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L’isola di calore urbano

La temperatura in città è più elevata rispetto a quella dei parchi e delle aree rurali. Questo effetto viene chiamato isola di calore urbano ed è il motivo per cui, complice il cambiamento climatico, le nostre città sono davvero torride nel periodo estivo.

In questa scheda è possibile vedere come aumenta la temperatura in prossimità delle città: nei quartieri più urbanizzati, è possibile registrare fino a +4 C° rispetto alla temperatura delle aree rurali.

Cliccate qui per scaricare questa scheda.

Perché le città sono così calde? Il motivo è semplice: quando i raggi del sole colpiscono un albero o un fiume, il loro calore viene assorbito dall’acqua (nel caso dell’albero viene assorbito dall’acqua contenuta nelle foglie e nel fusto). Una piccola parte dell’acqua riscaldata in questo modo si trasforma in vapore (vi ricordate gli stati dell’acqua?): in questo modo, la superficie degli alberi e dell’acqua si mantiene fresca.
Quando i raggi del sole colpiscono l’asfalto o il cemento, questi si riscaldano fino a diventare roventi; a causa dell’aumento della loro temperatura, scaldano anche l’aria circostante. Anche il colore della superficie è importante: i colori scuri assorbono una quantità maggiore di calore, mentre i colori chiari lo riflettono verso lo spazio. Ad esempio, le distese di ghiaccio dell’Antartide riflettono il 99% dei raggi solari. Invece, l’asfalto, che è quasi nero, assorbe la maggior parte dei raggi solari.
Anche le automobili e i condizionatori contribuiscono ad aumentare la temperatura in città: infatti, i motori che li azionano producono calore e lo liberano nell’aria circostante.

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A partire da queste schede, è possibile stimolare una riflessione sulle azioni che potrebbero aiutarci a ridurre la temperatura nelle città.

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La comunicazione in famiglia

Comunicare in famiglia oggi è tutt’altro che semplice. In un mondo difficile, però, abbiamo bisogno di punti di riferimento. Ecco le nostre “stelle della buona comunicazione in famiglia”: pochi e semplici principi a partire dai quali tornare a parlarsi davvero.

Per approfondire ciascuno di questi s-punti, vi proponiamo un brano scelto dal testo “Parlarsi: la comunicazione perduta”, dello psichiatra Eugenio Borgna.

“Non ci si parla molto, oggi, in famiglia e in società: non si ha tempo, non si ha molto tempo, per parlare e per ascoltare le cose che ci stanno magari a cuore, e si sbriciola il tempo del parlare nel tempo della chiacchiera che nulla fa riemergere delle aspirazioni e delle nostalgie, delle solitudini e dei silenzi dell’anima. Ma le chiacchiere, le conversazioni mondane, non danno un senso alle giornate e alle stagioni della vita; scorrono veloci e inafferrabili, inconsistenti e intermittenti, liquide e acquatiche, mai in profondità e sempre in superficie; non lasciano tracce nella memoria vissuta che non ha nemmeno il tempo di trattenerle e di rielaborarle, di farle proprie e di archiviarle. Nelle famiglie e negli incontri sociali il parlarsi è intralciato dalla presenza ancora oggi dilagante della televisione, e dalla sua influenza egemonica sui modi di comunicare, e sui modi di dare un senso alla vita. Non è in gioco solo la modalità opaca e ghiacciata, unilaterale e uniforme, con cui le informazioni sono offerte a chi guarda la televisione, ma anche la selezione e la qualità delle informazioni che non tengono conto delle risonanze psicologiche ed emozionali alle quali esse danno luogo.

[…] La libertà di espressione è un bene giustamente intoccabile, ma nel comunicare qualcosa di doloroso, o di ambiguo, si dovrebbero tenere presenti le risonanze psicologiche ed emozionali che ne conseguono, e che possono trascinare con sé angoscia e disperazione, aggressività e distruttività. La febbrile insistenza nel rappresentare e nell’illustrare modelli di vita dolorosi, come sono quelli ancorati alle forme dolorose del suicidio, della morte volontaria, o crudeli, come sono quelli ancorati alle forme distruttive della vita, non può non essere considerata possibile sorgente di angoscia, ma anche di contagio, e di dipendenza psichica.
Cose, che si ascoltano e si vedono nella vita delle famiglie, con le loro inquietanti risonanze emozionali, e che sottraggono tempo alla parola, al parlarsi, al dialogo, al colloquio, allo scambio di pensieri e di emozioni, di timori e di attese, di illusioni e di speranze, che hanno bisogno di essere portate alla luce della comunicazione, e della reciprocità della comunicazione.
Cose sempre più difficili, cose talora addirittura impossibili, in molte famiglie nelle quali televisione e social network, isolamento e distrazione, si associano in cocktail impenetrabili all’ascolto e al dialogo: alle emozioni. Si finisce così nei deserti di una comunicazione che non crea né ascolto né condivisione”.

LETTURE SCELTE

“Le parole non sono incolori, non sono semplici, non sono insignificanti, e solo quando nascano dal silenzio lasciano una traccia profonda nel cuore di una paziente, o di un paziente, che le ascolta, e che è in dolorosa attesa della parola del medico; ma queste parole so di non trovarle nei testi di psichiatria, e di trovarle invece nelle lettere di madre Teresa di Calcutta. Non sapendo cosa dire, e come trovare le parole che curano, meglio, molto meglio, tacere, e assegnare la espressione del nostro dolore, e della nostra comprensione, alle parole del corpo vivente che sono quelle dei gesti, degli sguardi e del sorriso, o di una stretta di mano”. (E. Borgna)

Comunicare l’accettazione

Quando una persona è capace di provare e di comunicare a un’altra una sincera accettazione, essa può diventare di grande aiuto. La sua accettazione dell’altro così com’è è determinante per costruire una relazione in cui l’altro possa crescere, maturare, operare cambiamenti costruttivi, imparare a risolvere problemi, tendere a un equilibrio psicologico, diventare più produttivo e creativo, realizzare pienamente il proprio potenziale. È uno di quei paradossi semplici ma bellissimi della vita: quando una persona sente di essere sinceramente accettata per quella che è, si sente libera di prendere in considerazione un possibile cambiamento, di pensare a una possi bile crescita, a cosa vorrebbe diventare, a come realizzare maggiormente il proprio potenziale. L’accettazione è come il terreno fertile che permette a un seme minuscolo di trasformarsi nel bel fiore che può diventare. Il terreno si limita a facilitare lo sviluppo del seme. Sprigiona la sua capacità di crescere, ma tale capacità è interamente in seno al seme. Anche un figlio, come un seme, ha dentro di sé la capacità di crescere. L’accettazione è il terreno fertile, che semplicemente permette al figlio di realizzare il proprio potenziale. Perché l’accettazione genitoriale esercita tanta benefica influenza sui figli? È un punto che in genere non viene compreso. La maggior parte delle persone è stata indotta a credere che se si accetta un figlio così com’è, questi non cambierà mai; che il modo più valido per aiutarlo a migliorarsi è quello di dirgli quali aspetti di lui non sono accettabili. Di conseguenza, la maggior parte dei genitori ricorre a piene mani al linguaggio della non accettazione, pensando che sia il modo migliore per aiutare i figli. Il terreno che tanti genitori forniscono ai propri figli è intriso di valutazioni, giudizi, critiche, prediche, massime morali, ammonizioni, ordini e altri messaggi che trasmettono la non-accettazione del ragazzo per quello che è. Ricordo le parole di una tredicenne che aveva cominciato a ribellarsi ai valori e alle leggi dei propri genitori:

Mi ripetono talmente spesso che sono cattiva, che le mie idee sono stupide e che non possono fidarsi di me, che finisco col comportarmi sempre più spesso in un modo che a loro non piace. Se loro già pensano di me che sono cattiva e stupida, tanto vale che continui a fare quello che faccio.

Questa intelligente ragazza aveva capito il significato del vecchio proverbio: «Ripeti spesso a un ragazzo che è cattivo, e quasi certamente lo diventerà». Spesso i figli finiscono per diventare esattamente come i genitori li descrivono. A parte questo effetto, il linguaggio della nonaccettazione allontana i figli. Essi smettono di confidarsi con i genitori e imparano che è molto meglio tenere per sé i propri sentimenti e i propri problemi.

Il linguaggio dell’accettazione, al contrario, rende i figli più aperti e sereni; li fa sentire liberi di condividere sentimenti e problemi. Gli psicoterapeuti e i consulenti hanno dimostrato quanto può essere potente l’accettazione. I genitori che imparano a manifestare attraverso le parole una sincera accettazione del figlio, dispongono di uno strumento che può produrre risultati straordinari. Possono incoraggiare l’autoaccettazione e l’autostima del figlio. Possono promuovere il suo sviluppo e agevolare la realizzazione del potenziale di cui è geneticamente dotato. Possono accelerare il suo passaggio dalla dipendenza all’indipendenza e all’autocontrollo. Possono aiutarlo a imparare a risolvere autonomamente i problemi che inevitabilmente la vita gli presenterà, e dargli la forza per affrontare costruttivamente le delusioni e le sofferenze dell’infanzia e dell’adolescenza. Di tutte le conseguenze dell’accettazione, la più importante è che il figlio si sente amato. Accettare l’altro così com’è, è veramente un atto di amore; sentirsi accettati significa sentirsi amati. La psicologia sta solo adesso cominciando a prendere atto dell’immenso potere insito nel sentirsi amati: è un sentimento che promuove la crescita mentale e fisica, ed è forse l’agente terapeutico più efficace che si conosca per riparare danni psicologici o fisici.

L’accettazione va dimostrata chiaramente. Non basta provare accettazione per un figlio, occorre anche che il figlio si senta accettato. Se l’accettazione del genitore non è percepita dal figlio, è facile che non abbia alcun effetto su di lui. Il genitore deve imparare a manifestare la propria accettazione in modo che il figlio la percepisca. Per farlo, occorrono abilità specifiche. I genitori, per lo più, considerano l’accettazione come qualcosa di passivo: uno stato d’animo, un atteggiamento, un sentimento. È vero, l’accettazione ha origine da un moto interiore, ma per essere una forza effettivamente capace di influenzare l’altro dev’essere comunicata o dimostrata attivamente. Non posso essere sicuro che l’altro mi accetti finché non me lo dimostra attivamente.

Gli psicoterapeuti e i consulenti, la cui efficacia dipende in gran parte dalla capacità di dimostrare una reale accettazione del paziente, impiegano anni per perfezionare questo atteggiamento nel proprio stile di comunicazione. Attraverso un tirocinio specifico e una lunga esperienza, questi professionisti acquisiscono le abilità specifiche per comunicare accettazione. Imparano che essere o non essere d’aiuto dipende molto da ciò
che dicono. La parola può guarire e indurre un cambiamento costruttivo. Ma dev’essere il giusto tipo di parola. La stessa cosa vale per i genitori. Il modo di rivolgersi ai figli determina l’efficacia o la distruttività

Pochi genitori possiedono queste doti terapeutiche per natura e sanno servirsene spontaneamente; la maggior parte deve innanzitutto disimparare le modalità disfunzionali, per poi imparare a comunicare in modo più costruttivo. Si tratta innanzitutto di prendere coscienza del proprio modo abituale di comunicare per coglierne gli aspetti distruttivi o non terapeutici. In seguito è necessario istruirli su nuovi modi di interagire con i figli.

BIBLIOGRAFIA
E. Borgna, Parlarsi: La comunicazione perduta, Einaudi, 2015
T. Gordon, Genitori efficaci. Educare figli responsabili, edizioni la meridiana, 2014 (ed. or. 1970)

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La regola dei cinque secondi

regola dei cinque minuti

Mel Robbins è un avvocato e una speaker motivazionale di fama mondiale. Tra i suoi assi nella manica, troviamo la regola dei cinque secondi: “Conta fino a cinque, poi fallo e basta” (La regola dei cinque secondi, Sperling&Kupfer, 2018). Tecnica semplice ma efficace.
Ogni decisione, se la prendiamo in cinque secondi, si trasforma in un piccolo atto di coraggio quotidiano.
La tecnica dei cinque secondi ha un fondamento scientifico. Cervello e istinto sono legati tra loro: uno studio condotto da tre università americane rivela come la mente sia capace di elaborare veri e propri “piani”: se noi desideriamo raggiungere un obiettivo, la mente prepara un elenco dei passaggi necessari in modo implicito. Questo processo è in larga parte implicito e inconsapevole. Quando ci troviamo a dover prendere una decisione, il nostro istinto non è altro che il frutto del piano elaborato dalla nostra mente. Ecco perché seguirlo potrebbe rivelarsi una buona idea.
Seguire l’istinto è semplice: non dobbiamo fare altro che fidarci della nostra voce interiore. Tuttavia, semplice non significa facile. Infatti, fidarsi e gettare il cuore oltre l’ostacolo non è così immediato. Richiede un grande coraggio e, soprattutto, la capacità di tollerare il fallimento.
Ciò che il più delle volte ci distrae dal nostro istinto è il dubbio “e se sbagliassi?”. Da lì alla ruminazione mentale il passo è breve, e quando ci troviamo intrappolati nei nostri pensieri pessimistici e catastrofici, le conseguenze non sono quasi mai positive; l’energia mentale che avremmo dovuto infondere nelle nostre azioni finisce sprecata in questo ciclo mentale perfettamente inutile.

Il grande pregio della regola dei cinque secondi è proprio quello di mettere un freno alla ruminazione mentale, il nostro “grande nemico”. Ne abbiamo parlato a proposito di ottimismo e torniamo a ripeterlo: gran parte della nostra insoddisfazione e dei piccoli insuccessi quotidiani – procrastinazione compresa – nasce quando invece di agire, scegliamo di dare spazio ai nostri pensieri.
Questa lezione è molto importante anche per i bambini: loro, naturalmente portati ad ascoltare l’istinto, rischiano di perdere questo dono prezioso nel corso del processo educativo. Cosa possiamo fare? Non mortificarli di fronte ad un errore e abituarli, sin da piccoli, a trasformare le proprie scelte in azioni. Se riusciamo a non giudicarli per i loro errori, saremo già a metà del percorso.

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Equinozio d’autunno

Il 23 settembre è il giorno dell’equinozio d’autunno. È il primo giorno d’autunno, nonché uno dei due giorni dell’anno (insieme all’equinozio di primavera) in cui notte e dì hanno la stessa durata.

COSA SIGNIFICA “EQUINOZIO”?

Equinozio è una parola che deriva da latino aequa nox, che significa “notte uguale”. Dunque, equinozio significa “giorno durante il quale la notte è uguale al giorno”.

COS’È L’EQUINOZIO

Si tratta di un fenomeno astronomico: il 23 settembre il Sole è allo zenit all’Equatore; in questa data, i raggi del sole colpiscono la Terra in modo perpendicolare all’asse di rotazione terrestre. In tutti gli altri giorni dell’anno (con l’eccezione dell’equinozio di primavera), i raggi del Sole colpiscono la Terra con una leggera inclinazione.

Durante la primavera e l’estate, infatti, il dì è più lungo della notte: il sole sorge presto al mattino e tramonta tardi la sera. Durante l’autunno e l’inverno, al contrario, è la notte ad essere più lunga: il Sole sorge più tardi e tramonta già nel pomeriggio. L’equinozio d’autunno è il momento di passaggio dall’estate, con i suoi dì più lunghi, all’autunno, con le notti più lunghe.

COME SPIEGARE L’EQUINOZIO AI BAMBINI

Senza entrare nel merito dell’orbita terrestre, il modo più semplice per spiegare l’equinozio ai bambini è ricorrere alla durata di notte e dì. Ecco una buona spiegazione:

  • Equinozio d’autunno: è il giorno in cui dì e notte hanno la stessa durata
  • Solstizio d’inverno: è il giorno dell’anno con la notte più lunga di tutte e il dì più breve di tutti
  • Equinozio di primavera: è il giorno in cui dì e notte hanno la stessa durata
  • Solstizio d’estate: è il giorno dell’anno con il dì più lungo di tutti e la notte più breve di tutte

Se invece vogliamo mostrare ai bambini cosa succede dal punto di vista astronomico nel giorno dell’equinozio d’autunno, è possibile utilizzare una scheda come questa:

solstizio d'autunno

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In bagno durante la lezione? Provate con questo metodo

Come ci si dovrebbe comportare, a scuola, con i bambini che devono recarsi in bagno? Tra polemiche e contro-polemiche (come quella sorta in una scuola primaria di Milano che, la scorsa primavera, aveva introdotto la pratica di “schedare” i bambini che si recavano ai servizi igienici), la faccenda è delicata. Da un lato c’è la libertà dei bambini, dall’altro la necessità di regolare l’afflusso ai bagni per evitare interruzioni e disturbi.
Noi abbiamo trovato interessante la proposta della maestra Amelia Destradis (Maestra Ami), che ha escogitato un sistema per aiutare i bambini ad autodisciplinarsi.

“Ho sempre pensato che i bambini devono sentirsi liberi di andare in bagno senza chiedere il permesso. Il problema è che spesso ad andarci sono sempre gli stessi e più volte durante la mattina.
Allora, pensa che ti ripensa, ho ideato questo stratagemma: ogni bambino, prima di uscire dalla classe, deve mettere un bastoncino nel rotolo con su scritto il proprio nome.
Funziona perché i bambini si autoregolano vedendo il numero di bastoncini utilizzati e capiscono se stanno esagerando nelle uscite. Specifico che, ad ogni bambino, non è stato dato un numero precisato di bastoncini, ne possono usare quanti ne vogliono”
.

Una soluzione positiva e originale, che verrà sicuramente apprezzata dai bambini e che potrebbe mitigare i problemi di “disciplina igienica” in più di un istituto.

FONTE (e crediti delle immagini)
https://www.facebook.com/Maestraami/

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Maurizio

Maurizio è un nome di origine latina; in origine era utilizzato come cognome. Significa “figlio di Mauro”. Il nome Mauro, invece, significa “abitante della Mauritania”.

L’onomastico si festeggia il 22 settembre, giorno in cui viene ricordato San Maurizio.
Il colore legato al nome Maurizio è il blu.
La pietra portafortuna per Maurizio è l’acquamarina.

maurizio origine del nome

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