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I bambini coccolati non sono bambini viziati

Esiste un limite alle coccole? Un confine oltre il quale gli abbracci, le carezze e l’affetto sconfina nel vizio? In verità no: al contrario, gli studi scientifici mettono in evidenza gli effetti positivi delle coccole e del contatto con i genitori (ma anche con gli altri caregiver). I ricercatori della Duke University del North Carolina hanno condotto uno studio longitudinale per analizzarne gli effetti a lungo termine. A distanza di trentacinque anni, gli adulti che da bambini erano stati coccolati e accuditi costantemente, avevano sviluppato livelli più bassi di ansia, angoscia e ostilità. Le coccole non sono “vizi”, ma una necessità per i bambini, che si trasformerà in un importante fattore protettivo in età adulta. Le relazioni affettuose aiutano lo sviluppo dell’ippotalamo, l’area del cervello che controlla lo stress.
Fare le coccole significa essere presenti, significa prendersi cura del bambino e questo non è mai un male. I bambini che hanno sviluppato una relazione di accudimento affettuoso sapranno distaccarsi dai genitori in modo graduale e naturale.

Non è la presenza a costituire una fonte di pericolo, ma l’assenza: il problema nasce quando il bambino vive relazioni caratterizzate dall’assenza, relazioni in cui la mancanza di qualcuno pronto a coccolarlo viene colmata in altro modo. Il terreno fertile nel quale germoglia il vizio non è l’affetto, ma l’assenza, condita dai sensi di colpa. I bambini viziati non sono bambini coccolati, ma bambini soli, bambini che hanno imparato a chiedere e piangere per ottenere qualcosa (mai la presenza!).

Un esercizio per combattere il vizio è ricominciare a vivere dei piccoli momenti di tempo condiviso, solo noi e i bambini. Un ottimo esercizio è quello suggerito dal neuropsichiatra Giovanni Bollea: “quella che conta è l’intensità, non la quantità di tempo passato con i bambini. I primi venti minuti del rientro a casa dal lavoro sono fondamentali. Devono essere dedicati al colloquio e alle coccole. E non certo a chiedere dei compiti o dei risultati“.
La presenza, accanto alla fermezza, è la miglior medicina ai capricci.

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I ragazzi che si ritrovano grazie a WhatsApp per andare a pulire la città

Un gruppo di ragazzi della città di Cartagena, in Spagna, si sono coordinati utilizzando un gruppo WhatsApp per ripulire strade, spiagge e aree verdi della città. Dopo il successo della prima uscita, i ragazzi si stanno già mobilitando per iniziative future: dai venti partecipanti delle prime uscite, il gruppo è già cresciuto e, ad oggi, conta un centinaio di volontari.

Due spunti di riflessione. Primo: l’utilizzo della tecnologia per coordinarsi. Tutti noi siamo preoccupati per l’uso che fanno i nostri ragazzi della tecnologia digitale, e soprattutto dell’ecosistema social/messenger. Tuttavia, la tecnologia è uno strumento, e come tale deve essere considerato. Se viene utilizzata al servizio di buone idee e di un ideale, la tecnologia non è fonte di pericolo, ma uno strumento per crescere. In questo caso, ha permesso a un gruppo di persone di coordinarsi e ritrovarsi nella vita reale. Educare i ragazzi ad un utilizzo virtuoso dei media (la disciplina – emergente – che si occupa di educare all’uso dei media è la media education) è compito nostro: sono gli educatori che devono mettere in luce il potenziale dei media digitali e insegnare a fronteggiarne i pericoli. Fintanto che utilizziamo un approccio proibizionista, non solo non otterremo risultati, ma inibiremo le iniziative di questo genere.
Il secondo spunto è legato alla lotta per l’ambiente: questo ideale esercita un certo fascino sui giovani e sono sempre di più le ragazze e i ragazzi di tutto il mondo che si impegnano per la salvaguardia dell’ambiente. Ma questa lotta può aiutarli o è tempo perso?
Secondo Martin Seligman, il padre della psicologia positiva, gli ideali ambientalisti (alla pari di tutti gli altri ideali) sono una componente chiave del benessere: infatti, ci permettono di trovare un significato nella nostra vita e ci danno l’occasione di lottare per un ideale “più grande di noi”, qualcosa in cui credere senza riserve. Coloro che lottano per i propri ideali, sperimentano un senso di benessere decisamente più profondo di coloro che ne sono privi. Anche per questo dovremmo incoraggiare i nostri ragazzi.

FONTI

  • https://www.authentichappiness.sas.upenn.edu/
  • https://www.murcia.com/noticias/2019/06/20-jovenes-se-movilizan-por-movil-para-recoger-basura-en-cartagena.asp

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A CHE ETA’ IL GIOCO DOVREBBE ESSERE SOSTITUITO DALLO STUDIO?

Qual è l’età giusta per andare a scuola e per imparare a leggere e scrivere? Rispondere a questa domanda è impossibile: le naturali differenze tra un bambino e l’altro impongono una risposta personalizzata. Ci sono bambini che a quattro anni muovono i primi passi nella lettura e nella scrittura e altri per i quali occorrono due anni in più.
Ciascun genitore dovrebbe sostenere serenamente i propri bambini, senza l’ansia di precorrere i tempi e affidandosi ai consigli degli insegnanti della scuola dell’infanzia. Insegnare a leggere e a scrivere a tutti i costi non è una sempre una buona idea: l’unica cosa di cui tutti i bambini hanno bisogno sono affetto e tempo per i giochi. Il tempo trascorso a giocare, si trasforma in una carica di serenità che permette di studiare meglio e di più negli anni successivi.

A titolo di esempio, in Finlandia, paese considerato da molti un’eccellenza mondiale dell’educazione, i bambini entrano alla scuola primaria a sette anni; prima di quell’età l’apprendimento passa attraverso il gioco e non attraverso la lezione frontale. Del resto, fino ad una certa età, la lezione frontale – che invece, se condotta correttamente, è molto utile per i più grandicelli – dovrebbe essere sostituita dai giochi educativi.
Attraverso il gioco i bambini imparano, eccome. In Finlandia, dove si utilizza questo approccio, il tasso di alfabetizzazione è altissimo, così come il tasso di accesso alla scuola secondaria (pari al 94%).
Utilizzare giochi didattici durante la scuola dell’infanzia e fino ai sette anni non significa limitare l’apprendimento dei bambini, ma proporglielo sotto una veste diversa; i bambini imparano la stessa quantità di informazioni ma, a differenza dell’apprendimento tradizionale, imparano che lo studio è un’attività piacevole, proprio come il gioco.
Questo insegnamento è la vera sfida delle nostre scuole (e della scuola in generale): insegnare ai bambini che studiare è faticoso, ma bellissimo. Proprio come una partita a nascondino.

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Dodici abbracci al giorno

“Abbiamo bisogno di quattro abbracci al giorno per sopravvivere. Abbiamo bisogno di otto abbracci al giorno per mantenerci in buona salute. Servono dodici abbracci al giorno per crescere”.
Virginia Satir

Gli abbracci hanno un potere straordinario. Virginia Satir, psicologa conosciuta in tutto il mondo per il suo lavoro nel campo della terapia familiare, ha riconosciuto il potere degli abbracci per migliorare la qualità delle nostre relazioni e della nostra vita.
Quando abbracciamo qualcuno, il livello di cortisolo (l’ormone alla base dello stress) nel suo sangue si abbassa, mentre aumenta la produzione di dopamina, l’ormone legato al piacere. I ricercatori hanno dimostrato l’importanza del contatto della nostra pelle con quella degli altri; questo fenomeno è più accentuato nel caso dei bambini e di chi si prende cura di loro.
Dietro il gesto di abbracciare qualcuno – sia esso un bambino o un adulto – si nasconde una pratica altamente benefica: quella dell’amore consapevole. L’amore, oltre ad essere sincero, deve essere dimostrato: abbracciare qualcuno è il modo migliore per renderlo consapevole dell’amore che proviamo per lui.

Voglio amarti senza stringerti a me troppo forte, apprezzarti senza giudicarti, essere con te senza risultare invadente, invitarti senza pretendere, lasciarti senza senso di colpa, criticarti senza ricorrere all’insulto e aiutarti senza farti sentire uno stupido. Se anche tu farai lo stesso per me, allora potremo davvero conoscerci e arricchirci a vicenda“.
Virginia Satir

L’amore è alla base dell’autostima e delle relazioni con gli altri. Il suo potere è immenso; imparare a dimostrarlo in modo consapevole agli altri è uno strumento che ci permetterà di vivere meglio. È questo il senso dei dodici abbracci giornalieri (e di tutti gli altri gesti attraverso i quali possiamo esprimere il nostro affetto attraverso il contatto).

FONTI

  • https://exploringyourmind.com/best-virginia-satir-quotes-reflect/

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CANTARE? FA BENE E AIUTA L’APPRENDIMENTO

Sapevi che il canto potenzia le difese immunitarie? Gli studiosi del Tenovus Cancer Care e del Royal College of Music hanno analizzato la saliva di un gruppo di coristi, scoprendo che dopo un’ora di esercizi canori il livello di cortisolo e di chitochine infiammatorie si erano abbassate. Allo stesso modo, il canto migliora l’umore.

Ma i benefici del canto non si fermano all’umore: cantando si apprendono meglio le lingue straniere. Lo hanno scoperto gli psicologi della University of West Ontario: chi apprende una canzone in lingua inglese migliora il suo vocabolario e, contemporaneamente, la sua pronuncia. Da decenni il canto viene utilizzato come approccio privilegiato per l’apprendimento delle lingue straniere nei primi anni di vita, con buone evidenze scientifiche.
Per concludere la nostra riflessione (con l’obiettivo di promuovere le pratiche canore nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria), c’è un’ultima evidenza scientifica: il canto corale si è rivelato un valido alleato della memoria, utile a combattere i sintomi della demenza.

L’estate può trasformarsi in un’occasione per introdurre i bambini al canto corale: i centri estivi e le colonie sono ambienti ideali per introdurre degli spazi dedicati al canto, così come le serate sulla spiaggia o in montagna. Se stai cercando degli spunti per realizzare un piccolo canzoniere per bambini, scopri le canzoni che abbiamo inserito nella sezione dedicata alle canzoni per bambini.

FONTI

  • https://www.lastampa.it/2016/04/28/scienza/il-canto-migliora-le-difese-immunitarie-e-le-capacit-cognitive-bTdmkLo9n3d8Aos4GKkmnJ/pagina.html

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A scuola deve trovare spazio anche il benessere

Prima di cominciare, prova a rispondere a questa domanda: in due parole o meno, cosa vorresti per i tuoi figli?
La maggior parte dei genitori a cui è stato proposto questo quiz hanno risposto “felicità”, “stima di sé“, “gentilezza”, “salute”, “soddisfazione”, “altruismo”.
Adesso, una seconda domanda: in due parole o meno, cosa insegna la scuola ai tuoi figli?
La maggior parte dei genitori risponde “disciplina”, “problem solving“, “lettura e scrittura”, “matematica”.

Tra la risposta alla prima e alla seconda domanda c’è una certa discrepanza. Infatti, ciò che desideriamo per i nostri figli è prevalentemente il benessere. Questo, non è un valore chiave della scuola: per un secolo, la scuola è stata un’istituzione incentrata sul successo: verifiche da sostenere, esami da superare, buoni voti per entrare al meglio nel mondo del lavoro. In altre parole, la scuola è incentrata sulla realizzazione e sul raggiungimento di determinati obiettivi. E se fosse possibile un’altra scuola, in cui la realizzazione viene promossa accanto al benessere?
Allo stato attuale, il 20% degli studenti americani manifesta sintomi depressivi in età scolare: una percentuale dieci volte più alta di quello che accadeva cinquant’anni fa. In Italia la situazione non è dissimile: nonostante il benessere economico e i programmi scolastici molto ambiziosi, non siamo in grado di garantire il benessere alle nuove generazioni. Il motivo di questa situazione critica è ad oggi causa di dibattito: le ragioni non sono genetiche né ambientali; infatti, le popolazioni Amish, che abitano a pochi chilometri da Philadelphia(e respirano la stessa aria, calcano lo stesso suolo e mangiano gli stessi alimenti degli abitanti della Pennsylvania), mostrano un tasso di depressione dieci volte inferiore alla media americana. Quasi sicuramente, la ragione è legata alla modernità, alla tecnologia e al benessere.

La scuola, però, non può ignorare quest’emergenza: infatti, il benessere influenza in modo profondo l’apprendimento. Gli studenti che sperimentano emozioni positive prestano attenzione più a lungo e in modo più intenso; allo stesso modo, il benessere produce pensiero critico e pensiero creativo.
La soluzione, secondo noi, è l’educazione positiva: una disciplina recente che si fonda su alcuni punti chiave:

  • insegnare ai bambini e ai ragazzi a identificare i propri punti di forza;
  • insegnare a sfruttare quei punti di forza;
  • educare alla resilienza;
  • aiutare bambini e ragazzi a trovare un significato, uno scopo e degli obiettivi da perseguire.

Integrare l’educazione positiva nel curricolo tradizionale non è impossibile, ma soprattutto non significa rinunciare ai saperi – preziosi – della scuola. Trasmettere i saperi della nostra cultura è il punto di partenza: la felicità non può fondarsi sull’ignoranza.
Tuttavia, gli esperimenti di educazione positiva condotti in tutto il mondo, possono rassicurare: negli istituti che hanno adottato programmi di educazione positiva, accanto al morale degli studenti, anche le performance accademiche sono cresciute (staccando nettamente quelle delle scuole di controllo, che invece utilizzavano programmi tradizionali).

FONTI

  • Martin E. P. Seligman, Randal M. Ernstb, Jane Gillhamc, Karen Reivicha and Mark Linkins, Positive education: positive psychology and classroom interventions , Oxford Review of Education Vol. 35, No. 3, June 2009, pp. 293–311

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