandola con il nastro di carta o con oggetti vari (libri, indumenti, scatole, etc.); per cominciare potete realizzare un percorso rettilineo, poi, una volta che i giocatori saranno più esperti, aggiungere curve e ostacoli. Posizionate i bruchi sulla linea di partenza: al “VIA” i giocatori dovranno far muovere il proprio bruco soffiando sul retro. Per un risultato ottimale, vi consigliamo di utilizzare dei bruchi leggermente più piccoli di quelli che vedete nel nostro tutorial (approssimativamente lunghi quanto metà di un foglio A4 per il verso della lunghezza).

I NOSTRI BRUCHI 3D

il bruco 3D

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Le Galline Geometriche

Un semplice esercizio di disegno creativo per dare vita alle coloratissime Galline Geometriche. Guardate il nostro video-tutorial per imparare a realizzarle (bastano pochi tratti di pennarello).

OCCORRENTE

  • Per la sagoma: pennarello nero, penna tecnica nera o lapis
  • Per colorare le galline e le uova: matite o pennarelli

TUTORIAL

GIOCARE CON LE GALLINE GEOMETRICHE

Bastano 10 minuti di esercizio per imparare a disegnare delle galline geometriche super! Ma come possiamo trasformare in gioco questo semplice esercizio di disegno? Ecco qualche idea:

  • La sfida delle galline geometriche. Si gioca in due, con un foglio; per cominciare, dividete il foglio a metà. Ciascun giocatore, nella sua metà, dovrà disegnare una gallina geometrica, in modo che le due galline si fronteggino faccia a faccia. Dopo aver disegnato la gallina, dovrete disegnare un uovo: vincerà il giocatore che riuscirà a disegnare l’uovo più grande e a colorarlo tutto.
  • Quante galline? Si gioca in due, con un foglio; anche in questo caso, dividete il foglio a metà. Ciascun giocatore, nella sua porzione del foglio, dovrà disegnare il maggior numero di galline geometriche possibile. Attenzione: ciascuna gallina dovrà avere il suo uovo e né uova né galline dovranno toccarsi. Questo gioco non è facile come sembra!

LE NOSTRE GALLINE GEOMETRICHE

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La moneta d’argento: una storia sul valore della tenacia

la moneta d'argento

LA MONETA D’ARGENTO

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta un bambino, che chiese alla sua mamma un soldino per andare a comprare cinque fette di pancetta dal macellaio. La mamma gli diede una moneta d’argento e gli disse: “Fai attenzione a non perderla lungo la strada”. Il bambino uscì di casa e attraversò i campi di grano che lo separavano dal macellaio. Mentre correva tra le spighe, però, perse la moneta che teneva tra le mani.
Il bambino provò a cercarla, ma le spighe erano così fitte che dopo qualche tentativo rinunciò e tornò a casa, senza moneta e senza pancetta.
Il giorno dopo, un altro bambino dello stesso paese chiese alla sua mamma un soldino per andare a comprare due fette di pancetta dal macellaio.
La mamma gli diede una moneta di bronzo e gli disse: “Ho soltanto questa. Però ti basterà per comprarne una fetta. Fai attenzione a non perderla lungo la strada”.
Il bambino uscì di casa e attraversò i campi di grano che lo separavano dal macellaio. Mentre correva tra le spighe, però, perse la moneta che teneva tra le mani.
Il bambino si chinò per cercarla. Le spighe erano fitte, ma lui non si diede per vinto: continuò a cercare, tastando il terreno con le sue manine, un centimetro dopo l’altro, finché non toccò un piccolo oggetto metallico. Il bambino lo raccolse e si accorse che era una moneta d’argento.
“Perbacco! Questo campo è magico” pensò tra sé. “Ho perso una moneta di bronzo ed ecco che ne tiro su una d’argento”.
Tutto contento, il bambino andò dal macellaio e comprò non una, ma cinque fette di pancetta. Siccome era un bambino generoso, il nostro ometto ne tenne due per sé e le altre le portò a casa, per la mamma, il papà e la vecchia nonna.
Quando gli chiesero come avesse fatto a comperare tutta quella pancetta, rispose che era capitato in un campo magico, che aveva trasformato la sua moneta di bronzo in una d’argento. Lui non poteva saperlo, ma quel campo era come tutti gli altri, né più né meno; era stata la sua tenacia a compiere quella magia.

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L’albero triste

L’albero triste

Alessia de Falco e Matteo Princivalle

Al centro di un giardino di rose cresceva un melo dai rami contorti. Le rose del giardino erano sempre di buonumore e facevano a gara per vedere chi faceva sbocciare i fiori più belli.
Anche il melo si sforzava per far sbocciare rose dai suoi rami, ma tutti i suoi sforzi erano inutili. L’albero era triste e passava le giornate a piangere.
Non devi preoccuparti” gli disse una rosa che cresceva vicino a lui. “È questione di concentrazione. Tu concentrati sul fiore che vorresti far sbocciare e ce la farai“.
Dai tempo al tempo” disse un’altra rosa. “Anche io durante il mio primo anno di vita ho prodotto soltanto un fiore rinsecchito“.
Nonostante i consigli delle rose, l’albero non faceva altro che foglie ed era sempre più triste. Un giorno si posò sui suoi rami un passero e vedendo che il melo piangeva gli chiese: “Cosa c’è che non va?
Non riesco a fare le rose” rispose lui.
Ma tu sei un melo, non sei un cespuglio di rose” cinguettò il passero. “Il tuo destino è molto diverso da quello delle rose di questo giardino. Tornerò da te in autunno e ti dimostrerò che avevo ragione”.
Il melo non diede molto peso a quelle parole. Passò l’estate e arrivò l’autunno. Una mattina il melo si svegliò e scoprì che le rose intorno a lui erano appassite, mentre sui suoi rami scintillavano tantissimi piccoli frutti tondi e scintillanti. Erano le sue mele, pronte per essere raccolte. L’albero comprese le parole del passero e capì che i suoi frutti, così diversi dalle rose, non erano da meno. Egli era semplicemente diverso da loro.
Quella mattina il passero tornò a posarsi sui suoi rami e il melo lo ringraziò offrendogli una delle sue mele.
Da quel giorno il giardino divenne davvero un luogo felice.

Audiofiaba

Schede per kamishibai

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