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Libri sull’adolescenza per genitori

HA SENSO PER MAMMA E PAPÀ LEGGERE DI ADOLESCENZA?

Dipende. Da un lato, c’è chi sostiene che i genitori non debbano essere “professionisti”, e quindi, che sia meglio per loro vivere con naturalezza e una sorta di ingenuità il loro ruolo; dall’altra parte, c’è un mondo che corre come impazzito, in cui a dodici anni i ragazzi mutano completamente e per un genitore diventa difficile anche solo riuscire a scambiare due parole.

libri sull'adolescenza per genitori

Ecco perché abbiamo pensato di suggerire alcuni titoli in tema di adolescenza. Abbiamo individuato titoli per profani e per esperti, capaci di prestare soccorso tanto ai lettori occasionali quanto ai genitori-educatori più convinti.

LIBRI SULL’ADOLESCENZA (PER GENITORI)

Da non confondersi con le letture per l’adolescenza, ovvero i libri consigliati ai ragazzi adolescenti (perlopiù romanzi di formazione e saghe articolate con giovani protagonisti), questi libri tentano di essere il lumicino in grado di guidare mamma e papà nel buio di un’età indecifrabile.

In primo luogo vi segnaliamo i testi di Alberto Pellai; medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore proprio in questo campo, si occupa anche di divulgazione e prevenzione del disagio giovanile. Oltre ad un curriculum professionale di primo piano, il dott. Pellai è padre di 4 figli; pertanto, potete esser certi che i consigli che elargisce li ha sperimentati in prima persona.

QUESTA CASA NON È UN ALBERGO (Alberto Pellai)
Un libro che è anche e soprattutto una collezione di risorse concrete, di strumenti; il libro si contraddistingue per il taglio molto operativo, con tanto di pagine per l’autoanalisi e checkbox finali per assicurarvi di mettere in pratica i suggerimenti dell’esperto. Non è un manuale del “genitore perfetto”, non troverete spunti utopici su come dovreste comportarvi ma risorse concrete, derivanti da un’esperienza decennale di padre e psicoterapeuta.

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L’ETÀ DELLO TSUNAMI (Alberto Pellai, Barbara Tamborini)
Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente. E’ il sottotitolo del testo, ma anche una promessa. Promessa che, Alberto Pellai riesce a mantenere, almeno secondo il nostro giudizio di lettori e quello di centinaia di genitori. Il testo affronta il tema della pre-adolescenza secondo un punto di vista scientifico e rigoroso, ma non per questo complicato. Al contrario, la lettura è estremamente fruibile e i consigli pratici per la gestione quotidiana non mancano.
Gli autori si concentrano sulla dimensione della comunicazione come sull’autoanalisi del genitore. Che genitori siete? Come vorreste diventare? Di fronte ad un figlio pre-adolescente o adolescente, il problema non è mai l’individuo, ma sempre l’interazione.

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E ORA BASTA! (Alberto Pellai) 
Spesso i genitori hanno paura di imporre una regola ad un adolescente: paura di perdere l’affetto, paura di rompere il canale comunicativo faticosamente aperto. Alberto Pellai, con la sua sensibilità di genitore, ci spiega quando è il momento di imporsi, ma anche come farlo. Sì, perché anche nella fermezza  e nei momenti più difficili non bisogna mai perdere le staffe e, soprattutto, dimenticarsi le regole della buona comunicazione. Questo è il terzo dei testi di Pellai che ci sentiamo di raccomandare a spada tratta; una trilogia per formarsi e ri-formarsi, per divenire genitori più consapevoli e soprattutto prepararsi all’adolescenza come un cavaliere si preparerebbe a un gran torneo.

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ADOLESCIENZA (Gustavo Pietropolli Charmet, Loredana Cirillo)
Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi. Sessantacinque punti di conflitto; sessantacinque riflessioni per addentrarci nel mondo dell’adolescenza nella sua dimensione più strettamente pedagogica. Rispetto ai testi di Pellai, questo libro è più indicato agli “addetti ai lavori”: educatori e genitori che già masticano pedagogia e scienze dell’educazione. Rimane comunque un saggio lucidissimo, capace di farci entrare nella dimensione adolescente della vita.

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AMICI (Yumoto Kazumi) 
Un romanzo? Sì, perché non di soli saggi vive l’uomo, ma anche di poesia, lettere e arte. L’approccio saggistico è sicuramente utile per addentrarsi in un argomento, ma la profondità della nostra analisi e della nostra risposta dipenderà anche da come lo affrontiamo, mettendo in gioco fattori quali emozioni, aspettative e stati d’animo. Ecco perché anche un romanzo può aiutare.
Amici parla di tre ragazzi che decidono di guardare la morte da vicino, e invece, al suo posto, troveranno la vita in tutta la sua inaspettata bellezza. Una lettura che dovremmo fare noi grandi per poi passarla ai ragazzi! Lo consigliamo soprattutto a chi ama la narrativa poetica tipica degli autori giapponesi: lenta, fotografica, visionaria.

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a cura di Matteo Princivalle

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La regola dei quattro regali

Vivere il Natale, e più in generale le feste, all’insegna del valore del dono e del senso della misura: è questo ciò che vorremmo per il prossimo dicembre. Utopia? Forse no.

E’ già dicembre e già probabilmente le nostre menti sono proiettate all’organizzazione delle feste: dove trascorrerle, come trascorrerle e, soprattutto, cosa regalare. Il tema dei doni sotto l’albero è spinoso soprattutto se riguarda i più piccoli: ammaliati dalle pubblicità, sfornano letterine per Babbo Natale sempre più lunghe.

Non è una critica, né una colpa, ma forse quest’anno potremmo provare a riscoprire il valore dei doni. Riducendoli, coraggiosamente, un pochino. Ricevere tanto, troppo, fa perdere un po’ il senso dei regali. Lo notiamo spesso, passate le feste, quando i giocattoli vengono accumulati in cameretta, perdendo di interesse.

TROPPI REGALI NON RENDONO PIÙ FELICI: IMPARIAMO A SCEGLIERE

Si tratta di una tendenza che a lungo andare potrebbe diventare controproducente: avere troppo non rende più felici, questo lo sappiamo bene. Un bambino che si ritrova circondato da giocattoli spesso rischia di annoiarsi o fa fatica ad utilizzare la fantasia per divertirsi.

Qual è la soluzione? Sicuramente riscoprire il valore delle cose. Ieri ad esempio abbiamo proposto la scatola della creatività, un dono altamente personalizzabile, volto ad accostare i bambini all’arte, stimolando l’immaginazione.

SPUNT-ESERCIZIO: LA REGOLA DEI QUATTRO REGALI (+ 1)

Oggi vi proponiamo una soluzione di certo non semplicissima, ma coraggiosa: e se provassimo a far scegliere ai bambini pochi doni, ma davvero apprezzati?

Sul sito greenme.it abbiamo trovato la regola dei 4 regali, di cui vi parliamo stasera. Se desiderate fare regali utili e divertente, scegliendo cose che possano durare nel tempo, la regola dei quattro regali suggerisce:

  • un regalo da utilizzare: scarpe, vestiti, accessori.
  • un regalo legato alla lettura, ad esempio un libro di fiabe.
  • un regalo che il bambino desidera da tanto tempo.
  • un regalo di cui il bambino ha davvero bisogno o che rispecchia una sua passione.

Per quanto riguarda il quarto punto, potreste orientarvi su ciò che il bambino ama davvero: un regalo legato allo sport o alla musica, un abbonamento al cinema, bricolage o modellismo. A questa lista noi aggiungeremmo un quinto regalo: un pomeriggio settimanale da trascorrere insieme, senza pensieri. E’ forse il più difficile, ma il più apprezzato.

Non è semplicissimo seguire la regola dei quattro regali, perchè presuppone una scelta estrema. Il modo migliore per effettuarla, se si decide di provare, è sostituire, come dicevamo più sopra, i doni con del tempo insieme, magari sperimentando insieme quei regali. Ripetiamo: magari è utopico, ma a Natale non potrebbe succedere davvero qualcosa di magico.

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La tecnica della nebbia per gestire la rabbia

La rabbia è una costante della nostra vita personale, familiare e professionale. Capita a tutti noi di essere provocati, volontariamente o meno, dal comportamento degli altri. Ma qual è il modo migliore per gestire la propria rabbia?

GESTIRE LA RABBIA: MEGLIO SFOGARSI O “CONGELARE” I PROPRI PENSIERI? 

Di fronte a una situazione di rabbia, di emozionalità incontrollata, siamo portati a pensare che lasciandola libera di sfogarsi questo ristabilirà l’equilibrio interiore. Non la pensa così il professor Brad J. Bushman, dell’Universita dell’Iowa, che ha pubblicato una ricerca che si muove proprio nella direzione opposta (potete leggere gratuitamente lo studio, in lingua inglese, negli archivi dell’Università del Michigan).

Lo studio, condotto su 600 partecipanti i quali sono stati indotti intenzionalmente in uno stato di rabbia, ha verificato l’efficacia di uno sfogo “fisico” (ad alcuni studenti veniva chiesto di sfogare la propria rabbia contro un punchig-ball). Agli studenti universitari di scrivere un breve saggio, che poi un compagno ha pesantemente criticato, inducendoli alla rabbia. A questo punto, ad un gruppo è stato chiesto di colpire un punching-ball immaginando di avere di fronte il proprio compagno; ad altri è stato chiesto di colpire il punching-ball per mantenersi in forma e migliorare la propria forma fisica; ad un terzo gruppo infine non è stato chiesto nulla.

In seguito, agli studenti dei tre gruppi è stato chiesto di compilare un questionario sul proprio stato emotivo; ebbene, è emerso che i primi non solo non avevano sfogato la propria rabbia, ma anzi, questo sentimento era ancora più forte in loro. Al contrario, gli studenti del secondo e terzo gruppo, che avevano avuto modo di distrarsi dall’episodio scatenante la rabbia, sono risultati più calmi.

Questo esperimento non solo smentisce categoricamente la teoria della catarsi, già messa in dubbio da studi precedenti, ma sembra indicare una strada privilegiata per gestire la propria rabbia: quella di disperdere i propri pensieri. Peraltro, lo studio si allinea con tutte le altre ricerche in tema di “ruminazione mentale”: rimuginare su uno stesso pensiero è sempre controproducente, esaurendo le nostre risorse mentali in modo infruttuoso.

SPUNT-ESERCIZIO: la tecnica del “Velo di nebbia”

Recentemente, abbiamo letto sul sito La mente è meravigliosa una bellissima riflessione sul controllo dell’impulsività attraverso la tecnica della nebbia. L’articolo lasciava molto spazio alle interpretazioni e così abbiamo pensato di rielaborarlo in uno SPUNT-ESERCIZIO per tutti.

“È strano vagare nella nebbia!
Solo è ogni cespuglio e pietra,
Nessun albero vede l’altro,
Ognuno è solo (…)
Strano, vagare nella nebbia!
Vivere è essere soli.
Nessuno uomo conosce l’altro,
Ognuno è solo”.

Herman Hesse

L’esercizio è piuttosto semplice: di fronte ad uno stimolo che ci genera rabbia, proviamo ad immaginarci immersi in una coltre di nebbia. Una cortina che non lascia spazio al mondo circostante, in cui le altre persone e le loro parole non sono che ombre. La nebbia ci costringe a concentrarci su noi stessi, ci lascia, per un attimo, soli. E’ divertente provare questo esercizio insieme ai bambini, come fosse un gioco: il gioco della nebbia. Le prime volte sarà difficile e dovremo allenarci a “sentire la nebbia” in un momento di calma; con l’esercizio diventerà più semplice dominare anche le emozioni.

Immaginarsi in questo modo, oltre ad essere un simpatico esercizio creativo, ci permette di escludere gli stimoli esterni e di fare i conti con il nostro mondo interiore. Per evitare di rimuginare sui pensieri rancorosi, l’immaginazione dovrebbe spostarsi sul velo di nebbia: quali sensazioni provoca la nebbia sui nostri sensi? Come la percepiamo? Come altera la vista? Che odore ha la nebbia?

Questo esercizio rientra nel filone degli spunti relativi alla mindfulness, a cui si aggiunge, però (anche stravolgendola in un certo senso) l’elemento immaginativo fantastico. Fantasia che, secondo noi, non guasta mai!

PER EDUCARE CON LE FAVOLE:

Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.

libri cuorfolletto e i suoi amici

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Cinque attività quotidiane per allenare l’autonomia

L’autonomia è una grande conquista. Ne abbiamo parlato spesso sulle nostre pagine, ricordando che diventare autonomi significa acquisire fiducia in se stessi e sicurezza, diventando dunque emotivamente forti.
Più volte abbiamo anche ricordato il motto del metodo montessoriano: “Aiutami a fare da solo”.

Una frase che non significa mai “Arrangiati e non darmi fastidio”, ma invita a una visione molto sfidante: “Guardami, sono una persona, sto facendo la fatica di crescere, spiegami come fare perché so che sono capace”.

Quando i genitori danno fiducia ai figli e spiegano loro come muoversi, la conquista dell’autonomia è una meta molto vicina. Di seguito vi proponiamo alcuni spunti di riflessioni e qualche esempio pratico.

Il rapporto con i genitori è il passaggio più importante per insegnare l’autonomia ai bambini insicuri. Essere autonomi non significa solo applicarsi con successo nelle operazioni pratiche, come versare l’acqua da una brocca o prepararsi la cartella da soli. Autonomia è una competenza sociale che serve a gestirsi nel mondo e nelle relazioni con gli altri, al di fuori del nucleo familiare più stretto.

AUTONOMIA È DARE ISTRUZIONI COMPRENSIBILI

Comunicare bene aiuta ad agire bene, sempre, Vi facciamo un esempio: se un bambino rovescia dell’acqua nel tentativo di versarla da solo da una brocca piena, qual è la vostra reazione? Magari siete tentati di riprenderlo con una frase come: “Stai più attento!” oppure “Versala bene!”.

Probabilmente, Maria Montessori ci chiederebbe: “Voi gli avete insegnato a versarla bene?”. Il succo del discorso è proprio questo: perché il bambino diventi autonomo, deve ricevere indicazioni chiare su cosa fare.

E’ dunque compito dell’adulto capire il punto di vista di un bambino, con le difficoltà dell’essere più piccoli di noi, avere meno forza e meno esperienza. Le azioni corrette vanno spiegate passo dopo passo, dividendole in fasi.

COACHING CREATIVO: 5 ATTIVITÀ PER ALLENARE L’AUTONOMIA

Jacqueline Bickel, coautrice del libro “Come educare i figli presto e bene“, propone alcune attività quotidiane per allenare i bambini ad acquisire autonomia e a sviluppare diverse intelligenze. L’autrice spiega che: “Attività pratiche come riordinare, spazzare, stendere i panni, mangiare da solo… sono infatti più correlate di quanto si pensi ai compiti richiesti dalla scuola”. Ecco qualche spunto.

Mentre il bambino fa qualcosa da solo, “fai la telecronaca”: lo aiuterai a sviluppare competenze linguistiche
Per insegnare a sviluppare il linguaggio può essere utile commentare a parole ciò che il bambino sta facendo. Si tratta di un modo per legare i pensieri del bambino, ancora astratti, il lessico (le parole) e la sintassi. Se il bambino ad esempio apre il rubinetto dell’acqua, potresti dirgli: “Guarda, alzando la leva del rubinetto esce acqua calda, così ora puoi lavare le mani con il sapone …”.

Lascia che mangi da solo, prima possibile
E’ possibile, già durante lo svezzamento, abituare il bambino a mangiare da solo. Puoi provare mettendo piccoli pezzi di cibo nel piattino e, successivamente passare al cucchiaino e alla forchettina. Può essere utile coinvolgere il bambino nelle attività in cucina, oltre a insegnargli a pulire da solo musetto e manine con il bavaglino o il tovagliolo.

Fagli apparecchiare la tavola, è un modo per insegnare a contare
Prova a chiedere al bambino di mettere in tavola un tovagliolo per la mamma, uno per il papà, uno per il fratellino, dicendo: “Siamo in quattro, servono quattro piatti”. E’ un modo per farlo familiarizzare con i numeri ed i primi conti. Oppure chiedigli di aiutarti a riordinare le posate, mettendo insieme forchette con forchette e cucchiai con cucchiai, abbinando così oggetti simili e riconoscendo le analogie nelle forme.

Chiedigli di aver cura della cameretta per allenare l’ordine logico
Abitualo ad aver cura della cameretta, l’ordine pratico aiuta l’ordine logico. “L’abitudine all’ordine pratico” dice l’esperta “sarà utile quando il bimbo andrà a scuola, infatti è il prerequisito dell’ordine logico, cioè la capacità di mettere ordine fra le conoscenze.”

I giochi di una volta aiutano a sviluppare l’intelligenza musicale
Le attività ritmiche aiutano l’intelligenza musicale. Riscopriamo dunque i giochi di una volta, come il gioco della campane, in cui si passa saltando con un piede da una casella all’altra, il gioco di far rimbalzare contro un muro, il salto della corda, spesso associato a canzoncine e filastrocche, l’abitudine alle conte.

Non dimenticare che, al di là dei consigli pratici o delle esortazioni a lasciar fare da soli, il più grande motore dell’autonomia del bambino è il rapporto sereno ed equilibrato con il genitore. Si spicca il volo, soltanto se qualcuno ci ha dato le ali.

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Giochiamo coi bambini, è fondamentale!

Un aforisma sul web recita:

Il regalo più prezioso che possiate fare ad un bambino è giocare insieme a lui.

Un inno ad un ritorno ad uno stile di vita più semplice, centrato sui rapporti umani piuttosto che dalle cose, ma che nasconde anche un’inquietante verità.  Giochiamo abbastanza con i nostri figli? Il tempo che dedichiamo loro è “a misura di bimbo”?

L’INDAGINE DELL’ASSOCIAZIONE PEPITA 

Cinque anni fa, Pepita, associazione per la promozione dell’educazione ha svolto una ricerca sul campo, per valutare il tempo di gioco dedicato ai figli. I risultati dell’indagine hanno messo in luce che i genitori italiani dedicano appena 15 minuti al giorno a giocare con i propri figli (Repubblica, 2012).
Altri paesi europei fanno molto meglio, come la Norvegia (30 minuti) e la Spagna (35 minuti).

Una mancanza dedicata dalla scarsa attenzione che nel nostro paese viene attribuita al gioco; prima che per ragioni di tempo, i genitori non giocano perché la ritengono un’attività inutile. Al contrario, giocare è il modo migliore per crescere, il più naturale. Lo spiega, in estrema sintesi, la psicologa Francesca Santarelli:

Giocare è un’occasione unica per conoscere il proprio bimbo e rafforzare il legame e la complicità con lui. La presenza della mamma e/o del papà inoltre permette al figlio di esprimere le emozioni, di conoscere se stesso, e favorisce lo sviluppo dell’immaginazione e della creatività in un clima di sicurezza, protetto dall’adulto, del quale si fida ciecamente.

GIOCARE EDUCATIVO, MA SENZA DIMENTICARSI DI GIOCARE

L’attenzione allo sviluppo del bambino è una costante, da alcuni anni a questa parte. Persino il mercato del giocattolo si è adeguato, con un’offerta crescente di “giochi educativi”. Non dobbiamo però dimenticare che il gioco deve essere un’attività libera e improduttiva (per una bibliografia ragionata sul tema del gioco vi consigliamo di scorrere fino in fondo quest’articolo), ovvero condotta senza forzature e secondi fini! L’apprendimento, in altre parole, deve essere indiretto e incidentale. Ovvero, facendo altro, si impara anche qualcosa di utile. L’errore? Solitamente è quello di precorrere i tempi, cercando di insegnare ai bambini conoscenze e abilità dimenticandoci che sono bambini e, in quanto tali, hanno diritto al loro “tempo bambino”.

Per un gioco di qualità basta poco; non servono giocattoli costosi e anzi, spesso sono perfino un ostacolo. L’importante è lasciare spazio alla fantasia dei piccoli, che da un pezzo di cartone tireranno fuori un bellissimo teatrino.


SPUNT-ESERCIZIO: 10 minuti di gioco libero insieme 

Quello che non abbiamo detto è che l’indagine metteva in luce soprattutto il fatto che il gioco viene relegato alla domenica. Certo, per chi lavora lontano da casa o non ha la possibilità di optare per un part-time, dedicare mezz’ora al giorno al gioco non è semplice.

La nostra però è una proposta modesta: 10 minuti al giorno da dedicare al gioco; se siete lettori appassionati dei nostri SPUNT-ESERCIZI, saprete che la maggior parte di essi sono giochi da sperimentare in famiglia. In altre parole, se avete già iniziato siete a cavallo! Non ditelo a nessuno, nemmeno ai bambini, ma le prime volte potreste utilizzare un’agenda per mettere nero su bianco il tempo che dedicate al gioco.

E ricordiamoci sempre:

  • il gioco è libero: non va forzato né “insegnato”; al più si insegnano le regole di un determinato gioco
  • la fantasia è l’elemento che rende il gioco così potente; giocare infatti significa stare con un piede nella realtà e l’altro nel mondo del fantastico
  • spesso per noi grandi è difficile tornare a giocare; lasciamoci guidare dai bambini (che in questo saranno ottimi maestri)

a cura di Matteo Princivalle

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Di (da) xit: la didattica attraverso un gioco di parole

giochi da tavolo
Potete trovare Dixit su: Amazon.it

Avete mai sentito parlare di Dixit? Questo popolare gioco da tavolo (ha vinto numerosi premi a livello internazionale ed è entrato di diritto nella nostra rassegna dei migliori giochi da tavolo) si basa sull’intelligenza verbale chiedendo ai partecipanti di essere espliciti ma non troppo. In estrema sintesi, funziona così: ci sono delle carte illustrate; a turno i partecipanti svolgono il ruolo di Narratore. Il narratore deve scegliere una delle sue carte e descriverla utilizzando una frase.

Obiettivo della descrizione è che qualche partecipante, ma non tutti, riesca ad indovinare di cosa si tratta. Questo significa che le parole andranno calibrate con grande attenzione per evitare i due esiti che non fanno ottenere punti al Narratore: la descrizione criptica (ovvero quando nessuno indovina di cosa si sta parlando) e la descrizione esplicita (quando tutti indovinano). Il gioco ci è piaciuto così tanto che abbiamo pensato di portarlo nella pratica didattica; nel nostro caso l’abbiamo sperimentato nel corso di laboratori didattici sulla natura, ma è anche un ottimo spunto per l’insegnamento della grammatica.

DI (DA) XIT: IMPARIAMO A INDOVINARE

Per essere più chiari, abbiamo suddiviso il laboratorio in V1 e V2; la prima è una versione a sfondo grammaticale, la seconda invece è adatta ai laboratori didattici (scienze, storia etc.)

Cosa ci serve? Un mazzetto di carte con delle illustrazioni; queste si possono realizzare in classe nell’ora di educazione artistica o in un momento dell’animazione precedente a quello del gioco.

V1: vanno bene tutte le scene che rappresentino un’azione della vita quotidiana che non sia troppo semplice da indovinare né troppo complessa (una seduta parlamentare potrebbe risultare criptica per i primi anni della scuola primaria, al contrario un gatto finirebbe per essere elementare). Consigliamo di stabilire prima quali figure utilizzare, utilizzando al posto delle carte dei fogli A4.

V2: in questo caso le scene dovranno essere tematizzate con l’argomento di cui si sta parlando, possibilmente decidendole a priori secondo uno schema deciso con abilità dall’insegnante

Una volta preparate le illustrazioni, è il momento di iniziare a giocare!

V1: a turno i bambini svolgono il ruolo di narratore.
La maestra estrarrà a caso dalla pila delle illustrazioni sei fogli, che solo il Narratore potrà vedere. Di questi, il Narratore, ne sceglierà uno.
In seguito, dovrà scrivere sulla lavagna una frase che descriva l’illustrazione.
Dove sta la didattica? Semplice: l’insegnante aggiungerà una regola del tipo: “in ogni frase dovrà esserci un aggettivo” (da variare in base all’argomento su cui si vuole lavorare; potrebbe essere anche un nome femminile, un avverbio o un elemento di analisi logica).
Una volta scritta la frase, si mostreranno a tutta la classe i sei fogli e ciascun ragazzo dovrà scegliere e scrivere su un foglietto, o sul quaderno, a quale delle sei illustrazioni pensa sia riferita la frase del Narratore.
Se qualche compagno indovina, ma almeno uno avrà commesso un errore, il Narratore otterrà un punto. Se tutti o nessuno indovinano, al contrario, non ne otterrà.
A turno i ragazzi diventeranno narratori.

V2: lo svolgimento del gioco è lo stesso, con la differenza che invece di concentrarsi sull’aspetto grammaticale, si adotteranno due differenti meccanismi didattici: o si selezionano le illustrazioni, assegnandole a priori in modo tale che ciascuna rappresenti un elemento che si vuole far interiorizzare (potrebbero essere le fasce climatiche, varie scene di vita quotidiana in un determinato periodo storico o classi di animali) oppure si inserisce la regola “in ogni frase dovrà esserci l’elemento X”, corrispondente all’obiettivo della didattica. In questo caso, però, dobbiamo fare in modo che l’elemento non sia determinante nell’indovinare la figura, altrimenti si perde gran parte dello spirito del gioco.

BREVE DISCUSSIONE SU DI (DA) XIT E SULLA METODOLOGIA DIDATTICA

Il gioco, al di là dell’essere davvero divertente, ha un grande punto di forza: la verifica dell’apprendimento è disgiunta dalla componente ludica. In altre parole: possiamo correggere l’errore senza però influire sullo svolgimento del gioco. L’atmosfera dunque è rassicurante e adatta ad includere tutti gli alunni in una cornice di insegnamento virtuoso.

Quando si parla di gioco applicato alla didattica bisogna sempre fare attenzione; in particolare, è pericolosa la confusione tra gioco didattico, didattica ludiforme e “finti giochi”. Facciamo un esempio:

il gioco “trova l’errore” è chiaramente un esercizio mascherato, in quanto difficilmente i bambini si appassionerebbero spontaneamente ad una ricerca del genere (a meno che chi lo propone non abbia una capacità di animare fuori dal comune).
Al contrario, un gioco didattico dovrebbe prima di tutto mantenere le proprietà di “gioco”, risultando divertente e spontaneo come una partita tra amici la domenica. Solo in questo modo la didattica potrà apprezzare l’influenza positiva del gioco.

Il gioco non si insegna. O si gioca o non si gioca. Non basta insegnare a giocare per giocare.

Si insegnano invece le regole del gioco. 

Per approfondire il tema della didattica attraverso il gioco, ma anche del gioco in sé (come definizione e come elemento centrale nella vita dell’uomo) vi consigliamo di leggere autori quali Caillois (I giochi e gli uomini, Bompiani), Johan Huizinga (Homo ludens, Einaudi), Visalberghi (Educazione e condizionamento sociale, Laterza) e Rovatti-Zoletto (La scuola dei giochi, Bompiani), pionieri della didattica ludica e degli studi sull’uomo come giocatore.

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