Nelle valli del Comasco usavano, una volta, la notte di capodanno, appendere alla porta dei casolari un bastone, un sacco ed un tozzo di pane. Eccone il perché.
Molti anni fa, al tempo dei tempi, e precisamente la notte di San Silvestro, padron Tobia stava contando il proprio gruzzolo in un angolo della sua capanna, quando udì bussare alla porta.
L’avaro coprì con un drappo i suoi ducati e andò ad aprire.
Una folata d’aria gelata di neve lo colpì in viso. Era una notte d’Inverno. Sotto la tormenta, fra il nevischio, egli vide un pover’uomo che si reggeva a stento e che non aveva neppure un cencio di mantello. Padron Tobia fu molto contrariato da quella vista e domandò bruscamente allo sconosciuto: “Che fate qui? Che volete? Chi siete?”
“Sono un povero viandante sperduto e sorpreso dalla bufera, e vi chiedo in carità di poter dormire nel vostro fienile”.
“Io non lascio dormire nessuno nel mio fienile. Andate, andate: non posso far nulla per voi”.
“Datemi almeno un tozzo di pane”.
“Non ho pane; andate”.
“Datemi un sacco, un cencio da mettermi al collo che muoio di freddo”.
“Non ho sacchi e non ho cenci”.
“Almeno un bastone per appoggiarmi”.
“Non ho bastoni”.
E chiuso l’uscio in faccia all’infelice, ritornò al suo gruzzolo; ma sotto il drappo, invece di ducati; trovò un pugno di foglie secche. Padron Tobia impazzì e terminò i suoi giorni vagando per le vallate natie e raccontando a tutti la sua disgrazia.
Da allora in poi, la notte di capodanno tutti appesero alla porta del proprio casolare un bastone, un sacco e un tozzo di pane.
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Il calicanto e la rondinella è un breve racconto invernale per bambini da 4 anni in su.
Il calicanto e la rondinella
Testo di: Alessia de Falco e Matteo Princivalle
C’era una volta una rondinella curiosa. Era tempo di migrare, ma lei continuava a saltellare nel bosco in cerca di bacche e vermicelli. “Ancora un minuto”, urlava alle sue compagne che la incitavano a partire. Il tempo passò e il cielo si tinse di rosso: era giunto il crepuscolo e l’inverno stava avvolgendo il bosco con il suo abbraccio. La rondinella cercò le amiche, ma era tardi: lo stormo era partito senza di lei. “Ah, che distratta! E adesso, come farò?”. Era troppo buio e freddo per partire e così la rondinella cerco un riparo per la notte, certa che il giorno dopo avrebbe raggiunto le compagne. Così cominciò a vagare per il bosco: tutti gli alberi erano spogli, con i rami scheletrici coperti di brina.
La rondinella zampettò fino alla tana di un ghiro: “Buonasera signor ghiro, mi scusi se la disturbo, ma mi sono persa. Sarebbe così gentile da ospitarmi questa notte?”. “Non c’è posto qui per una rondine petulante”, le rispose sgarbato il ghiro, prima di spingerla fuori dalla sua casetta. La rondinella si dispiacque, ma non si perse d’animo. “Forse per il ghiro è stata una brutta giornata, proverò con lo scoiattolo”. Ma anche il piccolo roditore la respinse, dicendo che d’inverno amava la solitudine. Forse l’inverno era penetrato anche nei cuori degli animali del bosco, perché nessuno aiutò la rondinella. “Morirò così, al freddo” si disse l’uccellino, singhiozzando. “Mi piacerebbe così tanto poterti aiutare, ma sono così spoglio”, disse una vocina accanto alla rondine. Era un piccolo cespuglio nodoso, senza nemmeno una fogliolina.
“Sono solo anch’io: i miei semi sono stati portati fin qui dal vento, attraversando le steppe e i deserti; anche la mia famiglia è lontana. Purtroppo posso solo abbracciarti, se questo può bastare”. La rondinella lo guardò colma di gratitudine e si appollaiò accanto alle radici dell’alberello. Era freddo lo stesso, ma era bello avere un amico. Fu allora che accadde un prodigio: la primavera, che riposava nel cuore del cespuglio, si risvegliò: dai suoi rami sbocciarono centinaia di fiori gialli come il Sole. I rami fioriti avvolsero la rondine come una calda coperta e la accompagnarono nel mondo dei sogni. Quell’arbusto era un calicanto, una pianta rara, che fiorisce anche d’inverno. E così, quella notte d’inverno fu riscaldata dal calore dell’amicizia e della bontà. Il giorno dopo la rondine partì, salutando il calicanto, ma non fu un addio: tornò lì ogni anno, per salutare il cespuglio che con la sua compassione le aveva salvato la vita.
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C’era una volta una bambina, bella e gentile. Indossava sempre un cappuccio di velluto rosso, che le era stato regalato dalla sua adorata nonnina, così che tutti la chiamavano “Cappuccetto rosso”. Un giorno, la mamma la chiamò a sé e le disse: “Prendi questa focaccia e questo fiasco di vino e portali alla nonna. È molto malata e non riesce ad alzarsi dal letto”. “E mi raccomando, non abbandonare mai la strada principale, che il bosco è pieno di animali pericolosi”. “Certo mamma, farò come dici” le promise Cappuccetto rosso, che prese il cesto di vimini con il vino e la focaccia e si mise subito in cammino. Lungo la strada, si accorse che tra gli alberi del bosco crescevano dei fiori bellissimi e decise di raccoglierne un po’, per farli seccare. Tuttavia, mentre si trovava in una radura a cogliere i gigli, le si avvicinò un grosso lupo nero.
“Dove te ne vai tutta soletta, bella bambina?” domandò il lupo. “Devo portare questo vino e la focaccia alla mia nonna, che è a letto malata. Abita a pochi passi da qui, proprio in fondo alla strada” rispose cappuccetto rosso. Il lupo, con la bava alla bocca all’idea di divorare una bambina tenera e saporita, pensò però di cominciare dalla nonna. “Porta i miei saluti alla nonna! Ah, se vuoi aggiungere un tocco di classe al mazzo di fiori che hai raccolto, da quella parte crescono delle magnifiche orchidee selvatiche”. Detto questo, il lupo si allontanò. Cappuccetto rosso, invece, senza pensarci, andò a raccogliere le orchidee. La bestia, invece, si presentò a casa della nonna, bussando così forte che per poco non buttava giù la porta. “Chi è?” chiese la nonna, che si era alzata a fatica per aprire la porta. “Sono Cappuccetto rosso, con il vino e la focaccia” disse il lupo, ingannando la vecchia. Appena la nonna aprì la porta, l’animale la divorò in un sol boccone. Poi, si infilò nel letto mettendosi sul muso una cuffietta rosa, in attesa di poter gustare anche Cappuccetto rosso. La bambina arrivò soltanto un’ora dopo e trovando la porta aperta si accomodò.
“Nonnina? Sono io, Cappuccetto rosso. Ti ho portato il vino e la focaccia appena sfornata dalla mamma”. Il lupo si coprì per bene con la coperta e rispose, facendo la voce rauca: “Vieni avanti, sono qui a letto e non posso muovermi”. La bambina si accostò al grande letto in ferro battuto: la nonna, o meglio, il lupo era ben avvolto nelle coperte rosa. “Nonnina, che orecchie grandi che hai!” “Per sentirti meglio”. “Nonnina, che occhi grandi che hai!” “Per vederti meglio”. “Nonnina, che bocca grande che hai, e che denti!” “Per papparti meglio!” Esclamò il lupo, che fece un balzo fuori dalle coperte e in un sol boccone divorò anche Cappuccetto rosso. Poi, ben sazio, si appisolò tra le coperte. Poco tempo dopo, passò di lì un vecchio cacciatore, che vedendo la porta aperta decise di controllare che la vecchia stesse bene. Fu così che trovo il lupo bell’e disteso nel letto, con la pancia gonfia.
Il cacciatore prese la carabina, poi pensò di aprire come prima cosa la pancia del lupo, per tentare di salvare la povera vecchia. Così, prese dalla bisaccia un lungo coltello e aprì la pancia del lupo addormentato. Pensate la sorpresa del cacciatore quando dalla pancia uscirono sia la nonna che Cappuccetto rosso. Tutte e due stavano bene, anche se erano terrorizzate. “Grazie cacciatore; la pancia del lupo era così buia!” Cappuccetto rosso andò subito in giardino a prendere dei grossi sassi con cui riempì la pancia del lupo, poi la ricucì. Poi, insieme alla nonna e al cacciatore, si mise ad aspettare. Quando il lupo si svegliò, vedendo il cacciatore, provò a fuggire, ma il peso dei sassi lo fece schiantare al suolo, dove morì. E tutti furono contenti.
Audiofiaba
AI VOSTRI BIMBI PIACCIONO LE STORIE?
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La versione che abbiamo riportato è un adattamento piuttosto fedele del testo dei fratelli Grimm. Tuttavia, esistono molte altre versioni di Cappuccetto rosso. Una di esse è quella contenuta ne I racconti di Mamma Oca di Charles Perrault (altro grande trascrittore di fiabe) che però finisce con il lupo che divora la bambina. Finale contestato da numerosi psichiatri e studiosi del mondo incantato delle fiabe:
“Sembra che molti adulti giudichino preferibile indurre i bambini a comportarsi bene spaventandoli anziché calmare le loro ansie come fa una vera fiaba”. B. Bettelheim
“Per il bambino il valore di una fiaba è distrutto se qualcuno gliene chiarisce il significato”. B. Bettelheim
Queste riflessioni, che troviamo ne “Il mondo incantato” sono interessanti, in quanto ci aiutano ad orientarci nel mondo delle fiabe e dei racconti. La fiaba nasce non tanto per istruire quanto per aiutare a comprendere e lo fa utilizzando il linguaggio dei bambini: l’inconscio, il fantastico, il grottesco. Quindi, così come è utile salvare Cappuccetto Rosso, evitiamo tutte quelle fiabe e quelle storie che si concludono con un eccessivo sbandieramento morale; non sono soltanto sciocche, ma soprattutto inutili! Per insegnare una morale, esiste già la favola, che utilizza gli strumenti dell’ironia e della sintesi.
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C’era una volta una capra che aveva sette caprettini, a cui voleva bene come se fossero i suoi bimbi. Un giorno, la vecchia capra andò nel bosco a cercare qualcosa da mangiare. Prima, però, chiamò i sette capretti e disse loro: “Piccoli miei, la mamma deve andare nel bosco; voi, però, state a casa e fate attenzione al lupo. Quel furfante proverà a travestirsi e ad ingannarvi, ma potete riconoscerlo senza problemi: ha delle enormi zampe nere e la voce rauca”. I capretti promisero che avrebbero fatto attenzione e la mamma uscì.
Ed ecco che arrivò il lupo: bussò alla porta dicendo: “Aprite piccoli cari; è tornata la vostra mamma e vi ha portato tanti bei regali”. Ma i capretti, riconobbero il lupo dalla sua voce rauca. “Tu sei il lupo” gli dissero “e noi non ti apriremo”.
Il lupo, andò in una bottega e comprò un sacco di gesso; lo mangiò e così la sua voce divenne dolce. Poi tornò dai capretti: “Aprite piccoli cari; è tornata la vostra mamma”. Ma anche se la voce era dolce, i capretti videro una delle enormi zampe nere del lupo e non gli aprirono.
Allora, il lupo andò da un panettiere e lo costrinse a coprirgli le zampe con pasta e farina. Poi tornò dai capretti: “Aprite piccoli cari; è tornata la vostra mamma” disse loro, per la terza volta.
“Facci vedere la tua zampa” gli dissero i capretti. E il lupo appoggiò alla finestra la zampa coperta di pasta e di farina.
I capretti, ingannati dal lupo, gli aprirono la porta e così, il furfante, li mangiò uno dopo l’altro. Solo il più piccolo si salvò: infatti, si era nascosto dentro la cassa dell’orologio a pendolo. Poi, il lupo andò a riposare sotto un albero.
Quando tornò la vecchia capra, scoprì che i suoi piccoli non erano più in casa; solo il più piccolo, che si era salvato, uscì dalla cassa dell’orologio e le raccontò che il lupo aveva divorato tutti e sei i suoi fratelli. Insieme, la vecchia capra con il suo piccolo capretto andarono a cercare il lupo: lo trovarono nel prato, che dormiva e russava. Nella sua pancia, però, c’era qualcosa che si muoveva e si dimenava: erano i capretti! Il lupo li aveva inghiottiti in un sol boccone ed erano ancora vivi.
La capra prese le sue forbici e aprì la pancia del lupo, poi tirò fuori i suoi capretti uno dopo l’altro. Insieme, riempirono la pancia del lupo di grosse pietre e, poi la mamma la ricucì con ago e filo. Quando il lupo si svegliò, andò a bere al pozzo, ma il peso delle pietre che aveva nella pancia lo fece cascare giù; così, quel furfante morì annegato, mentre la vecchia capra e i sette capretti ballavano dalla gioia.
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Il solstizio d’inverno cade il 21 o il 22 dicembre. È il primo giorno d’inverno ed è anche il giorno con il dì più breve e la notte più lunga dell’anno.
Il solstizio d’inverno secondo la scienza
Cosa significa solstizio?
Solstizio deriva dal latino sol sistere, che significa “il Sole sta fermo”. Se osserviamo il Sole nel giorno del solstizio d’inverno, esso dà l’impressione di essere immobile.
Il solstizio spiegato ai bambini
Il modo più semplice per spiegare il solstizio ai bambini è ricorrere alla durata di notte e dì. Ecco una buona spiegazione:
Equinozio d’autunno: è il giorno in cui dì e notte hanno la stessa durata.
Solstizio d’inverno: è il giorno dell’anno con la notte più lunga di tutte e il dì più breve di tutti.
Equinozio di primavera: è il giorno in cui dì e notte hanno la stessa durata.
Solstizio d’estate: è il giorno dell’anno con il dì più lungo di tutti e la notte più breve di tutte.
Se invece vogliamo mostrare ai bambini cosa succede dal punto di vista astronomico nel giorno del solstizio d’inverno, è possibile utilizzare una scheda come questa:
Sin dall’antichità gli uomini festeggiano il solstizio d’inverno: esso, infatti, è il giorno più corto dell’anno mentre, a partire dal giorno successivo, le giornate tornano ad allungarsi. Gli antichi romani, tra il 13 festeggiavano il Sol Invictus, il Sole che sconfigge le tenebre e torna a risplendere: in occasione di questo evento, si celebravano i Saturnalia, feste per le quali si preparavano grandi banchetti.
Con l’arrivo del Cristianesimo queste festività sono sono state sostituite dal Natale, la nascita del bambino Gesù; il 13 dicembre, inoltre, viene festeggiata Santa Lucia, il cui nome richiama proprio la luce.
Questi esempi non sono gli unici: anche nelle altre religioni antiche il solstizio viene festeggiato: Egizi, Maya, Inca, popoli celtici e nativi americani avevano ciascuno le proprie tradizioni per celebrare questo evento. I popoli germanici, ad esempio, festeggiavano la festa di Yule, durante la quale addobbavano a festa un abete. Quest’usanza è arrivata fino a noi; soltanto il nome è mutato: oggi chiamiamo quell’abete “albero di Natale“.
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