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I due ladri e il cuoco è una favola di Esopo adatta ai bambini dai 6 anni in su.
I due ladri e il cuoco
Due ragazzi entrarono nella bottega di un cuoco, per comprare qualcosa da mangiare. Poiché il cuoco era di spalle, impegnato a cuocere una certa pietanza, uno dei due rubò un pezzo di carne dal bancone e lo diede all’altro, perché lo nascondesse.
Quando il cuoco si voltò per accogliere i due clienti si accorse del furto e chiese indietro il maltolto. “Per gli dei, non ce l’ho io” disse il primo, e disse una cosa vera. “In nome di Zeus, vi giuro che io non ho rubato nulla” disse il secondo, e disse una cosa vera. “Con le vostre parole potete ingannare gli uomini” rispose il cuoco ai due ragazzi, “ma di certo non ingannerete la vostra coscienza”.
I due uscirono dal negozio ma presto furono presi dai sensi di colpa; così, tornarono indietro e pagarono al cuoco il pezzo di carne che avevano rubato impunemente.
Morale: Anche se riusciamo a nascondere le nostre colpe agli uomini, nulla sfuggirà alla nostra coscienza.
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C’era una volta un piccolo insetto che si sentiva molto triste. Non aveva le ali variopinte come le farfalle, né il vestito a pois delle… Leggi tutto: La stella cadente e la lucciola
Avete mai visto Cuorfolletto? Non è un folletto come gli altri: è rosso ma cambia colore quando avverte un’emozione. Se incontra un bambino triste diventa grigio… Leggi tutto: Le avventure di Cuorfolletto
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Disegni astratti da colorare
I benefici del coloring
Colorare è un’attività dai risvolti benefici: attraverso questa pratica, i bambini potranno allenare la muscolatura della mano ad impugnare correttamente lo strumento di scrittura (penna, matita, pennarello) e a sostenere lo sforzo fisico necessario ad esercitare il tratto. Sembra una sciocchezza, ma oggi i bambini sono abituati a reggere tra le mani smartphone e tablet per numerose ore ogni giorno, col risultato che i muscoli necessari alla scrittura si indeboliscono. Ecco perché così tanti bambini fanno fatica a scrivere! Abituarli a colorare sin da piccoli è un esercizio formidabile: se lo proponiamo attraverso il gioco, daremo loro una marcia in più. Infine, secondo alcuni studi scientifici l’attività del coloring aiuta i bambini ad eliminare lo stress e l’ansia. Benché non si tratti di un’attività terapeutica, è comunque una pratica molto rilassante.
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“Il clima sociale in cui il bambino vive è tanto importante per il suo sviluppo quanto l’aria che respira; il gruppo a cui appartiene è il terreno sul quale poggia. La sua sicurezza e la sua insicurezza dipenderanno in grandissima misura dai suoi rapporti con il gruppo e dal suo status in esso. Non deve meravigliare che il gruppo a cui la persona appartiene e la cultura in cui vive ne determinino a tale punto il comportamento e il carattere: essi stabiliscono, infatti, di quanto spazio di movimento libero l’individuo può usufruire e quanto lontano nel futuro può guardare con una certa chiarezza. In altre parole, condizionano in larga misura il suo stile di vita personale, nonché la direzione e l’efficacia dei suoi programmi”. K. Lewin
Andiamo a scuola per imparare, certo. Ma, esattamente, cosa impariamo? Spesso veniamo riempiti di nozioni da ricordare (e da dimenticare), mentre nessuno ci insegna a lavorare sulle emozioni. E’ un aspetto importante e spesso trascurato: un’educazione completa dovrebbe portarci alla consapevolezza di sé, all’empatia e alla solidarietà.
Se ci pensiamo, anche banalizzando o portando la discussione verso il paradosso, le guerre nel mondo non nascono dalla mancata conoscenza delle formule di matematica e di chimica, ma piuttosto dall’assenza di giustizia, di solidarietà, di empatia, di amore. Quanto siamo stati educati, nel nostro percorso formativo, alla gestione delle situazioni interpersonali, alla risoluzione positiva dei conflitti?
Non si tratta di puntare il dito contro insegnanti, genitori ed educatori, insomma contro la comunità di persone che accompagnano il bambino nel suo percorso di crescita. Significa piuttosto rivedere il ruolo della famiglia e della scuola, imparando a viverle come luoghi di crescita emotiva comunitaria. Insomma occorre iniziare ad educare veramente il cuore, a partire da noi stessi, per poi arrivare ai nostri figli e agli studenti.
Sicuramente è importante capire ed accettare il nostro temperamento e quello delle persone che ci circondano, anche per poter diventare guide nel percorso dei bambini verso la socialità. Del resto ognuno ha un suo modo di interfacciarsi con l’ambiente esterno, sin da bambini. E’ importante capirlo e valorizzare le differenze e le ricchezze che ciascuno porta dentro di sé.
Qual è il costo di un’insufficiente intelligenza emotiva? Qual è il costo dell’autostima ferita? Qual è il costo dell’identità personale frantumata? Quali sono le conseguenze?
Uno dei più affermati studiosi di intelligenza emotiva contemporanei è lo psicologo statunitense Daniel Goleman, il quale sostiene che riconoscere le proprie emozioni, saperle gestire e provare empatia siano le capacità che influenzano maggiormente la vita dell’uomo. Ci sono evidenze scientifiche secondo le quali l’intelligenza emotiva influisce in maniera determinante sulle probabilità di successo di una persona e, in particolar modo, sulla sua felicità. La cosa più entusiasmante è che l’intelligenza emotiva si può insegnare. Vediamo come.Andiamo a scuola di emozioni: i vantaggi per i bambini
Innanzitutto è fondamentale insegnare ai più piccoli a riconoscere le emozioni. Si tratta del primo passo per aiutare il bambino a gestirle, riconoscendole, assegnando loro un’etichetta e catalogandole. E’ importante che i genitori educhino alla disciplina, nell’accezione di saper usare le peculiarità di ciascun individuo in modo positivo, anzichè distruttivo.
Un bambino che perde le staffe rapidamente ha bisogno di capire il sentimento di rabbia che prova, dargli un nome, trovarne i confini, per imparare infine a controllarlo. La capacità di relazionarsi con gli altri, di empatizzare, di provare sentimenti e controllare emozioni negative, è chiamata intelligenza emotiva.
Gli studi condotti da Gottman dimostrano che i bambini cui i genitori-allenatori hanno insegnato ad essere emotivamente intelligenti hanno meno difficoltà a concentrarsi e sanno calmarsi più rapidamente quando si agitano.
Anche in caso di situazioni complesse, quali la separazione dei genitori o la morte di una persona cara, i bambini emotivamente intelligenti riescono a superare più agevolmente la crisi. Da queste ricerche è risultato addirittura che nel periodo adolescenziale i ragazzi allenati emotivamente riescono più facilmente ad evitare comportamenti autodistruttivi, quale ad esempio l’uso di sostanze stupefacenti.
Da genitore noncurante ad allenatore emotivo
Gottman individua nei suoi testi quattro macro categorie di genitori.
Genitori noncuranti, che sminuiscono, ridicolizzano o addirittura ignorano le emozioni negative dei figli. (E’ ridicolo che non vuoi andare all’asilo. Non c’è nulla di cui aver paura. Li ci sono i tuoi amichetti e ti divertirai. Dai su, ora passiamo in pasticceria a comprare un dolcetto, così ti passa.)
Genitori censori, che criticano le espressioni di sentimenti negativi e che possono arrivare a rimproverare o punire i figli per queste manifestazioni emotive. (E’ ridicolo che non vuoi andare all’asilo. Sono stanca di questo comportamento, non sei più un neonato. Agisci da grande! Se continui così questa è la volta buona che le prendi.)
Genitori lassisti, che accettano le emozioni dei figli e si dimostrano empatici, ma non riescono a offrire loro una guida o a porre limiti al loro comportamento, spesso rimandano il problema, distraendolo ad esempio con un gioco, fino a che si ripresenterà la volta successiva. (Oh come ti capisco! E’ naturale che vuoi rimanere a casa con la tua mamma. Anche io sono triste. Magari giochiamo insieme dieci minuti e poi usciamo senza piangere però.)
I Genitori allenatori emotivi, che partono come i genitori lassisti, empatizzando con i sentimenti del bambino, ma poi colgono l’occasione per parlare del sentimento, dargli un nome, e imparando a riconoscerlo.
Le cinque azioni chiave dell’allenatore emotivo
E’ possibile allenare emotivamente i bambini, chiaramente partendo dalla conoscenza delle proprie emozioni, cosa affatto scontata. I primi ad allenarsi emotivamente, allora, devono essere proprio gli educatori. E’ fondamentale comprendere che nel porre limiti al comportamento del bambino è necessario fargli comprendere la differenza tra il sentimento provato, che è fisiologico, e i comportamenti, accettabili o meno, che ne possono derivare. E’ naturale arrabbiarsi con un amico, ma non è accettabile tirargli i capelli! Volendo semplificare al massimo, cinque sono le basi dell’allenamento emotivo.
Essere consapevoli delle emozioni del bambino
Riconoscere nell’emozione un’opportunità di intimità e di insegnamento
Ascoltare con empatia e condividere i sentimenti del bambino
Insegnare al bambino le parole necessarie a definire le emozioni che prova
Porre dei limiti, aiutando il bambino a risolvere il problema
Soltanto con quest’azione pedagogica potremo dare una risposta utile ai comportamenti errati dei nostri figli e intervenire per guidarli idoneamente. Insomma è importante passare da “lui è fatto così, amen” a “lui è fatto così, ma io posso fare molto!”
PER EDUCARE CON LE FAVOLE:
Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.
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Biglietti di compleanno da stampare
I benefici del coloring
Colorare è un’attività dai risvolti benefici: attraverso questa pratica, i bambini potranno allenare la muscolatura della mano ad impugnare correttamente lo strumento di scrittura (penna, matita, pennarello) e a sostenere lo sforzo fisico necessario ad esercitare il tratto. Sembra una sciocchezza, ma oggi i bambini sono abituati a reggere tra le mani smartphone e tablet per numerose ore ogni giorno, col risultato che i muscoli necessari alla scrittura si indeboliscono. Ecco perché così tanti bambini fanno fatica a scrivere! Abituarli a colorare sin da piccoli è un esercizio formidabile: se lo proponiamo attraverso il gioco, daremo loro una marcia in più. Infine, secondo alcuni studi scientifici l’attività del coloring aiuta i bambini ad eliminare lo stress e l’ansia. Benché non si tratti di un’attività terapeutica, è comunque una pratica molto rilassante.
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Vi è mai capitato di sentirvi chiedere “perché” da un bambino? I piccoli sono investigatori eccezionali, decisamente non convenzionali e arguti.
Perché non dipingiamo la cameretta con le tempere?
Perché non bisogna mangiare troppe caramelle?
Perché devo mettere il pigiama prima di andare a dormire?
I loro perché, spesso surrealisti ma sempre dotati di un proprio senso, ci colgono il più delle volte impreparati. Quante volte ci capita di rispondere senza nemmeno pensare alla domanda? O rispondere con una frase fatta? O ignorarli nel modo più assoluto (magari distogliendoli dalla domanda)?
Oggi andiamo alla scoperta del gioco dei perché, che dovremmo imparare dai più piccoli per imparare a vivere meglio. Ma perché dovremmo imparare a domandarci il perché delle cose? Semplice: come abbiamo già introdotto nell’articolo “Impariamo a mettere in discussione ciò in cui crediamo“, superare gli stereotipi e imparare a vedere il complesso dietro la banalità è un modo per riflettere su di noi, sulla nostra vita e sulla nostra famiglia. Imparare a pensare bene significa imparare a risolvere i problemi; spesso improvvisando, quasi sempre in modo non convenzionale.
Tuttavia, prima di poter ristrutturare i problemi attraverso il pensiero laterale, dobbiamo riuscire a superare il concetto di “ovvio”; dobbiamo imparare a mettere in discussione i nostri principi, non per demolirli ma per renderli più forti.
Il gioco dei perché
Il gioco dei perché è un classico del pensiero laterale: scavare a fondo nel mondo dei concetti “scontati” è il primo passo per imparare a pensare laterale. Si può giocare da soli o insieme ai bambini. Farsi aiutare da un piccolo di solito rende le cose più semplici e anche più interessanti. Si comincia con una domanda e si esplora un concetto.
Potremmo cominciare chiedendoci: “perché i tavoli sono piatti?” e, a catena, cominciare a farci mille domande sulla natura del tavolo, dei mobili, della vita e della casa. Se “giocate bene”, per ogni vostra risposta ci sarà un altro perché pronto ad attendervi.
Per giocare al meglio, ricordatevi queste regole:
Nessun perché è stupido.
Nessun perché può essere ignorato .
Mai rispondere ad un perché con una spiegazione già usata prima.
Prima di provarci, una riflessione sul perché è un gioco grandioso: come prima cosa, ci “costringe” a metterci allo stesso livello dei bambini, a guardare il mondo dalla loro prospettiva. Solo così possiamo imparare il valore dell’empatia e della condivisione. Secondariamente, ci costringe ad abbattere i muri del pensiero rigido che la nostra società ci insegna. Questo gioco è una sorta di vaccino contro la banalità e i luoghi comuni.
Obiezione! Dovremmo domandarci il perché di ogni piccola cosa? Dovremmo chiederci perché andiamo a lavorare, perché il latte della colazione è color latte, perché esiste la scuola e perché si va a scuola a piedi, o con i mezzi?
No, non è questo l’obiettivo del gioco dei perché: dare le informazioni per scontate ci salva la vita. Ci aiuta a limitare al minimo i problemi e le fonti di stress, ci aiuta a risolvere rapidamente la maggior parte dei piccoli compiti quotidiani. Gli stereotipi ci fanno bene, a patto di sapere cosa sono e quando li stiamo utilizzando.
Ma di fronte a un problema complesso, uno di quei problemi che non si risolve con uno stereotipo, saper accantonare questo pensiero convenzionale sarà l’unico modo per poter trovare una soluzione. Insomma, il perché va imparato, messo nel cassetto e tirato fuori al momento opportuno!
Un manuale di pensiero laterale: questa riflessione nasce dagli spunti proposti nel libro Creatività e pensiero laterale: Manuale di pratica della fantasia. L’autore, Edward De Bono, è considerato un’autorità internazionale nel campo della creatività. Per noi è stata una lettura formativa e ricca di spunti; perché non lo leggete anche voi?
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