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L’educazione deve andare alla scoperta del bambino

L’adulto deve cercare di interpretare i bisogni del bambino per seguirlo e assecondarlo con le proprie cure, preparandogli insieme un ambiente adatto. Solo cosi si può iniziare una nuova epoca nell’educazione, quella dell’aiuto alla vita. E potrà aver fine e chiudersi l’epoca in cui l’adulto considerava il bambino come un oggetto che si prende e si trasporta dovunque quando è molto piccolo e che quando è cresciuto deve soltanto obbedire e seguire l’adulto. […]

È necessario, prima di procedere a uno svolgimento educativo, di porre le condizioni di ambiente che favoriscono l’affioramento dei caratteri normali nascosti. A tale scopo basta solo «allontanare gli ostacoli» e questo deve essere il primo passo e il fondamento dell’educazione. […]

Ecco la vera educazione nuova: andare prima alla scoperta del bambino e realizzare la sua liberazione: in questo consiste si può dire il problema dell’esistenza: prima esistere. Poi deve seguire l’altro capitolo lungo come la durata dell’evoluzione verso lo stato adulto, che è il problema dell’aiuto che si deve offrire al bambino.

BIBLIOGRAFIA
M. MONTESSORI, Il segreto dell’infanzia, Garzanti, 2018

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La favola del buon orecchio

LA FAVOLA DEL BUON ORECCHIO

Molto tempo fa, nel lontano Oriente, vivevano due ragazzi. I due erano cresciuti insieme e, crescendo, erano diventati buoni amici. Il primo, Guo, era molto abile a suonare l’arpa e trascorreva le giornate all’ombra di una pagoda, suonando e cantando. Il secondo, Ning, non sapeva fare nulla di che e passava le giornate ad ascoltarlo.

Quando Guo suonava e cantava dei Monti Sacri, Ning chiudeva gli occhi e poco dopo esclamava: “Bravo Guo, grazie alle tue melodie riesco ad immaginare le vette delle montagne, come se fossi lì”. Lo stesso accadeva quando Guo intonava canzoni sul Fiume Azzurro: Ning restava estasiato: “Che bello Guo, la tua musica mi fa viaggiare, come se navigassi su un sampan tra le acque del fiume”.

Un giorno Ning si ammalò gravemente e, di lì a poco, morì. Guo continuò a suonare, ma non era più la stessa cosa, senza il suo amico che stava lì ad ascoltarlo. Così Guo capì una grande verità: Ning, che apparentemente non aveva grandi talenti, in realtà possedeva un dono preziosissimo, quello del “buon orecchio”. Sapeva ascoltare con il cuore e rendere speciale ogni cosa.

Guo decise di tagliare le corde alla sua arpa, perché non aveva senso suonare senza il suo amico. Ma, proprio quando stava per distruggere il suo strumento, capii la grande lezione che aveva appreso da quella perdita: non bastava suonare con maestria, occorreva anche allenare il “buon orecchio”, proprio come faceva Ning.
Da quel momento Guo girò per tutta la Cina per ascoltare, all’ombra delle pagode, altri musicisti ed imparare da loro, onorando la memoria dell’amico.

AUDIOFIABA

 

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Anche Madrid dal 2020 vieterà l’uso degli smartphone nelle scuole

Esistono almeno due buone ragioni per vietare l’uso degli smartphone in classe: migliorare la qualità dell’apprendimento in classe ed evitare i fenomeni di cyberbullismo, fenomeno in aumento anche tra i giovanissimi.
Dopo la Francia, che ha già imposto un simile divieto, anche Madrid, a partire dall’anno scolastico 2020-2021 disciplinerà l’uso dei telefoni in classe. O meglio, ne proibirà l’utilizzo (con l’eccezione degli studenti che ne hanno bisogno per specifiche e motivate ragioni). La misura riguarderà oltre 800.000 studenti spagnoli.
Questo non significa che i ragazzi non potranno portare con sé il telefono, ma che dovranno consegnarlo spento all’inizio delle lezioni e potranno riprenderlo al momento dell’uscita da scuola: una misura che tutela dai fenomeni di cyberbullismo durante l’orario scolastico (sui quali, allo stato attuale, è molto difficile vigilare) e dall’utilizzo improprio del telefono durante la lezione, che può incidere grandemente sull’apprendimento.

In Italia non esiste una posizione ufficiale in merito: negli ultimi anni si sono susseguite direttive contrastanti e al momento sono pochi gli istituti che, nell’esercizio della propria autonomia, accolgono un regolamento simile. Tra questi, un istituto a Biella che per l’A.S. 2019-2020 ha introdotto in tutte le sue classi un pannello a tasche in cui gli studenti devono depositare il proprio dispositivo all’inizio delle lezioni (qui l’articolo). La Regione Valle d’Aosta è stata la prima regione italiana ad approvare una mozione per sollecitare gli istituti scolastici ad intervenire in questo senso.
Secondo noi, limitare l’utilizzo dello smartphone, almeno durante l’orario scolastico, è un passo avanti importante per combattere il cyberbullismo (la maggior parte dei casi avvengono proprio entro i confini delle mura scolastiche) e per educare ad un uso sano del digitale, che ha il potenziale per migliorare la qualità della vita, ma che non deve diventare un universo parallelo totalizzante.

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Viviamo in un mondo in cui tutti vogliono parlare e nessuno ascolta più

Ogni giorno, trascorriamo molto tempo a contatto con gli altri: amici, parenti, colleghi. Ci capita di chiacchierare, discutere, raccontare ed ascoltare. Spesso tuttavia il nostro ascolto è distratto da una sorta di rumore di fondo: le notifiche dei social, gli alert delle chat, i mille pensieri che si affastellano nella nostra mente e ci creano ansia.

La nostra epoca è caratterizzata da comunicazioni veloci, spesso frammentate e frettolose. Il risultato, purtroppo, è che veniamo privati nostro malgrado di un dono indispensabile per il nostro benessere e per quello altrui: la capacità di ascoltare.
Non critichiamo nessuno, non è facile trovare il tempo per noi stessi, figuriamoci per gli altri. Tuttavia, l’ascolto attivo è una potente medicina: ci aiuta ad essere più genuini  e più empatici nelle nostre relazioni. Come fare ad allenarci ad ascoltare di più e meglio?

L’attenzione è una grandissima conquista: non solo una forma di rispetto per il nostro interlocutore, ma anche un dono. Nell’ascoltare, ci rendiamo disponibili, sveliamo noi stessi. Per farlo, è prima necessario imparare ad ascoltare noi stessi, a capire i nostri bisogni più profondi.
A questo proposito, oggi vogliamo proporvi uno spunto di riflessione, basato sul libro di Julia Cameron, intitolato “La via dell’artista”. L’autrice propone un esercizio denominato “L’appuntamento con l’artista”. In pratica si tratta di fissare un appuntamento a settimana con noi stessi, dedicandoci a qualcosa che ci ispira e a cui normalmente
non dedichiamo tempo.
L’obiettivo più palese di questa attività è ritrovare la creatività perduta e coltivare il proprio benessere. Ma che c’entra con l’ascolto attivo? L’autrice, per rispondere a questa domanda, cita la giornalista statunitense Brenda Ueland: “Perché mai dovremmo utilizzare tutti il nostro potere creativo? Perché non vi è nulla che rende le persone così generose, vivaci, audaci e compassionevoli, così indifferenti alla guerra e all’accumulare oggetti e denaro”.
Per allenare l’ascolto attivo, il primo passo è dunque ascoltare noi stessi e anche il bisogno di raccontarci, scegliendo il canale espressivo a noi più congeniale. La creatività, in questo senso, rappresenta un ottimo strumento per esprimerci, per farci conoscere e per rallentare, aprendo il cuore ad una comunicazione più profonda e più attenta.
Solo così potremo comprendere il bisogno degli altri di essere ascoltati.

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MODI: il programma didattico innovativo senza compiti a casa

Quest’anno, alcuni bambini fortunati hanno trascorso le vacanze di Natale giocando spensierati in compagnia dei propri amici; non si tratta del paese dei Balocchi, ma degli alunni di 14 scuole milanesi (a cui si aggiungono diversi altri istituti in tutto il paese) che hanno aderito al programma MODI, una proposta innovativa per riformare la didattica per migliorare la qualità dell’apprendimento e il benessere a scuola.
Ideato da Raffaele Ciambrone, pedagogista e funzionario del Miur, il programma MODI, sigla che significa Migliorare l’Organizzazione DIdattica, è una piccola rivoluzione didattica, per innovare la scuola nel rispetto delle sue regole.

Il programma MODI in sintesi
Per cominciare, la didattica viene affrontata con un approccio ciclico: invece di suddividere le varie materie nell’arco della giornata, il calendario didattico prevede cicli alternati, della durata di una settimana, da dedicare alle discipline umanistiche e a quelle scientifiche. Al mattino si studiano le discipline umanistiche o matematico-scientifiche, mentre al pomeriggio si potenziano le competenze attraverso laboratori pratici (ludici, psicomotori, teatrali, artigianali, etc.). In questo modo si riduce la separazione tra sapere e fare.
Come ha spiegato la maestra Caterina Cassese a Il Giorno: “Se la lezione del mattino verte sulle vocali e le consonanti, dopo pranzo si spiegherà il concetto con attività più pratiche: illustrando le lettere in palestra, con il linguaggio cinestesico, ossia rappresentando le lettere con il corpo, oppure inventando una storia per ognuna, con uno spettacolo teatrale, o, ancora, ‘fabbricando’ i segni nel laboratorio di ceramica. Nella settimana successiva al mattino toccherà alle lezioni di matematica e scienze, i cui concetti verranno affrontati nel pomeriggio sempre in ottica trasversale ed ‘esperienziale”.
Il programma MODI non prevede compiti a casa obbligatori: ai bambini viene suggerito di ripassare gli argomenti di lezione, ma non vi sono schede né liste di esercizi. Nonostante ciò, le maestre hanno rilevato che gli studenti non sono meno preparati, al contrario, si riducono la frammentarietà dell’apprendimento e l’ansia legata all’apprendimento.

FONTI
https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/scuola-senza-compiti-1.4958087

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L’elefante e la fune

Un uomo passò per caso in un campo, nel quale un addestratore teneva i suoi elefanti; l’uomo rimase incuriosito da un fatto: gli elefanti erano legati alla palizzata del campo con delle semplici funi, che grazie al loro peso avrebbero potuto spezzare in qualsiasi tempo. Eppure, gli elefanti erano lì, immobili.
Meravigliato, l’uomo cercò l’addestratore e gli domandò: “Com’è possibile che nessuno di questi elefanti faccia nulla per liberarsi? Per loro sarebbe facile”.
L’addestratore gli svelò il suo segreto: “Quando erano molto piccoli, ho cominciato a legarli con quelle funi; erano troppo deboli per romperle e così li ho convinti che non ci sarebbero mai riusciti. Adesso sono grandi, ma continuano a credere che le funi siano troppo robuste per poterle spezzare. Il segreto è nella loro mente”.

Come quegli elefanti, anche noi siamo guidati dalle nostre credenze; molti uomini non provano neppure a fare qualcosa semplicemente perché una volta – magari molto tempo fa – hanno fallito.

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