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I bambini hanno bisogno di più natura e meno tecnologia

Nel 2005 lo studioso americano Richard Louv ha coniato il termine NDD, Nature Deficit Disorder, per indicare l’insieme dei sintomi associati alla mancanza di occasioni per immergersi nella natura. Negli ultimi decenni l’urbanizzazione e le crescenti paure per la sicurezza dei bambini ci hanno portato a trascorrere un numero di ore sempre crescente chiusi in casa, a scapito dei prati, dei boschi e dei parchi.
Numerosi studi hanno analizzato gli effetti negativi legati a questa perdita e hanno evidenziato i benefici del tempo speso nella natura. Gli studenti che vivono vicino alle aree verdi ottengono migliori risultati a scuola e sono più resilienti allo stress e all’ansia legati alla scuola.
Louv suggerisce un programma incentrato sulle attività a contatto con l’ambiente naturale (passeggiate, escursioni, bird-watching, campeggio, etc.) ed un programma scientifico volto a far riscoprire le piante, gli alberi e gli animali dell’ambiente naturale in cui vivono i bambini.

Tuttavia, questo problema si può analizzare anche assumendo un’altra prospettiva. Il “deficit di natura” (che, ci teniamo a sottolinearlo, è un termine giornalistico e non è riconosciuto come patologia dalle organizzazioni internazionali) però evidenzia un deficit più profondo, ed è quello legato alla nostra umanità. Lo ha evidenziato bene Elizabeth Dickinson, ricercatrice nel campo dell’ecopsicologia, La studiosa ha analizzato il deficit di natura e ha individuato numerose criticità, non tanto nel messaggio, ma nel modo in cui esso è stato sviluppato.
Infatti, per combattere il NDD non è sufficiente mandare i bambini in giardino: dobbiamo invece ripartire da noi stessi, dalle grandi domande interiori, dall’etica e dall’analisi critica del nostro stile di vita e delle pratiche che adottiamo. Soltanto una riflessione profonda ci permetterà di comprendere meglio i confini di questo problema, che non è la natura, bensì la nostra società. Essa riduce tutto ad oggetti, è antropocentrica, non-ecologica e tende a minimizzare e ignorare le emozioni. È la società, prima ancora del tempo speso nella natura, che dobbiamo rigenerare.
Tornare a camminare nei boschi, allora, non sarà più il punto di partenza, ma la conquista finale di un percorso interiore.

Beninteso: i nostri bambini hanno bisogno di più natura e meno tecnologia. Il tempo trascorso nel verde ha una grandissima valenza formativa, che colse già Maria Montessori. L’importante è conservare una visione critica sul fenomeno e non trascurare i fattori umani (individuali e sociali) che spesso, nell’argomentare intorno alla natura, passano in sordina.

BIBLIOGRAFIA
https://www.academia.edu/3603381/The_misdiagnosis_Rethinking_nature-deficit_disorder_2013_

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Curiosità

curiosità

Cos’è la curiosità?

Secondo l’approccio delle scienze del carattere, la curiosità è un tratto caratteriale e uno dei cinque punti di forza che compongono la virtù della sapienza. La curiosità, infatti, ci fa avvicinare a nuovi campi della conoscenza umana e ci predispone a fare nuove esperienze che arricchiranno il nostro bagaglio culturale.
Secondo i ricercatori la curiosità si compone di due elementi essenziali:

  1. Il desiderio di conoscere nuove idee e sperimentare nuove esperienze
  2. Il desiderio di ampliare la propria conoscenza

La curiosità è positiva?

Assolutamente sì. Le ricerche sulla curiosità hanno scoperto che è uno dei 5 tratti caratteriali maggiormente collegati alla soddisfazione per la vita. È associata anche alla felicità, alla longevità e alle relazioni sociali positive. Spesso la curiosità è il punto di partenza per scoprire grandi passioni, che dureranno per tutta la vita.

Come riconoscere una persona curiosa?

  1. Provano spesso nuovi cibi e ristoranti.
  2. Si divertono a provare strade diverse dal solito per tornare a casa, andare a scuola e al lavoro.
  3. Spesso fanno ricerche online su argomenti che ritengono interessanti.
  4. Si appassionano facilmente a cose nuove e diverse da quelle che hanno provato finora.

La curiosità è il vostro punto di forza? Ecco alcune domande per riflettere su di essa: 

  1. Cos’è che attira maggiormente la tua curiosità?
  2. Eri ugualmente curiosa/o da bambina/o?
  3. La tua curiosità è cambiata crescendo?
  4. Riesci a impiegare la tua curiosità nella vita?
  5. Ritieni che la curiosità sia utile per il tuo lavoro?

Esercizi per stimolare la curiosità

  1. Praticate la curiosità attiva: esplorate a fondo l’ambiente in cui vivete alla ricerca di qualcosa di bello che non avevate mai notato prima.
  2. Provate il gioco dei “perché”: la prossima volta che dovrete fare qualcosa che non vi piace, chiedetevi perché lo state facendo.
  3. Sfidate voi stessi ad imparare ogni giorno qualcosa di nuovo: può essere un nuovo vocabolo nella vostra lingua o nella seconda lingua che parlate, una curiosità scientifica, matematica, storica o di qualunque altro genere. Provate per un mese.

BIBLIOGRAFIA
https://www.viacharacter.org/

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Il fiore della gratitudine: laboratorio emotivo

Il fiore della gratitudine

Laboratorio emotivo, a cura di Alessia de Falco & Matteo Princivalle

Occorrente:

  1. Il libro “Favole Sagge: Le tre stelline & La leggenda della peonia“, che potete acquistare su AMAZON (cliccando qui).
  2. La scheda “Il fiore della gratitudine”, che trovate in fondo a questa pagina e che potete scaricare gratuitamente.
  3. Matite, pennarelli, pastelli o altri supporti per disegnare e colorare.

Obiettivi educativi: 

  1. Esercitare consapevolmente la gratitudine intesa come tratto caratteriale e sperimentare la gratitudine intesa come emozione.
  2.  Promuovere una buona pratica educativa ispirata alle tecniche dell’educazione positiva.

Come si fa: 

  1. Prima di cominciare, leggete ad alta voce e lentamente la favola “Le tre stelline” contenuta nel quinto volume delle Favole Sagge. Vi suggeriamo di fare pause tra una sequenza e l’altra, mostrando le illustrazioni e commentandole insieme ai bambini (15 minuti circa).
  2. A lettura conclusa, prendete la scheda “Il fiore della gratitudine” e osservatela insieme, con attenzione: rappresenta un vaso e lo stelo di una pianta. Saranno i bambini a farla fiorire, inserendo nel vaso un concime a base di gratitudine. Questa metafora è estremamente potente e potete utilizzarla per introdurre ai bambini il laboratorio.
  3. Prima fase del laboratorio (concimazione): chiedete ai bambini di chiudere gli occhi e pensare a qualcosa che è capitato loro in questa giornata e che ha reso migliore la loro giornata. Poi, chiedete loro di scriverla all’interno del vaso (se proporrete il laboratorio a bambini in età prescolare potete chiedere loro di disegnarla o raccontarvela e poi rappresentarla con un colore); sarà questo il concime che permetterà alla loro pianta di fiorire (10 minuti circa).
  4. Seconda fase del laboratorio (fioritura): chiedete ai bambini di chiudere gli occhi e pensare a quale fiore potrebbe sbocciare dal loro concime a base di gratitudine. Adesso dovranno disegnarlo e colorarlo (15 minuti circa).
  5. Conclusione: il potere della gratitudine è immenso; essa può letteralmente far fiorire la nostra vita e aiutarci a trovare un significato in quello che facciamo. Spiegate ai bambini che così come il loro pensiero di gratitudine ha fatto sbocciare un bel fiore, produce lo stesso effetto sulla loro vita, donando un tocco di colore e di profumo ad ogni giornata.

Scheda “Il fiore della gratitudine”

Cliccate sulla scheda qui sotto per scaricare il template in formato A4 da stampare e completare.
Se non potete stampare la scheda, realizzatene una ispirandovi al nostro modello.

il fiore della gratitudine laboratorio emotivo

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

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Leggere ad alta voce ogni giorno tra 0 e 3 anni ha dei grandi benefici sullo sviluppo del linguaggio

Leggere ad alta voce influisce significativamente sullo sviluppo dei bambini tra 0 e 3 anni. Questa pratica aiuta i bambini ad incrementare in modo significativo lo sviluppo del linguaggio, quello dell’attenzione e i tempi di lettura. Inoltre, i bambini che ascoltano frequentemente letture ad alta voce sviluppano un interesse maggiore verso i libri e la lettura.

A rivelarlo è uno studio recente condotto dall’Università di Perugia, diretto dal Professor Federico Batini, che ha analizzato gli effetti della lettura su 1600 bambini di 80 sezioni di asili nido toscani. Lo studio è parte dell’iniziativa “Leggere: forte! Ad alta voce fa crescere l’intelligenza”, progetto della Regione Toscana che si propone di introdurre la lettura ad alta voce nelle scuole di ogni ordine e grado. I ricercatori hanno letto ad alta voce ai bambini un’ora al giorno per 50 giorni, scegliendo testi di difficoltà e lunghezza crescente
Tra gli aspetti che hanno sorpreso maggiormente i ricercatori c’è l’accelerazione nello sviluppo del linguaggio: i bambini che hanno partecipato alla sperimentazione hanno mostrato una crescita più rapida del 15% rispetto agli altri, sia per quanto riguarda la comprensione che per l’espressione. Anche la capacità di prestare attenzione alla lettura ha mostrato un’impennata significativa, da 22 a 59 minuti.

Anche noi possiamo ripetere lo studio a casa: sarà sufficiente “ritagliare” uno spazio-lettura quotidiano, scegliere dei testi da proporre ai bambini e lasciare che questa buona pratica conquisti tutta la famiglia. I ricercatori hanno individuato i benefici dopo 50 giorni di lettura, ma possiamo abbondare: leggere non presenta controindicazioni!
Su portalebambini.it potete trovare un’ampia selezione di letture per bambini, nella nostra sezione dedicata alle favole e alle fiabe.

BIBLIOGRAFIA
https://www.regione.toscana.it/-/leggere-forte-

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La leggenda del peperoncino

la leggenda del peperoncino

La leggenda del peperoncino

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta un seme, che era arrivato sulla terraferma dopo un lunghissimo viaggio per mare e non ricordava più nulla del suo paese; neppure il suo nome.
Sbarcando dal veliero, esclamò con entusiasmo: “Diventerò grande e i miei frutti faranno impazzire tutti i bambini su questo continente: piaceranno più delle dolci fragole”.
Quel seme aveva perso la memoria, ma aveva le idee molto chiare su cosa fare da grande.
Arrivato al mercato, fu acquistato da una contadina che lo piantò nel giardino di casa.
Lì, diventò una bella pianticella, con le foglie verde scuro e dei piccoli fiori bianchi. I bambini che giocavano nel giardino la osservavano tutti i giorni.
“Chissà che frutti darà questa strana pianta” si dicevano. “Magari saranno pungenti come le more di rovo e i lamponi”; “forse saranno dolci come le fragole”; “e se fossero croccanti come le mele?”.
Il tempo passò e i fiori si trasformarono in frutti: erano lunghi e bianchi, a forma di cornetto. Assomigliavano vagamente ai peperoni dell’orto e così i bambini cominciarono a chiamare quella pianta Peperoncino.
Finalmente giunse il momento di assaggiare i frutti: i bambini li staccarono delicatamente dai rami e li sgranocchiarono incuriositi.
“Chissà cosa diranno dei miei frutti” pensò tra sé il peperoncino orgoglioso, certo che i bambini gli avrebbero fatto mille complimenti.
E invece, i bambini diventarono rossi in viso e presero a tossire.
I frutti del peperoncino non erano affatto dolci: erano così piccanti che corsero tutti alla fontana, per lavarsi il loro sapore dalla bocca.
Il peperoncino si vergognò così tanto che da bianco che era diventò rosso come un pomodoro.
“Che disastro” disse disperato, “i miei frutti hanno un sapore terribile e non piaceranno a nessuno”.
Ma il suo destino era molto diverso: quando i bambini raccontarono alla loro mamma di quei frutti così piccanti da far venire le lacrime, lei scese in giardino incuriosita, prese due peperoncini e li usò in cucina. Scoprì che quello strano frutto rosso donava un ottimo sapore piccante alle verdure e alle pietanze e da allora cominciò a venderlo al mercato, dove riscosse un grande successo.
Ebbe un tale successo che oggi, il peperoncino non piace ai bambini, ma è la spezia più usata in tutto il mondo. Lui però non lo sa, ed è ancora rosso per la vergogna.

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La leggenda del convolvolo

la leggenda del convolvolo

La leggenda del convolvolo

C’era una volta una fatina, come ce ne sono tante: volava da un fiore all’altro e giocava a schizzare gocce di rugiada con sue amiche. La sera giocava insieme alle lucciole a rincorrersi, lasciando in giro polvere di stelle. Questa fatina, Azzurrina era il suo nome, viveva in un fiore molto strano: era bianco, a forma di campanella e i suoi rametti sottili si attorcigliavano ovunque. La regina delle fate chiamava quel fiore convolvolo; dopo averlo assegnato ad Azzurrina come casa, le aveva raccomandato: “Bada bene fatina mia, questa pianta è molto speciale. Il suo cuore è sensibile: fiorirà quando ti sentirai felice, ma se ti arrabbierai, stritolerà tutto coi suoi rami. Presta attenzione”.
La regina non pronunciò per caso quelle parole: nonstante il nome aggraziato, Azzurrina era una fatina irascibile e i suoi capricci riecheggiavano spesso nel prato. Montava in furia se le lumache non la portavano dove voleva, se il Sole era troppo caldo, se era troppo poco caldo, se le sue amiche sceglievano un gioco diverso da quello che voleva lei. In buona sostanza, Azzurrina era sempre scontenta e questo fece crescere il suo convolvolo a dismisura: le altre fatine smisero di avvicinarsi, per paura di finire stritolate dai rami di quello strano rampicante. Così Azzurrina rimase sola ma, ciò che è peggio, se la prese con il mondo intero: “Nessuno mi vuole! Nessuno mi capisce”. La sua rabbia fu tale che i tralicci riccioluti del convolvolo – sul quale ormai non era rimasto nemmeno un fiore – crebbero a dismisura e invasero ogni angolo del giardino profumato. Azzurrina stava guardando con ammirazione il frutto della sua rabbia quando si accorse di un esserino accasciato al suolo; era una falena grigia, che giaceva agonizzante.
Azzurrina la guardò preoccupata e si dimenticò della sua rabbia: “Cosa ti è successo?”. Poi, all’improvviso capì: la falena, che un tempo viveva nei fiori del convolvolo, aveva perso la sua casa a causa della rabbia di Azzurrina. Ormai non c’erano più fiori e la falena era rimasta sotto il Sole tutto il giorno.
“Che cosa ho fatto!” gridò azzurrina con la voce strozzata. “Scusami; ah, se solo potessi aiutarti…”.
Ma non finì la frase perché scoppió a piangere e singhiozzare. Una delle sue lacrime cadde sul convolvolo e propriò lì nacque un fiore, bianco e profumato; le altre lacrime invece finirono nel calice del fiore, riempiendolo. Quando Azzurrina alzò gli occhi e lo vide, sorrise.
Azzurrina fece bere la falena dal calice del convolvolo e lei riprese a poco a poco le forze.
Quando fu in grado di parlare nuovamente, osservò Azzurrina e le disse: “Grazie per quello che hai fatto per me”.
“Grazie? Ma io stavo per ucciderti …”
“Niente affatto, tu mi hai salvata. Tutti sbagliamo e ci arrabbiamo, ma una parola magica, detta col cuore può cambiare le cose. Quella parola è “scusa”.
Da quel giorno Azzurrina e la falena vivono insieme tra i fiori del convolvolo e ogni volta che una delle due si arrabbia, l’altra si sede accanto a lei e l’ascolta.

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