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La leggenda delle palline di Natale

La leggenda delle palline di Natale

(A cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle

C’era una volta, a Betlemme, un giovane giocoliere che si esibiva alle porte della città, facendo roteare cinque palline di pezza. Una sera, vide una lunga fila di persone che si dirigevano verso una capanna e chiese a una di loro: “È tardi. Dove state andando?”
“Ma come, non lo sai? È nato il bambino Gesù, andiamo a rendergli omaggio. Vieni insieme a noi”. Anche il giocoliere si unì a quelle persone e raggiunse la capanna. Quando fu il suo turno di entrare, il ragazzo si accorse che tutti, intorno a lui, depositavano qualcosa accanto alla culla: fiori, gioielli, cesti di cibo.
“Non ho portato niente”, pensò costernato il giocoliere. “No, non è vero: posso donare la mia arte”.
Il ragazzo improvvisò un piccolo spettacolo accanto alla culla del bambino Gesù e portò il sorriso sulle labbra di tutti, in quella gelida notte d’inverno. Da allora, a Natale, decoriamo l’albero con delle palline colorate, per ricordarci che anche i doni più semplici riescono a scaldare il cuore.

IDEE REGALO PER NATALE:

Facciamo l’albero insieme?
Età di lettura: da 3 anni
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Centopiedi va a scuola
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Cuorfolletto e i suoi amici
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Indovinello del giorno

N.12- 12/12/2020

La soluzione è 20. Infatti, il valore di ciascuna figura è uguale al numero di lettere che compongono il suo nome: cane = 4, pera = 4, gatto = 5, uva = 3. Per risolvere l’indovinello è sufficiente moltiplicare cane × gatto, ovvero 4 × 5.

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Calendario dell’Avvento della Felicità

Per il 2020, vi proponiamo un calendario dell’Avvento molto speciale: il calendario della Felicità. È composto da 24 illustrazioni da colorare e altrettanti pensieri per riflettere.

1 dicembre

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2 dicembre

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3 dicembre

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4 dicembre

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5 dicembre

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6 dicembre

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7 dicembre

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8 dicembre

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9 dicembre

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10 dicembre

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11 dicembre

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12 dicembre

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La leggenda del vischio

Parte prima

In un piccolo villaggio di campagna era nato un bambino che aveva i capelli d’argento, più bianchi di quelli dei suoi nonni.
Il bambino non aveva niente che non andasse: era dolce, ben educato e pieno di energia, come tutti i bambini. Tuttavia, in paese, era guardato con sospetto. Infatti i dottori, che non riuscivano a spiegarsi perché avesse i capelli d’argento, avevano stabilito che si trattava di una stregoneria.

Quando andava al mercato, i contadini dicevano: “Guardate i suoi capelli, quel ragazzo è il figlio del diavolo”.
“Forse è un diavolo in carne ed ossa, ed è venuto per uccidere i nostri bambini”.
I genitori degli altri ragazzi non volevano che i figli giocassero con lui: appena lo vedevano nei paraggi, si chiudevano in casa insieme ai bambini.
“Non giocate con lui”, raccomandavano le mamme.
“È il figlio del diavolo, e se diventerete suoi amici, vi trascinerà all’inferno”.

Il bambino dai capelli d’argento rimase da solo; trascorreva le giornate nella sua piccola cascina fuori città e desiderava soltanto una cosa: farsi degli amici con cui giocare. Diventò triste e la tristezza, spesso, si trasformava in collera o cattiveria.
Un giorno, si arrampicò su un albero, per noia; mentre si dondolava da un ramo, si accorse che sulla corteccia cresceva una strana pianta: aveva delle piccole foglie giallognole e dai suoi rami pendevano delle bacche d’argento graziose.
Era una pianta di vischio.

Il bambino prese una bacca e se la rigirò tra le mani, finché quella non scoppiò e lui si trovò le dita appiccicate da una sostanza simile a colla. Mentre si ripuliva a fatica dal vischio, il ragazzo ebbe un’idea; raccolse un intero secchio di bacche, le pestò con un bastone, poi andò nel campo fuori dal paese. Lì cresceva un grosso noce sui cui giocavano i bambini; sparse la colla di vischio sui rami e si nascose dietro un cumulo di neve ad aspettare.

Due ore dopo, il primo bambino provò ad arrampicarsi sull’albero e rimase incollato al vischio.
“Aiuto!” gridò, “qualcuno mi aiuti”.
Il bambino dai capelli d’argento uscì dal suo nascondiglio e si offrì di aiutare il poveretto incollato.
“Non voglio il tuo aiuto. Tu sei il figlio del diavolo” gli disse il ragazzo, in malo modo.
“Proprio per questo posso aiutarti: so sciogliere le maledizioni come quella che ti tiene incollato all’albero”.
“E va bene, se vuoi e se puoi, aiutami”.
Il bambino dai capelli d’argento si mise subito al lavoro per liberare l’altro dal vischio: impiegò quasi un’ora per staccarlo dall’albero e quando ci riuscì, aveva guadagnato un amico: i due bambini trascorsero tutto il pomeriggio a giocare insieme nel campo.

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La leggenda del vischio (parte seconda)

Parte seconda (Vi siete persi la prima? Leggetela qui)

Il giorno dopo, il bambino dai capelli d’argento coprì di vischio l’abete che cresceva fuori dalle mura del cimitero, poi si nascose dietro il muretto. Due ore dopo arrivò un altro bambino del paese: provò ad arrampicarsi sull’abete, ma rimase incollato al vischio.
“Aiutatemi! Aiutatemi!” gridò il poveretto.
Il bambino dai capelli d’argento saltò fuori dal suo nascondiglio e offrì il suo aiuto.
“No, tu no. Sei il figlio del diavolo, non voglio il tuo aiuto”.
“Come no? Sono piuttosto bravo a sciogliere le maledizioni, potrei liberarti facilmente”.
“E va bene. Del resto non ho scelta: ci sei soltanto tu nei paraggi”.
Il bambino dai capelli d’argento si mise al lavoro per liberare l’altro e quando finì di scollarlo dal vischio, anche lui era diventato suo amico: quei due trascorsero tutto il pomeriggio a rincorrersi fuori dalle mura del cimitero.
“Se continuo così”, pensò il bambino dai capelli d’argento, “presto tutti in paese diventeranno miei amici, ed io non sarò più solo”.
Una mattina, il bambino era a cavalcioni di un pino: stava raccogliendo le bacche di vischio, che buttava in un secchiello appeso a un ramo.
Ad un certo punto, una delle bacche cadde per terra e un grido risuonò nell’aria: “Che schifo!”
Era una ragazzina dai capelli arancioni, arruffati; stava fissando il bambino dai capelli d’argento quando la bacca di vischio le era piovuta sul naso. Era avvolta in una grande giacca di lana color ocra.
“Cos’è questa robaccia appiccicosa? E tu, cosa ci fai lassù?”
“Niente, proprio niente”, si affrettò a rispondere il bambino, “mi sono arrampicato su quest’albero e giocavo a lanciare le bacche”.
La ragazzina, però, aveva intuito le sue vere intenzioni.
“Tu devi essere quello che chiamano figlio del diavolo. Mi hanno detto che ultimamente i bambini rimangono appiccicati agli alberi e che tu accorri a liberarli. Non mi dirai che…”
“No, assolutamente no” strillò il bambino dai capelli d’argento.
Poi scoppiò in lacrime.
“E va bene, te lo confesso: sono io che copro gli alberi di colla, per far sì che gli altri bambini restino appiccicati al tronco. Ma non lo faccio perché sono cattivo: nessuno voleva giocare con me, e dopo che li libero dal vischio diventano tutti miei amici. Però, promettimi che non lo dirai a nessuno: altrimenti mi odieranno più di prima”.
“Scendi”, gli disse la ragazza, e il bambino dai capelli d’argento la ascoltò.
“Non sono venuta qui per sgridarti, ma per chiederti se vuoi accompagnarmi a esplorare la collina: è coperta di neve e non si vedono i sentieri; ho paura di perdermi. Mi sono trasferita qui da poco, abito qui vicino. Sai, nella città in cui abitavo non avevo molti amici: pensavano tutti che fossi una strega, perché correvo più veloce di loro ed ero più forte di loro nella lotta. Potremmo diventare amici”.
Sentendo quelle parole, il bambino dai capelli d’argento non riuscì a trattenere una lacrima: quella ragazza era la prima persona che gli chiedeva se voleva essere suo amico. E non aveva avuto bisogno di ingannarla, come gli altri.
“Certo che voglio diventare tuo amico”, le disse, poi buttò per terra il secchio pieno di vischio e la seguì nella neve.
Insieme trascorsero un pomeriggio indimenticabile: costruirono una grande torre di neve, così grande che potevano entrarci tutti e due, giocarono con gli slittini e si sfidarono con le palle di neve. Quando il bambino dai capelli d’argento rincasò, era già buio. Salutò la ragazzina dai capelli arancioni e le promise che sarebbero usciti di nuovo, l’indomani. Era talmente contento che quella sera si dimenticò perfino di mangiare.
Da quel giorno, la sua vita cambiò; tornò a sorridere e non ingannò più i bambini del paese, perché non ne aveva bisogno: aveva l’amica più straordinaria che un bambino potesse desiderare. Quando arrivò Natale, appese un ramoscello di vischio alla porta di casa; poi preparò altre cento corone di vischio e le regalò a tutti coloro che incontrò in paese. Quella pianta lo aveva aiutato ad incontrare una persona tanto speciale, e il bambino dai capelli d’argento era sicuro che avrebbe portato fortuna anche agli altri.

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La leggenda del pettirosso

La leggenda del pettirosso

Si racconta che quando il Signore creò il pettirosso, lo ricoprì di piume grigie e marroni: del rosso, neppure l’ombra. Il pettirosso non capiva perché portasse quel nome, visto che le sue piume erano del colore della cenere.

Più volte chiese al Signore una spiegazione, ma ogni volta riceveva la medesima spiegazione: “Un giorno capirai il perché. E adesso, prendi il volo insieme alle altre creature del cielo”.

Il pettirosso soffriva per la sua condizione; guardava con ammirazione gli altri uccelli e in ciascuno di loro trovava le qualità che lui non possedeva. Le aquile erano forti e fiere, i pappagalli erano di mille colori, i gabbiani erano bianchi come la neve e la spuma. Lui, invece, era piccolo e smorto.
Mentre si crogiolava in questi pensieri, il pettirosso capitò dalle parti del Golgota. Lì, vide stagliarsi all’orizzonte tre uomini crocifissi.

“Povere creature” sospirò il pettirosso, che aveva un cuore d’oro; poi volò sopra le croci, per vedere se poteva alleviare le sofferenze dei tre condannati in qualche modo.

L’uomo al centro aveva una corona di spine conficcata sul capo: le spine graffiavano il suo volto e lo facevano sanguinare. Quel Crocifisso era Gesù; il pettirosso non poteva saperlo, ma pieno di compassione volle aiutarlo. Senza curarsi dei soldati che circondavano la croce, si avvicinò in volo alla sua corona di spine, le afferrò delicatamente col becco e le tolse, una dopo l’altra. Nell’estrarre l’ultima spina, dalla ferita uscì un fiotto di sangue che tinse di rosso il petto dell’uccellino. Il pettirosso andò al fiume per lavarsi le penne, ma il rosso rimase.
In segno del suo coraggio e della sua compassione, il pettirosso fu ricompensato con un delizioso piumaggio rosso e, poté volare felice tra le altre creature del cielo.

AUDIOFIABA

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