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LE 8 R DELLA DECRESCITA E IL LORO VALORE EDUCATIVO

Lettura scelta, tratta da un intervento di Serge Latouche:


La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

  • Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.
  • Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.
  • Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.
  • Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).
  • Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.
  • Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.
  • Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.
  • Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.

SUGGERIMENTO: Prova a leggere queste 8 R in chiave educativa: prova ad immaginarle al di fuori del contesto economico, come fondamentali di una nuova visione pedagogica per un mondo – finalmente – libero.

FONTI

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La savana

La savana è un bioma caratterizzato da precipitazioni scarse e quasi assenti nella stagione secca: a causa della scarsità d’acqua non si sviluppano foreste ma solo praterie erbose. Nelle aree di savana più vicine ai deserti cresce solo il manto erboso; allontanandosi dal deserto verso latitudini più piovose è possibile trovare arbusti e alberi isolati.

CLIMA DELLA SAVANA

Il clima della savana è composto da due stagioni: la stagione secca e la stagione umida.
Durante la stagione umida vi sono temporali frequenti. Nella stagione secca, invece, le precipitazioni sono quasi assenti, con un clima simile a quello desertico. La temperatura è abbastanza elevata.
A causa del riscaldamento globale il clima della savana sta cambiando: la stagione secca dura sempre di più e le precipitazioni sono più scarse.

TIPI DI SAVANA

Nel mondo troviamo tre diverse zone di savana:

  • la savana africana (la più conosciuta);
  • la savana centroamericana e sudamericana;
  • la savana asiatica e quella australiana.

Il clima è molto simile in queste tre zone; flora e fauna, tuttavia, differiscono dall’una all’altra.

Schede di geografia:
🔴 Geografia – Classe prima
🟠 Geografia – Classe seconda
🟡 Geografia – Classe terza
🟢 Geografia – Classe quarta
🔵 Geografia – Classe quinta
↩️ Geografia – Tutte le schede

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Perché le punizioni non funzionano

Lettura scelta da “Un genitore quasi perfetto”, di Bruno Bettelheim:


C’è una differenza abissale tra l’acquisire l’autodisciplina attraverso l’identificazione con le persone che si ammirano, ed essere irreggimentati a forza, o addirittura con la violenza. Imporre la disciplina ai bambini tende a essere controproducente, se non addirittura nocivo ai fini che il genitore si propone. Quanto ai castighi, può darsi che trattengano il bambino dal fare quello che non dovrebbe, ma non gli insegnano l’autodisciplina; per fare questo esistono metodi certamente più efficaci.
Il genitore che, lasciandosi trasportare dalle emozioni suscitate in lui dalla cattiva condotta del figlio, lo punisce, ci penserebbe due volte a farlo e non si sentirebbe più dalla parte della ragione, se invece di camuffare il suo gesto da metodo educativo, ammettesse con se stesso di essersi lasciato trascinare dall’emozione. In caso contrario, riuscirà forse a ingannare se stesso, ma non il figlio.
Quello che i bambini imparano dalle punizioni è che forza e diritto coincidono, quando saranno abbastanza grandi e forti, cercheranno di rifarsi; perciò tanti bambini “puniscono” i loro genitori comportandosi in un modo che sanno li addolora.

[…]

Qualsiasi punizione, fisica o psicologica, ci pone contro la persona che l’ha inflitta. E a questo proposito non dobbiamo dimenticare che le ferite psicologiche possono fare più male e durare più a lungo di un dolore fisico. […]
In genere si impara in fretta a evitare le situazioni che ci mettono in condizione di venire puniti: in questo senso si può dire che le punizioni siano efficaci. Tuttavia, come insegna la storia della criminalità, esse non costituiscono un deterrente adeguato per chi ritiene di poterla fare franca; cioè, il bambino che prima agiva apertamente, ora imparerà a fare le cose di nascosto, e più severamente verrà punito, più diventerà subdolo.

[…]

È molto meglio dire a nostro figlio che siamo sicuri che non si sarebbe comportato male se avesse saputo che era male comportarsi così. Il che, tra l’altro, il più delle volte corrisponde a verità; […]
Se facciamo capire al bambino che, pur disapprovando quello che ha fatto o proibendo quello che vorrebbe fare, siamo certi che non intendeva dare nulla di male, la nostra disponibilità susciterà in lui un’analoga disponibilità a darci ascolto. E anche se le nostre obiezioni non gli fanno piacere, gli farà piacere continuare a meritare la nostra stima, tanto da essere disposto a rinunciare a qualcosa che voleva fare.


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IL CONFLITTO TRA ADULTO E BAMBINO

Lettura scelta da “Il bambino in famiglia”, di Maria Montessori:


I cosiddetti problemi dell’educazione, specialmente quelli riguardanti l’individualità, il carattere, lo sviluppo dell’intelligenza, hanno una loro origine nel conflitto permanente tra l’adulto e il bambino. Gli ostacoli che l’adulto oppone al bambino sono numerosi e gravi, ed essi diventano tanto più pericolosi, quanto più l’adulto si rivolge di continuo verso il bambino, e quasi si arma contro di lui, col diritto, con la scienza, con la volontà di dirigerlo secondo le proprie convinzioni.

Quindi l’adulto più vicino al bambino, come la madre o l’educatore, è quello appunto che rappresenta il massimo pericolo per la formazione della personalità infantile. La questione di questo conflitto primitivo tra il forte e il debole, non riguarda soltanto l’educazione, ma si riflette sulla vita psichica dell’uomo, dando la chiave di molte psicopatie e anomalie del carattere e del sentimento; quindi la questione è di ordine universale, o meglio ciclica, passando dall’adulto al bambino e dal bambino all’adulto. Il primo passo per risolvere integralmente il problema dell’educazione non deve dunque essere fatto verso il bambino, ma verso l’adulto educatore: occorre chiarire la sua coscienza, spogliarlo di molti preconcetti: infine cambiare i suoi atteggiamenti morali. A questo primo passo segue l’altro, di preparare al bambino un ambiente adatto alla sua vita e privo di ostacoli. L’ambiente può essere determinato sulla guida di una persona sola: del bambino, il quale a mano a mano che viene liberato dalla necessità di dover lottare contro gli ostacoli, comincia a manifestare i suoi caratteri superiori, le sue tendenze più alte e più pure di creatore di una personalità nuova. In questi due passi è compiuta la necessaria preparazione del fondamento: essa si risolve in un cambiamento di ordine morale così dell’adulto, come del bambino.


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LIBERTÀ SIGNIFICA ANCHE LIBERTÀ DALL’IGNORANZA

L’ignoranza è il pericolo sociale più grande. La libertà inizia dove finisce l’ignoranza“.
Victor Hugo

Per secoli il potere ha alimentato l’ignoranza attraverso lo strumento dell’analfabetismo. Eppure, la libertà, se non ci si affranca dal male dell’ignoranza, non è solo inconsistente: è addirittura pericolosa. Chi non comprende le parole e i pensieri degli altri può essere manipolato facilmente. La parola ha un potere immenso: Gianni Rodari e Don Milani hanno lottato a lungo – due vite intere – per aiutarci a comprendere il potere della parola e per liberarci da questa forma di ignoranza.

È col favore dell’ignoranza che certe dottrine distruttive passano dalla mente spietata dei teorici al cervello confuso delle folle“.
Victor Hugo

Ma l’ignoranza non è stata sconfitta. Al contrario, imperversa. Lo studioso di internet Eli Pariser, qualche anno fa, ha coniato il termine “bolla di filtraggio” per indicare una condizione pericolosa indotta dagli algoritmi che regolano internet. Social network e motori di ricerca, infatti, stanno sviluppando algoritmi sempre più sofisticati che analizzano i testi che leggiamo e ci propongono contenuti affini.
Questo significa, secondo Pariser, che ci indottrinano proponendoci sempre le stesse idee e ci evitano il contatto (da qui il termine di bolla) con le idee opposte, con il contraddittorio. La teoria della bolla di filtraggio ha ricevuto numerose critiche e non è facile valutare il suo impatto su ciascuno di noi.

In verità, quella bolla è nelle nostre teste: tutti noi viviamo in una bolla e tendiamo a sfuggire al contraddittorio. Preferiamo parlare con qualcuno che la pensa come noi piuttosto che con qualcuno che ci contesta. Liberarsi dall’ignoranza significa, sostanzialmente, prendere atto di questa bolla per poi uscirne: impariamo a non temere il giudizio.
La teoria della falsificabilità di Karl Popper afferma che una teoria, per potersi definire scientifica, deve essere confutabile. La scienza moderna si fonda sulla confutazione, sulla critica e sulla divergenza. Ogni buona teoria ha alle spalle numerosi tentativi di confutazione.

L’inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un difetto. Ogni controllo genuino di una teoria è un tentativo di falsificarla, o di confutarla. La controllabilità coincide con la falsificabilità; alcune teorie sono controllabili, o esposte alla confutazione, più di altre; esse per così dire, corrono rischi maggiori“.

Questo vale anche per le nostre idee: rendiamole confutabili, analizziamole con una buona dose di spirito critico. Solo così la nostra libertà cesserà di essere un pericolo e diventerà una ricchezza per la nostra comunità.

 

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Perché lo sciacallo fu fatto re

PERCHÉ UNO SCIACALLO FU FATTO RE

Antonio Gramsci


Nella giungla si erano uniti in «clan», per poter cacciare con più profitto e meno pericolo, e babbuini e lupi e leopardi ed altre bestie di vario pelo e colore. Tra di loro però si era intrufolato un piccolo sciacallo che mangiava i rifiuti e spolpava le ossa dei succulenti banchetti. Era mal sopportato perché nella giungla lo sciacallo è temuto da tutti come diffusore di idrofobia e di malattie infettive, ma l’irritazione e il malcontento era grande e tutti del «clan» avrebbero benedetto la buona occasione che li avesse liberati dal poco piacevole socio. Fu una scimmietta molto accorta e giudiziosa che trovò la via di scampo: «Perché non lo facciamo nostro re? – propose in una privata assemblea da lei appositamente convocata, – lo potremmo così collocare nella sua nicchietta, ben pasciuto e immunizzato dalla sua stessa autorità, e noi non avremmo più a soffrire del contatto da pari a pari con chi ci fa continuamente rabbrividire e drizzare il pelo. Potrà fare collezione di tutti i cocci colorati e le cartine inargentate che troveremo nelle nostre incursioni, di cui gli faremo doveroso omaggio, e così saremo tranquilli».


NOTA: non sappiamo se la soluzione escogitata dalla scimmietta rese più tollerabile la vita degli animali della giungla. Certo, il loro comportamento è simile a quello di molte e molti di noi: facciamo un passo indietro prendendo le distanze dai nostri governanti, come ad isolarli in una bolla dorata. Purtroppo, questa scelta, nella storia dell’uomo, è costata cara a più di un popolo. Dunque, leggiamo la favola dello sciacallo, affinché nessuno sciacallo possa indossar più una corona.

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