Blog

I bambini sono straordinariamente sensibili. Non confondiamoli.

Questa lettura scelta chiude un ciclo di tre letture tratte da “Il bambino in famiglia”, che contengono i tre principali consigli di Maria Montessori alle madri (e, aggiungiamo noi, ai padri).
Vi consigliamo di leggere anche le altre due letture del ciclo, “L’insegnamento più importante di Maria Montessori alle madri“ e “Assecondiamo il desiderio di attività del bambino“.

“Il terzo principio è: poiché il bambino è assai sensibile, più di quanto si creda, alle influenze esteriori, dobbiamo essere molto guardinghi nei nostri rapporti con lui.
Se noi non abbiamo sufficiente esperienza o non sufficiente amore per poter distinguere tutte le fini e delicate espressioni della vita infantile, se non le sappiamo rispettare, ci accorgeremo di esse solo quando si manifesteranno violentemente; a questo punto il nostro aiuto arriverà troppo tardi. Per lo più ci accorgiamo di non aver appagato un bisogno del bambino solo quando ce ne avvertono le sue lacrime e allora ci affrettiamo a consolare il piccolo piangente.

Tanto se consoliamo il bambino, quanto se lo lasciamo asciugare da solo le sue lacrime, noi trascuriamo quello che veramente gli abbisogna. La causa essenziale di questo pianto ci sfugge perché è troppo sottile, eppure in essa sta la spiegazione di tutto. Elena, una piccola bambina che non aveva ancora un anno, diceva spesso una parola in dialetto catalano: «pupa» che vuol dire «male». Però non piangeva mai senza una ragione evidente. Osservammo ben presto che diceva «pupa» quando provava qualsiasi spiacevole impressione; se urtava in qualche oggetto duro, se sentiva freddo, se per caso toccava una lastra di marmo o se passava la mano su di una superficie ruvida. Era ben chiaro che voleva farsi capire da coloro che le stavano attorno. Le rispondevano con una parola di compassione e le davano un bacio sul ditino che essa tendeva come per mostrare dove le faceva male. Essa osservava attentamente quello che le si faceva e, appena contentata, diceva: «Pupa no», cioè: il mio male è scomparso, non occorre più che mi consoliate. A questo modo osservava attentamente le proprie impressioni e quelle dell’ambiente. Non era una bambina viziata, perché non la si copriva di carezze e la si consolava solo per quel tempo che essa desiderava. Ma questo accondiscendere col nostro conforto alle sue impressioni era un aiuto per chiarire le sue osservazioni e sviluppare il suo istinto sociale. Ciò le serviva anche di controllo e di appoggio nelle prime esperienze della vita. La sensibilità fine e ingenua della sua natura si sviluppava senza inceppi. Non le dicevano: «Non è nulla», quando dichiarava di provare qualche sentimento spiacevole; ammettevano l’impressione sgradita e cercavano di consolarla con la tenerezza, senza peraltro dare eccessivo peso alla cosa. Dire a un bambino che sente male: «Non è nulla!» significa confonderlo, perché si nega la sua impressione mentre egli vuol averne da noi la conferma”.

FONTE: Maria Montessori, Il bambino in famiglia, Garzanti, 2018

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Assecondiamo il desiderio di attività del bambino

Questa lettura fa parte di un ciclo di tre letture tratte da “Il bambino in famiglia”, che contengono i tre consigli di Maria Montessori alle madri (e, aggiungiamo noi, ai padri).
Vi consigliamo di leggere anche “L’insegnamento più importante di Maria Montessori alle madri” e “I bambini sono straordinariamente sensibili. Non confondiamoli“.

“Il secondo principio è questo: bisogna assecondare quanto più è possibile il desiderio di attività del bambino; non servirlo, ma educarlo all’indipendenza*.
Il bambino si sviluppa secondo natura, è vero, ma appunto perciò ha bisogno di esercitarsi molto. Se gli manca l’esercizio, la sua intelligenza rimane in un gradino inferiore; direi quasi che vi è una specie di sosta nello sviluppo di quei bambini che da piccoli sono sempre stati sorretti e guidati. Chi non sa rispettare le manifestazioni dei piccoli, fin dai primi pasti, dopo l’allattamento, caccerà loro brutalmente in bocca il cucchiaino della pappa. Invece, se si farà sedere il bambino al suo tavolino lasciandogli il tempo necessario per mangiare, si vedrà subito la sua manina afferrare il cucchiaino e portarlo alla bocca. Questo è certo un grande compito per una madre e ci vuole molta pazienza e molto amore; la madre deve nutrire contemporaneamente il corpo e lo spirito, ma lo spirito deve avere la precedenza. Occorre che essa lasci da parte momentaneamente i suoi concetti – certo lodevolissimi – riguardo alla pulizia, poiché in questo caso essi hanno un valore del tutto secondario. Il bambino che comincia a mangiare da solo non sa certo farlo bene e per conseguenza si insudicia molto. Ebbene, si sacrifichi la pulizia al suo giustificato impulso di attività. Nel corso del suo sviluppo, il bambino perfezionerà i movimenti e imparerà a mangiare senza insudiciarsi. La pulizia, quando è conquistata così, rappresenta un vero progresso, un trionfo per lo spirito infantile. Lo sforzo di volontà di cui il bambino è capace si dimostra in una quantità di esercizi ragionevoli che egli compie continuamente. Assai prima di parlare, anzi, assai prima di camminare – già verso la fine del primo anno di vita – comincia ad agire, come se obbedisse a una voce interiore. I suoi tentativi per mangiare da solo adoperando il cucchiaino sono commoventi: non riesce a portare alla bocca il cibo che desidera – ha fame – eppure respinge tutti quelli che lo vogliono aiutare. Soltanto dopo aver placato il suo bisogno di attività accetta l’aiuto della madre.

Un giorno, con un bambino di un anno che aveva appena imparato a camminare, ero in campagna su di un sentiero sassoso; il mio primo impulso fu di prendere il bambino per mano, ma mi trattenni dal farlo e cercai di guidarlo con le parole: «Cammina da questo lato!» – e «Bada, qui c’e un sasso!» – «Stai attento qui!». Egli ascoltava tutto con una specie di gioconda serietà e obbediva. Non cadde mai, né si fece male. Io lo guidavo passo passo col leggero mormorio della mia voce ed egli mi ascoltava attentamente e godeva così di poter compiere un’attività ragionevole, di comprendere le mie parole e di corrispondervi coi suoi movimenti. Guidare il bambino in questo modo: ecco il vero compito della madre. Il vero aiuto non dev’essere prestato per cose inutili o arbitrarie; deve corrispondere agli sforzi dell’anima infantile. Il presupposto dev’essere la comprensione della natura infantile e il rispetto per tutte le forme della sua attività istintiva”.

FONTE: Maria Montessori, Il bambino in famiglia, Garzanti, 2018

*In un articolo recente abbiamo trattato della differenza tra autonomia e indipendenza (l’autonomia, auspicabile, è quella che aiuta il bambino a regolarsi da solo; l’indipendenza, invece, mira esclusivamente ad allontanare il bambino da sé); in questo caso, la parola “indipendenza” utilizzata da Maria Montessori è ben più vicina al significato di autonomia.

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Maria

Maria è un nome di origine ebraica. Deriva dal nome Maryam, che significa “principessa”. Maria è un nome che si è diffuso principalmente negli ambienti cristiani, dov’era forte il culto di Maria, madre di Gesù.

CURIOSITÀ

L’onomastico del nome Maria si festeggia il 12 settembre.
Il colore legato al nome Maria è l’azzurro.
La pietra portafortuna per Maria è lo zaffiro.

maria significato del nome

Clicca qui per scaricare la scheda del nome Maria.

Scoprite anche:
🟣 Nomi più usati in Italia
🔴 Nomi femminili antichi
🟠 Nomi femminili greci
🟡 Nomi femminili latini
🟢 Nomi femminili biblici
🔵 Nomi femminili rari
🟣 Nomi femminili medievali
🔴 Nomi femminili stranieri
🟠 Nomi femminili particolari
🟡 Nomi femminili corti
🟢 Nomi femminili ispirati ai fiori
🔵 Nomi femminili eleganti
🟣 Nomi femminili vintage
🔴 Nomi femminili dolci
🟠 Nomi per gattine
🟡 Nomi per cani femmina
🟢 Nomi femminili di principesse
↩️ Nomi femminili dalla A alla Z

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

L’insegnamento più importante di Maria Montessori alle madri

Questa lettura fa parte di un ciclo di tre letture tratte da “Il bambino in famiglia”, che contengono i tre consigli di Maria Montessori alle madri (e, aggiungiamo noi, ai padri).
Vi consigliamo di leggere anche e “Assecondiamo il desiderio di attività del bambino“ e “I bambini sono straordinariamente sensibili. Non confondiamoli“.

“Cercherò di enumerare i principi che possono servire alla madre per trovare la via più giusta.
Il più importante è: rispettare tutte le forme di attività ragionevole del bambino e cercare di intenderle.

Dirò prima di tutto di una bambina di tre mesi, un piccolo essere sulla soglia della vita. Questa bambina sembrava avere appena allora scoperto le sue mani e faceva ogni sforzo per osservarle bene, ma le sue braccine erano troppo corte e, per guardarsi le mani, doveva torcere gli occhi. Era dunque in grado di compiere uno sforzo abbastanza grande. C’era tanto da osservare intorno a lei, ma soltanto le sue manine la interessavano. I suoi sforzi erano l’espressione di un istinto, che sacrificava le proprie comodità per appagare un soddisfacimento interiore. Più tardi diedero alla bambina qualcosa da tenere in mano, da toccare. Lo teneva con indifferenza. Quell’oggetto, apparentemente, non la interessava. Aprì la manina e lo lasciò cadere senza punto curarsene. Invece il suo visino prendeva un’espressione intelligente ogni volta che si sforzava di afferrare oggetti con le manine – vicini o lontani – spesso senza riuscirvi. Osservava con aria interrogativa le sue manine, come per dire: «Com’è che qualche volta riesco ad afferrarli e altre volte no?». Evidentemente il problema della funzione delle mani aveva attirato la sua attenzione. Quando poi questa piccina arrivò a sei mesi, le diedero un sonaglio con un campanellino d’argento. Glielo misero in mano, aiutandola a scuoterlo per far suonare il campanellino. Dopo qualche minuto la bambina lasciò cadere il sonaglio. Lo raccolsero e glielo diedero nuovamente, e così per molte volte. Sembrava che la bambina avesse uno scopo nel far cadere il sonaglio e nel rivolerlo subito dopo. Un giorno, mentre lo teneva ancora nella manina, cominciò, invece di aprire, come al solito, tutta la mano, a sciogliere prima un dito, poi un altro e un altro; finalmente si aprì anche l’ultimo ditino e il sonaglio cadde a terra. La piccina si guardava le dita con la più grande attenzione. Rifece il movimento continuando a guardare le sue piccole dita. Quello che l’interessava non era evidentemente il sonaglio, ma il gioco, la «funzione» delle dita che sapevano tenere quell’oggetto, e quest’osservazione le procurava gioia. Prima la bambina aveva forzato gli occhi in una posizione incomoda per poter osservare la mano, ora ne studiava il funzionamento. La madre saggia si limitava a raccogliere pazientemente e restituire il sonaglio. Prendeva parte, così, all’attività della sua figliolina e capiva la grande importanza che aveva per lei il ripetersi di questo esercizio. Questo è un piccolo fatto, che spiega i bisogni più semplici di un bambino nella sua prima età.

Forse molti dubiteranno che vi sia nei più piccini questa vita interiore. Bisogna, certo, imparare a capire il linguaggio dell’anima che si forma, come ogni altro linguaggio, se si vogliono conoscere le necessità dei piccoli esseri e persuadersi della loro importanza per la vita che si sviluppa. Il rispetto della libertà del bambino consiste nell’aiutarlo nei suoi sforzi per crescere.

Un altro caso. Un bambino di circa un anno guardava un giorno delle figure che la madre gli aveva preparato già prima ch’egli nascesse. Il piccino baciava le figure dei bimbi ed era attirato specialmente dalle figurine più piccole. Sapeva anche distinguere le immagini dei fiori e le avvicinava al visino facendo mostra di odorarle. Era chiaro che il bambino sapeva come ci si comporta coi fiori e coi bambini. Alcune persone presenti trovarono che il piccino aveva una grazietta inimitabile e si misero a ridere e cominciarono a fargli baciare e odorare una quantità di oggetti, ridendo di queste sue manifestazioni, che a loro sembravano buffe, e alle quali non annettevano nessun significato. Gli diedero dei colori da odorare e dei cuscini da baciare, ma il piccino divenne tutto confuso e dal suo visino era scomparsa quell’espressione attenta e intelligente che dianzi lo abbelliva tanto. Prima era stato tutto felice di saper distinguere una cosa dall’altra e di esplicare l’attività corrispondente: era questo un nuovo, importante acquisto della sua intelligenza, questa occupazione ragionevole l’aveva reso completamente felice. Ma egli non aveva ancora la forza interna per difendersi dalla intromissione brutale degli adulti. Così finì col baciare e odorare tutto indistintamente, ridendo nel veder ridere coloro che lo attorniavano e che gli avevano sbarrato la via per evolversi indipendentemente. Quante volte facciamo qualcosa di simile coi nostri bambini senza saperlo!”

FONTE: Maria Montessori, Il bambino in famiglia, Garzanti, 2018

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

La differenza (non) sottile tra autonomia e indipendenza

Autonomia e indipendenza sono due principi educativi diversi.
L’indipendenza è quella del naufrago o dell’eremita, è la virtù di colui che riesce a sopravvivere senza legami: è la “capacità di sussistere e di operare in base a principi di assoluta autonomia” (Google, ad vocem). Indipendenza deriva dal latino in, “non” e dipendere, che indica la condizione dell’essere soggetto a qualcuno; essere indipendente significa non essere asservito ad alcuno, con un netto distacco.
L’autonomia ha un’origine differente: questa parola indica la capacità di vivere secondo le proprie leggi (dal greco antico autos, “egli stesso” e nomos, “legge”). Una persona autonoma è una persona capace di regolare se stessa, la propria affettività e la propria morale, ma non si fa menzione alla solitudine o all’isolamento dagli altri.

Educare all’autonomia significa far crescere un bambino (e, di riflesso, crescere anche noi) capace di comprendere i propri bisogni, anche in relazione agli altri. Significa rinunciare alla tentazione di modellarlo come se fosse una statua di cera e lasciarlo libero di esplorare il suo potenziale; significa dargli gli strumenti per intraprendere il proprio percorso di vita ricordando sempre l’interdipendenza: i legami ci arricchiscono e sono una condizione essenziale per vivere bene, non un limite (come, invece, è la solitudine). L’autonomia non ha bisogno di essere esasperata: emerge naturalmente quando le relazioni si consolidano. I litigi in famiglia sono un momento cruciale per lo sviluppo dell’autonomia: il bambino, infatti, sperimenta la diversità di vedute e lo scontro – civile – tra idee divergenti. In questo senso sono molto importanti anche le esperienze coi pari: la scuola, il campo estivo e la colonia. L’autonomia ha bisogno di una rete affettiva di sicurezza: si nutre di ascolto, di qualcuno capace di intuire quando abbiamo bisogno di un sostegno.

Educare un bambino all’indipendenza, diversamente, significa abituarlo a poter contare solo sulle sue forze; significa dare valore all’assenza invece che alla presenza. Significa abituare il bambino, sin da piccolo, a non creare problemi, il che si traduce naturalmente nell’avversione al rischio.
L’indipendentismo educativo trascura un fattore importante: le relazioni sociali sono un fattore cruciale, forse il più importante, per riuscire a superare autonomamente i problemi e gli ostacoli. Purtroppo, l’educazione all’indipendenza vede questi momenti come una minaccia, e preferisce eliminare direttamente l’ostacolo, con il risultato che i bambini crescono in una bolla, destinata, presto o tardi, a scoppiare.

Ricordiamoci della presenza affettiva, condizione essenziale dell’autonomia. Confondere l’autonomia con l’indipendenza può sembrare una sottigliezza linguistica, ma si tratta di una scelta di campo dagli effetti tutt’altro sottili.

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Lezione di ascolto: la Volpe e il Piccolo Principe

“Come ti senti?”. L’avete mai domandato ai bambini? E se l’avete fatto, era una domanda aperta o di circostanza? In un’analisi recente, Angela Duckworth ha intervistato migliaia di adolescenti americani: ha chiesto loro come si sentivano, chiedendo di elencare le emozioni. Successivamente, ha chiesto ai loro insegnanti di valutare lo stato emotivo dei ragazzi: la correlazione tra le emozioni reali dichiarate dai ragazzi e quelle che i loro insegnanti ritenevano essere le loro emozioni era molto bassa. In alcuni casi, si avvicinava a zero.
È molto, molto difficile immaginare come un altro si possa sentire se non glielo chiediamo in modo aperto e sincero. Spesso diamo per scontati i sentimenti di chi ci circonda, specialmente quelli dei bambini. Questo accade a scuola, ma anche in famiglia. Impariamo a chiedere di tanto in tanto “Come ti senti?”, mettendo da parte la pretesa di conoscere la risposta. Non giudichiamo: se qualcuno si sente male, il nostro compito non è indicargli la strada giusta, ma aiutarlo a trovare da sé le risorse per rialzarsi.

Il Piccolo Principe ci regala un bell’esempio di ascolto non giudicante: ad un certo punto, il Piccolo Principe scopre che esistono migliaia di rose e che la sua non è poi tanto speciale. È triste, e scoppia in lacrime. È in questo frangente che incontra la volpe. “Vieni a giocare con me, perché sono tanto triste” chiede il piccolo principe alla volpe. La volpe ascolta le sue parole senza giudicare. Non predica la felicità al Piccolo Principe, né gli impartisce lezioni di vita. Gli fa notare, però, che lei non può giocare con lui, poiché nessuno l’ha addomesticata. I due, così, si mettono a discorrere sul significato dell’addomesticamento.
È così che il Piccolo Principe si rende conto del motivo che ha reso la sua rosa così speciale. È così che ritrova se stesso, i propri sentimenti e il significato della propria vita. Durante tutto questo processo, la volpe ascolta senza intromettersi nella battaglia interiore dell’altro.
L’unico consiglio, glielo dà al momento di separarsi.
“Addio;” disse la volpe “ed ecco il mio segreto. È un segreto alquanto semplice, in verità. Non si vede bene che col cuore; l’essenziale è invisibile agli occhi”.
Che è poi il cuore nascosto di questa riflessione: se vogliamo avvicinarci davvero all’anima di qualcuno, dobbiamo lasciare da parte i nostri pregiudizi, il pensiero comune e la ragione. Dobbiamo metterci in ascolto donando il nostro cuore e il nostro tempo.

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.