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Il potenziale nascosto dietro gli interessi dei bambini

Hai un bambino appassionato di dinosauri, autoveicoli o astronomia? Secondo la statistica, un bambino su due (con una netta prevalenza nei bambini e un’incidenza minore nelle bambine) sviluppa uno o più interessi concettuali intensi nel corso della prima infanzia. Questi interessi occupano gran parte del tempo libero dei bambini e li portano a leggere, studiare e approfondire con una perseveranza che non ha niente da invidiare a quella di noi adulti. Purtroppo, secondo le ricerche, gli interessi intensi dei bambini scemano con l’ingresso a scuola, dimezzandosi in termini numerici.

Il potenziale nascosto dietro gli interessi intensi
Per i bambini che li sperimentano, questi interessi sono un’occasione per sviluppare delle conoscenze ricche e organizzate in modo strutturato (proprio come i programmi scolastici di storia e di scienze vorrebbero!), accanto ad un tratto caratteriale molto importante: l’amore per la conoscenza. L’amore per la conoscenza, insieme alla gratitudine, è uno dei due aspetti caratteriali maggiormente correlati con la felicità e con il benessere in età adulta: per questo motivo è tanto prezioso.
Anche se questi interessi difficilmente resisteranno alla prova del tempo, è innegabile il loro valore formativo: sono un campo di prova intellettuale molto importante e ancora sottovalutato. Si pensi alla varietà di fonti a cui i bambini attingono durante le loro prime “ricerche” in questi campi: libri, video, programmi televisivi, immagini.
Possiamo affermare che coltivare questi interessi renderà i bambini più intelligenti? Gli studi hanno evidenziato un’elevata correlazione tra gli interessi intensi e le abilità necessarie all’apprendimento.
Tuttavia, nel passaggio dalla prima infanzia all’istruzione formale, ci sono altri elementi da considerare: per esempio, la motivazione. I bambini che approcciano un campo di interesse lo fanno con una profonda motivazione e questo influenza la perseveranza con cui si cimentano, oltre a dirigere in modo più efficiente i loro sforzi.

Coltivare gli interessi intensi
Quel che è certo è che dovremmo aiutare i bambini a coltivare questi interessi. Il modo migliore per farlo è seguire le orme del pensiero montessoriano: 1) forniamo loro del materiale ben strutturato sul quale documentarsi (principalmente libri e fotografie, che i bambini possono utilizzare in autonomia; i media digitali sono una buona fonte di informazioni, ma devono essere usati sotto la stretta sorveglianza di un adulto)  e 2) non immischiamoci nei loro studi se non sono i bambini a volerlo.
Sviluppare questi interessi, infatti, ha anche un’altra funzione per i più piccoli: acquisire un bagaglio intellettuale in campi del sapere dei quali, solitamente, noi adulti sappiamo poco. Diventando degli esperti, potranno sperimentare il piacere e il senso di responsabilità che derivano dalla conoscenza di fatti che noi grandi ignoriamo. I genitori e gli insegnanti, in media, conoscono 3 o 4 specie di dinosauri; i bambini appassionati, al contrario, ne sanno elencare con semplicità 20 o più. È la loro prima occasione per confrontarsi – uscendo vincitori – con i grandi. Che emozione!

FONTI

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Disgrafia: e se l’educazione alla scrittura fosse un antidoto?

L’educazione alla scrittura (calligrafia) potrebbe risolvere alcuni casi di disgrafia? Rispondere a questa domanda potrebbe aiutare migliaia di bambine e bambini, ragazze e ragazzi che arrancano nel nostro sistema scolastico.

Anna Ronchi, calligrafa e presidente onorario dell’Associazione Calligrafica Italiana (ACI), si batte da anni per restituire dignità allo studio del corsivo nel ciclo di studi primario, corsivo che è la “Cenerentola” delle nostre scuole in misura certo maggiore delle altre pretendenti. Purtroppo, la non-educazione alla scrittura porta con sé un deficit della capacità di prendere appunti e rielaborare in forma scritta i pensieri:

La scrittura è una disciplina motoria a tutti gli effetti e se a un bambino non vengono assicurati gli strumenti per svilupparne una adeguata alle sue esigenze, lui imparerà a cavarsela proprio come può, spesso pagando il prezzo di lentezza, scarsa chiarezza“.

Questa carenza grave nell’apprendimento, naturalmente, influenza il rendimento futuro e anche le capacità cognitive dei ragazzi. Ma possiamo spingerci ad affermare che una certa quota di diagnosi di disgrafia non abbia basi biologiche, ma sia radicata in un processo di non-educazione alla scrittura?

Alcune diagnosi di disturbi che riguardano la scrittura spesso non sono altro che il risultato di mancanza di spiegazioni, dimostrazioni e esercizi adeguati e di una vera educazione alle forme, alle direzioni e agli spazi che deve iniziare alla scuola dell’infanzia: la scrittura è una disciplina che necessita di costanza e impegno, può succedere che non tutti i bambini riescano a giungere ai medesimi risultati nello stesso arco di tempo, così i meno veloci vengono lasciati indietro e rischiano di restare privi di uno strumento tanto fondamentale per la loro capacità espressiva. La nostra esperienza nelle scuole ci ha permesso di osservare che ragazzini esentati da alcuni compiti perché considerati disgrafici o disortografici desideravano, invece, profondamente esercitarsi nella scrittura; molti di loro hanno profuso un impegno e una costanza tali da consentire una piena riuscita; altri hanno continuato a mostrare difficoltà di vario tipo, ma hanno comunque in gran parte risolto i problemi più gravi legati alla grafia“.

Naturalmente il dibattito è più ampio e più complesso; prima di trarre conclusioni definitive dovremmo intraprendere un percorso di studio e dibattito che esula da queste poche righe. Tuttavia, il fatto indicativo è la progressiva difficoltà degli studenti a scrivere e prendere appunti. Ce ne rendiamo conto anche noi, ormai adulti: scrivere a mano è più difficile, perché abbiamo perso l’abitudine a farlo. La ricaduta principale è mnemonica: facciamo più fatica a ricordare perché la nostra mano non ha fissato nulla su carta; il processo riassuntivo è affidato a delle note digitali, molto più volatili.

E così, concludiamo parlando brevemente dell’antagonismo tra “scrittura a mano – tastiera”. Potenziare la scrittura a mano, specialmente nei primi anni della scuola primaria e per tutto il corso della scuola secondaria non significa opporsi alla scrittura su tastiera.
Prendiamo in esame una considerazione ingenua: dattilografia e stenografia sono nate per far fronte a un’esigenza, quella di scrivere in breve tempo un gran numero di caratteri. In una sfida mano-macchina – a parità di formazione e competenza – la macchina riuscirà a digitare molti più caratteri.
Adesso torniamo alla nostra scuola, che vede un calo sostanziale della produzione scritta per lasciare spazio a un numero molto maggiore di test standardizzati a risposta multipla o a risposta aperta breve. Siamo sicuri che in questo genere di scuola l’esigenza della scrittura a macchina sia reale?
Siamo sicuri che i nostri ragazzi abbiano bisogno di una tastiera per scrivere i propri pensierini?
O c’è piuttosto bisogno di riconnettere la propria mente alla propria mano per prendere appunti in modo più efficace?
Come ci piace ripetere: il progresso non è buono né cattivo; esiste un progresso utile e uno inutile. Il giudizio di merito spetta a noi.

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Come scegliere i nostri obiettivi

Uno degli elementi fondamentali per vivere bene è il significato che attribuiamo alla nostra vita, il fine ultimo che intendiamo raggiungere, composto da una costellazione di micro-obiettivi. Porsi degli obiettivi e perseguirli è il modo migliore per arricchire le nostre giornate di significato, ed è un processo fondamentale per sperimentare emozioni positive, soddisfazione per il successo e coinvolgimento (altri tre elementi dei cinque che si combinano insieme per darci il benessere).

Gli obiettivi sono nel nostro DNA
L’assenza di obiettivi da raggiungere e di un percorso a tappe verso il successo è un grosso rischio: infatti, ci espone alla noia e all’apatia, due stati d’animo che non hanno niente a che vedere con il benessere (la noia di cui parliamo qui è ben diversa da quella sana “noia creativa”, nota anche come tempo libero non strutturato, di cui i bambini hanno bisogno!). Il nostro cervello si è evoluto all’insegna dell’attività: fin dagli albori, l’umanità ha dominato l’ambiente grazie alla sua industriosità. alla capacità di porsi obiettivi sempre nuovi e di raggiungergli con tenacia e abilità solutoria (problem solving). L’assenza di obiettivi non è nel nostro DNA, e infatti ci fa sperimentare un profondo senso di vuoto.
Ecco un riassunto dei principali benefici che un set di obiettivi può apportare nella tua vita:

  • i nostri obiettivi danno significato alla nostra vita, agendo direttamente sul benessere;
  • coltivare obiettivi in cui crediamo accresce non poco la nostra autostima;
  • gli obiettivi ci fanno scoprire nuovi interessi e migliorano la qualità della vita;
  • gli obiettivi incanalano le nostre azioni in senso strategico ed efficiente;
  • la ricerca scientifica ha dimostrato che porsi degli obiettivi sfidanti in un momento di crisi (come può essere una malattia, un lutto o un periodo di difficoltà economica) può innescare un volano importante di crescita e resilienza;
  • perseguire i propri obiettivi, spesso, ci porta a contatto con altre persone e alla costruzione di relazioni significative.

Come individuare e coltivare i propri obiettivi
George Doran, uno degli studiosi che hanno studiato gli obiettivi, la loro importanza per il benessere e le strategie migliori per individuarli ha coniato la formula SMART, per indicare le caratteristiche che ogni buon obiettivo dovrebbe avere. Questo acronimo ci insegna che ogni obiettivo che scegliamo di perseguire dovrebbe essere:

  • S (specific), specifico
  • M (measurable) misurabile
  • A (assignable), conferibile, ovvero deve essere un obiettivo di cui si può far carico una singola persona
  • R (realistic), realistico
  • T (time-related), tempo-specifico, ovvero deve essere un obiettivo il cui raggiungimento si può collocare nel tempo con certezza, anche scomponendolo in una serie di tappe.

Lo schema di Doran può essere molto utile per valutare i tuoi obiettivi una volta che li avrai individuati; tuttavia, può risultare un poco generico per chi si sente ancora in alto mare, ovvero per tutte quelle persone che non hanno ancora definito i propri obiettivi, né saprebbero da che parte cominciare.
In questi casi, invece, il consiglio migliore è quello che suggerisce Angela Duckworth nel suo bestseller “Grinta. Il potere della passione e della perseveranza“: coltivare i propri interessi con passione e perseveranza, con la certezza che un giorno, guardando indietro alle proprie esperienze, gli obiettivi più grandi nasceranno spontanei. Fino a quel momento, i nostri sforzi dovrebbero essere impegnati nel perseguire i nostri interessi.

La Duckworth suggerisce un percorso in tre tappe:

  • Scoperta, la fase iniziale del percorso in cui dovremmo individuare i nostri interessi – se già non li conosciamo – attraverso domande quali “Cosa mi sta veramente a cuore?”, “A cosa mi piace pensare?”, “Cosa, invece, non sopporto?”
  • Sviluppo, ovvero la fase in cui, ricorrendo allo schema di Doran, fisseremo i nostri obiettivi per ciascuno degli interessi che saranno emersi dalla fase esplorativa iniziale; in questa fase passeremo dalla condizione di novizi ad acquisire una notevole dose di esperienza e di pratica nelle varie aree di interesse;
  • Approfondimento, la fase finale; quando avremo raggiunto un grado elevato di esperienza e saremo diventati dei veri maestri nel nostro campo, potremmo perdere l’interesse iniziale in esso. Nella fase di approfondimento, invece di abbandonare il campo, dovremmo cercare di vivere a fondo quegli aspetti della disciplina che solo un vero esperto può cogliere. Questa è la fase più matura del percorso, ed è quella durante la quale, di solito, emergono gli obiettivi più grandi, quelli legati alle nostre ragioni di vita.

Tipologie di obiettivi

Gli obiettivi non sono tutti uguali fra loro! Ecco tre coppie di obiettivi che è bene conoscere.

Obiettivi intrinseci ed estrinseci 
Una prima suddivisione, la più semplice e documentata nella letteratura scientifica, è quella tra obiettivi estrinseci e intrinseci.
Un obiettivo intrinseco è un obiettivo che scegliamo di raggiungere perché lo riteniamo importante per la nostra vita e per il proprio benessere, oppure perché lo riteniamo particolarmente interessante. Obiettivi intrinseci sono l’impegno nelle attività che ci interessano (sport e hobby), la costruzione di relazioni positive, lo studio e i percorsi di crescita personale.
Un obiettivo estrinseco, invece, è un obiettivo strumentale, che si raggiunge in funzione di qualcos’altro. Due classici obiettivi estrinseci sono il denaro (che cerchiamo di conquistare per poi acquistare ciò che, nelle nostre convinzioni, dovrebbe aiutarci a vivere meglio) e il potere (necessario invece per perseguire i propri ideali).
Gli obiettivi intrinseci, a differenza di quelli estrinseci, producono benessere e ci rendono felici. Non dovremmo mai dimenticare la differenza tra i due tipi di obiettivi! Non è sbagliato perseguire un obiettivo estrinseco, ma dobbiamo sempre avere la controparte intrinseca ben chiara; altrimenti, rischiamo di impegnare una vita intera per entrare in possesso di una grande quantità di denaro per accorgerci poi che non abbiamo idea di come spenderlo!

Obiettivi di prevenzione e obiettivi di promozione
Accanto alla distinzione tra obiettivi intrinseci ed estrinseci, troviamo obiettivi legati alla prevenzione e obiettivi legati alla promozione. I primi sono quelli che ci permettono di evitare qualcosa (prevenzione delle malattie, dell’obesità, della disoccupazione, di una situazione difficile etc.); ci sono situazioni in cui individuare obiettivi di prevenzione può rivelarsi molto importante, ma sono gli obiettivi di promozione quelli che contribuiscono attivamente al nostro benessere. Questi sono legati al perseguimento dei propri interessi e all’accrescimento di sé, delle proprie competenze e delle proprie relazioni. Gli obiettivi di promozione chiamano in causa una virtù preziosa: l’ottimismo (che previene gli infarti e soprattutto l’infelicità).

Obiettivi legati al miglioramento e al massimo risultato 
Infine, troviamo obiettivi legati al miglioramento e obiettivi legati al massimo risultato. Un obiettivo di miglioramento è semplice da individuare: è solitamente formulato nei termini di “voglio fare meglio dell’ultima volta”. Gli obiettivi legati al massimo risultato, invece, sono quelli formulati nei termini di “voglio essere il migliore”. Prova a indovinare quale tra questi due obiettivi è legato al benessere?
Sì, sono proprio gli obiettivi di miglioramento. Chi si concentra su un obiettivo di miglioramento, di solito vive al meglio l’intero percorso che conduce al risultato. Al contrario, chi cerca di ottenere il massimo delle performance tende a scontare l’empasse del perfezionismo e a vivere un profondo stato d’ansia (se vuoi leggere una storia concreta legata a questi due tipi di obiettivi ti consigliamo di leggere la storia della ceramica).
Gli obiettivi legati al massimo risultato sono utili solo nel caso di sfide molto semplici; non appena le cose si complicano, è bene passare agli obiettivi di miglioramento.

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

TORNA A:

BIBLIOGRAFIA
Angela Duckworth, Grinta. Il potere della passione e della perseveranza, Giunti, 2017
Laudadio A., Mancuso S., Manuale di psicologia positiva, Franco Angeli, 2015
Heidi Halvorson e Carol Dweck, Succeed: How We Can Reach Our Goals, Plume, 2010

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Il lavoro manuale stimola la creatività dei bambini

Viviamo in un’epoca in cui i bambini sono particolarmente desti nel pensiero, ma le loro mani dormono e quando c’è da dipanare una matassa o attaccare un bottone, incapacità e malavoglia si intrecciano e ingarbugliano matassa e filo. Certo, non si deve più tagliare la legna per riscaldarsi o accendere una candela per farsi luce, basta schiacciare un bottone; ma i bottoni sono diventati sempre più numerosi e le dita sono diventate abilissime nel trovare il tasto giusto!
Le comodità ci circondano, i nostri pensieri sono quotidianamente stimolati , ammiriamo volentieri opere d’arte, ma quella spinta all’agire, quell’impulso ad intraprendere, la nostra volontà insomma si è comodamente appisolata davanti al fascino della tecnologia e alla esorbitante ricchezza di prodotti finiti. La necessità di usare le mani pare cosa d’altri tempi!
Eppure, proprio perché i pensieri si risvegliano vitali, ricchi di immaginazione,chiari e liberi sarà bene che prima i bambini imparino a pensare con le mani. Possiamo portare loro il lavoro a maglia già in prima classe ;allora, intrecciando il filo sui ferri, l’attenzione sarà tesa a non perdere un punto. Così una maglia unita all’altra con movimento ritmico, formerà un “tessuto”; tessuto che può essere considerato come  l’immagine fisica del processo del pensiero, non a caso si parla del “filo del pensiero”.
La meraviglia dei bambini si legge nel loro sguardo ogni volta che sperimentano, ogni volta che iniziano o finiscono un lavoro. Più avanti, quando la freschezza di un pensiero autonomo verrà sviluppata dai ragazzi, se ne potranno trovare le radici proprio là, nel lavoro con le mani, che possiede anche il dono di rafforzare la capacità di giudizio.”
Adriana Todeschini, Il Quadernone della via Clericetti 2018

Rudolf Steiner e Maria Montessori non avevano – fortunati loro! – il problema dei tablet, degli smartphone e di una tecnologia sempre più pervasiva e pronta ad avvinghiare i loro bambini (abbraccio miliardario, altro che materno! Per comprendere gli interessi in gioco nell’avvicinare i bambini alle tecnologie dovremmo indagare il fatturato degli sviluppatori di device, videogiochi e applicazioni per i più piccoli).
Nei loro scritti, l’importanza di educare il bambino all’uso delle mani come mezzo espressivo della propria mente, aveva un significato diverso da quello che potremmo attribuire noi oggi: era un’alternativa all’universo deprivato dei bambini appartenenti ai ceti più umili o ai canoni vuoti e borghesi dei bambini più fortunati. Eppure, ieri come oggi, la creatività si manifesta attraverso l’azione della creazione, attraverso quell’urlo “L’ho fatto io!” pieno di orgoglio.

Il nostro mondo è molto differente da quello in cui hanno operato questi pedagogisti e su questo dovremmo riflettere. Da un lato, la diffusione della loro opera educativa ha condotto a notevoli passi avanti nella stimolazione dei bambini e della loro mente, nonché nella costruzione di servizi per l’infanzia capaci di veicolare una crescita ricca e serena.
Dall’altro, il progresso tecnologico ci ha condotto verso uno scenario senza precedenti. Né possiamo liquidare il tutto con un “aboliamo la tecnologia” o “la tecnologia rende stupidi”. La tecnologia informatica è uno strumento, e come tutti gli strumenti non ha colore né schieramento.
Se un bambino inventasse un algoritmo capace di fabbricare i propri soldatini, davvero potremmo sostenere che in lui manchi la creatività? Certamente no. Esistono usi creativi della tecnologia e usi automatici, preconfezionati e in ultima analisi vuoti.

Il nostro compito – in quanto genitori, insegnanti e educatori – è quello di comprendere la natura delle tecnologie utilizzate dai bambini e incentivare l’uso di quelle capaci di veicolare la creatività autentica. Naturalmente, il termine tecnologie va considerato come un ombrello, comprensivo del digitale e dell’analogico (la carta, le paste modellabili, i tessuti etc.).
Questa missione educativa ci porta a rivalutare il ruolo della manualità: da sempre, le prime creazioni autentiche dei bambini – non i lavoretti scolastici preconfezionati – passano attraverso l’uso delle mani: piatti cucinati con fango, foglie e sassi, piccole creazioni con l’argilla o la plastilina, fortini costruiti con i bastoncini e così via.
Questi materiali permettono un utilizzo intuitivo, a misura di bambino (intuitivo come quello che ci propongono le app più tecnologiche, con una differenza non sottile: in questo caso, il bambino non si fa creatore di nulla, ma si muove pedissequamente all’interno di un circuito abilmente progettato da altri).

FONTI

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Le conversazioni basate sui punti di forza

Quando pensiamo all’approccio basato sui punti di forza e alle virtù caratteriali identificate dal VIA Institue non dobbiamo cadere nell’errore dell’individualismo. Lavorare sui punti di forza di ciascuno non significa dimenticarsi del gruppo; al contrario: un lavoro di gruppo efficace è possibile esclusivamente se ciascuno coltiva i suoi punti di forza e li mette al servizio della collettività. In modo simile, conoscere i punti di forza degli altri ci permetterà di vederli sotto una luce diversa, non più come individui da giudicare secondo il nostro metro individuale ma come portatori di risorse.

La conversazione centrata sui punti di forza
Un bell’esercizio per lavorare concretamente su questo concetto è la conversazione centrata sui punti di forza. Si tratta di un dialogo breve tra due persone (puoi provare con il tuo partner, con i tuoi bambini, in classe o con amici e colleghi). A turno, ciascuno racconterà un episodio in cui, grazie ai propri punti di forza, è riuscito a raggiungere un grande risultato e ha sperimentato un senso di benessere profondo. L’ascoltatore dovrà cercare di individuare i punti di forza che sono stati utilizzati in quell’occasione e dovrà metterli in relazione con i propri.
Ad esempio: una persona che tende a rimanere paralizzata nell’analisi dei vari aspetti delle cose, come avviene a chi coltiva la prospettiva e il giudizio (puoi trovare maggiori informazioni sulla prospettiva e sul giudizio nella nostra analisi dei 24 punti di forza) potrebbe trarre beneficio dalla collaborazione con una persona che invece ha tra le sue forze caratteriali l’energia.
A differenza dell’astrologia, nelle scienze del carattere non esistono “affinità di coppia”: le interazioni dipendono dalla capacità degli individui di combinare insieme i propri punti di forza in modo vincente.
Praticare le conversazioni centrate sui punti di forza significa muovere i primi passi in questa disciplina meravigliosa, alla ricerca dell’armonia.

Un esercizio utile anche con i bambini
Il test per individuare i punti di forza è disponibile anche nella versione tarata per i bambini e i ragazzi (10-17 anni). Tuttavia, è possibile lavorare sul carattere anche prima di completare il test, o senza completarlo affatto. Le conversazioni centrate sui punti di forza sono un esempio: è possibile praticarle anche senza conoscere i 24 punti di forza e utilizzando il proprio pensiero critico per definire le forze dell’altro. Si tratta di un processo a misura di bambino. Anzi, nelle classi in cui è stata introdotta l’educazione positiva e nelle quali è stato chiesto ai bambini di identificare i propri punti di forza, quelli dei compagni e di trovare strategie per collaborare al meglio, i risultati sono stati estremamente positivi.

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

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La formula del successo

A proposito di educazione e di benessere ci sono tanti temi interessanti: la lentezza è uno di questi. Abbiamo parlato in più occasioni dell’importanza della lentezza per assaporare momenti ed emozioni, per godere il presente e contrastare l’ansia. Tuttavia, incentrare un processo educativo sulla lentezza rischia di essere controproducente: infatti, la lentezza è un elemento all’interno di un puzzle più ampio; non possiamo e non dobbiamo confondere la parte per il tutto.

Il puzzle del successo
Proviamo a costruire un semplice quadro degli elementi che interagiscono nella costruzione del successo. Il successo (dall’inglese achievement, che indica il raggiungimento di un obiettivo) non va inteso in ambito accademico né finanziario, ma con il significato, molto più ampio, di successo personale.
Per raggiungere il benessere, il successo è una componente fondamentale: porsi degli obiettivi e raggiungerli – siano essi la realizzazione di un capolavoro creativo, il primo posto al torneo di briscola locale, la pubblicazione di un saggio scientifico, crescere un figlio, far fiorire un rosaio etc. – è motivo di orgoglio, soddisfazione e benessere. È difficile stare bene laddove questi grandi e piccoli obiettivi vengano a mancare. L’illusione della felicità senza obiettivi si è insinuata nel dibattito pubblico, ma è assai difficile da sostenere: una vita senza obiettivi è, in ultima analisi, una vita allo sbando.

La formula del successo
I ricercatori, nell’ambito della psicologia positiva, hanno individuato questa formula:

SUCCESSO = TALENTO X INVESTIMENTO (in inglese viene utilizzato il termine effort, che indica lo sforzo; tuttavia, nella traduzione italiana riteniamo più calzante il termine investimento)

Il talento è determinato dalla combinazione di tre fattori:

  • Velocità: la velocità è in larga parte influenzata dal talento; ci sono persone il cui pensiero corre innegabilmente più veloce di altre; la velocità si riflette nel modo in cui compiamo determinate azioni in modo rapido e automatico. Anche la quantità di conoscenza che possediamo in un determinato campo è legata alla velocità di pensiero; infatti, quanto più siamo veloci, tante più nozioni potremo apprendere. La velocità conta, eccome! Semplicemente, è una parte di un insieme molto più ampio.
  • Lentezza: la lentezza è legata alla capacità di pianificare, ai processi creativi, alla capacità di analizzare a fondo un problema o una situazione, alle funzioni di pianificazione. La lentezza ci permette di svolgere ragionamenti complessi che ci porteranno al successo.
  • Velocità di apprendimento: equivale metaforicamente all’accelerazione fisica; la velocità di apprendimento indica la capacità di accumulare conoscenza in un ambito specifico sempre più velocemente. Una persona che possiede un’elevata velocità di apprendimento si riconosce perché, se decide di approfondire un nuovo campo di studio, partirà piano ma in breve tempo diventerà un’esperta/o.

L’Investimento, invece è il tempo trascorso lavorando per raggiungere il successo. La capacità di investire in un progetto è determinata principalmente dalla nostra grinta e dall’auto-disciplina.

Mentre si sa ancora poco sulle strategie per accrescere il proprio talento (l’unico campo che è stato indagato è l’educazione alla lentezza, che si può proporre in modo efficace), l’investimento, ovvero il duro lavoro e il tempo speso sui propri progetti è alla portata di tutti ed è, inaspettatamente, altrettanto importante del talento per raggiungere i propri obiettivi!

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BIBLIOGRAFIA
Martin E. P. Seligman, Flourish: A Visionary New Understanding of Happiness and Well-Being, Atria Books, 2012
Angela Duckworth, Grinta. Il potere della passione e della perseveranza, Giunti, 2017
Laudadio A., Mancuso S., Manuale di psicologia positiva, Franco Angeli, 2015

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