Scoprite i nostri adattamenti delle più belle favole di Leonardo da Vinci.
Favole di Leonardo da Vinci
IL CASTAGNO E IL FICO C’erano una volta un castagno e un fico che crescevano vicini. L’estate era appena finita e il fico era carico di frutti; il contadino e i suoi figli si erano arrampicati sui suoi rami e staccavano i fichi maturi dai rami, posandoli delicatamente nei loro cesti di vimini foderati di stoffa. Il castagno disse al fico: “Povero fico! È proprio vero che la natura non sa fare parti uguali. I tuoi frutti sono così morbidi e dolci che gli uomini si arrampicano su di te come formiche per coglierli. Le mie castagne, invece, sono avvolte da un velo sottile, protette da una pelle dura come il legno e come se non bastasse, sono racchiuse dentro un guscio pieno di spine. Nessun uomo si azzarda ad arrampicarsi su di me né a toccare i miei frutti con le sue mani”. Sentendo quelle parole, il fico cominciò a ridere insieme a tutti i suoi figlioli. “Tu non conosci l’uomo, caro castagno. È un animale così intelligente che pur di mangiare le tue castagne spacca i gusci con le pietre e con i tronchi, squarcia la loro pelle con un coltello tagliente e poi le butta nell’acqua che bolle. I miei frutti invece li raccoglie con delicatezza, poi li posa in un cestino foderato di stoffa per non romperli. Se ci pensi bene, la natura è stata più generosa con me che con te”.
LA PIETRA SCONTENTA C’era una volta una bella pietra di fiume; qualcuno l’aveva tolta dall’acqua e l’aveva posata su una bella collinetta fiorita, appena sopra la strada. La pietra era posata lì in compagnia degli alberi, dei fiori e dei fili d’erbetta, ma non era contenta. Si diceva: “Perché mai devo stare qui, tutta sola con questi vegetali, mentre là sotto ci sono le mie sorelle”. La strada sotto la collina, infatti, era lastricata di pietre. La pietra scontenta si lasciò cadere di sotto, rotolando giù per la collina finché non si ritrovò in mezzo alla strada. Ma la vita tra le sue sorelle non era come l’aveva immaginata: veniva pestata dai viaggiatori, schiacciata dagli zoccoli dei cavalli e oppressa dalle ruote dei carri che percorrevano la strada. Gli animali la coprivano di sterco e gli uomini di fango. “Che vita miserabile” diceva adesso la pietra, “se solo potessi tornare sulla collina tra gli alberi e i fiori”. Ma non poteva, perché nessuno sasso può rotolare dal basso verso l’alto.
IL RASOIO VANITOSO Un giorno il rasoio uscì dal suo manico e si mise a prendere il Sole. Vedendo il Sole che si specchiava sul metallo lucido, il rasoio si riempì d’orgoglio e disse: “Come sono bello: perfino il Sole si specchia su di me. Eppure devo faticare ogni giorno; sono proprio stufo di tagliare barbe. Anzi, sapete cosa faccio? Me ne vado. E non tornerò più alla bottega del barbiere. Mi nasconderò e mi godrò in pace la mia bella vita”. Il rasoio fuggì lontano dalla bottega e si nascose in una grotta, per non essere trovato dal barbiere. Rimase lì per qualche mese, poi uscì dalla grotta e si mise al Sole ma questo non si specchiava più sulla sua lama: il rasoio aveva perso la sua lama ed era coperto di ruggine da cima a fondo. Disperato, si lamentò: “Ah, se solo fossi rimasto alla bottega del barbiere. Avrei dovuto continuare a tagliar barbe, così sarei rimasto ben affilato e lucente; adesso sono solo un ferro vecchio da buttare”. Questo è quel che accade a chi smette di studiare e di esercitarsi e si dà al divertimento: la sua mente, come il ferro, perde filo e lucentezza e si copre della ruggine dell’ignoranza.
L’INCHIOSTRO E LA CARTA La carta si lamentava dell’inchiostro, dicendo: “Perché mi sporchi? Ero bella e bianca e adesso sono piena di brutte macchie nere”. L’inchiostro le rispose: “Tu mi disprezzi, ma ricordati che quelle macchie nere formano le parole, ed è solo grazie alle parole che ho scritto sopra di te che gli uomini ti sfogliano e ti considerano preziosa”.
LA MATITA E IL TEMPERINO Matita e temperino sono obbligate ad essere amiche, ma la loro amicizia è preziosa: la matita non sarebbe molto utile senza temperino e viceversa.
IL RAGNO E L’UVA Il ragno si era nascosto tra i grappoli d’uva per acchiappare le mosche, attirate dal dolce profumo di frutta. Il trucco funzionò a meraviglia fino alla vendemmia, quando il contadino raccolse anche il ragno insieme ai grappoli e lui rimase schiacciato.
LA PIETRA FOCAIA E L’ACCIARINO Quando l’acciarino colpì la pietra focaia per produrre una scintilla, la pietra disse: “Perché mi colpisci? Lasciami in pace, che non ho mai fatto del male a nessuno”. Ma l’acciarino le rispose: “Sii paziente, e vedrai che nascerà qualcosa di straordinario”. La pietra aspettò con pazienza e si lasciò colpire ancora e ancora, finché non vide nascere un bel fuoco. Questa favola è per tutti coloro che si hanno paura di studiare: se continuano con pazienza, il risultato sarà meraviglioso.
LO SPECCHIO E LA REGINA Quando la regina si guarda allo specchio, questo si riempie d’orgoglio. Ma appena la regina se ne va, ecco che lo specchio torna a riflettere il vuoto.
IL FERRO E LA LIMA Il ferro è così pesante che nessuno riesce a spostarlo, ma grazie al lavoro incessante di una piccola lima si può trasformare in polvere così sottile che persino il vento la solleva.
Tag: favole di Leonardo da Vinci
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Scoprite tante poesie e filastrocche sulla libertà.
Poesie sulla libertà
LA LIBERTÀ Alessia de Falco e Matteo Princivalle
Il pesciolino Goccia, abitava dentro una boccia. La sua boccia era sul fondo del mare ma lui non usciva mai a nuotare. Un pescatore lo rimproverò: staresti bene anche su un comò, mio caro e piccolo Goccia, sei sempre fermo nella tua boccia! È vero, sto nella boccia, ma posso uscire quando mi pare I miei fratelli dentro l’acquario non lo potrebbero mai fare. È questa l’essenza della libertà: poter fare anche ciò che non si fa.
IL LUPO E IL CANE Alessia de Falco e Matteo Princivalle Un lupo uscì dal bosco, spinto dalla fame entrò in un villaggio, e lì incontrò un cane. “Amico mio, sei davvero ben pasciuto ma questo ben di Dio, da dove ti è piovuto? È il mio padrone, mi dà carne, arrosto e vino in cambio scaccio i ladri dal giardino. E dimmi, che cos’è quel brutto segno che hai sul collo; t’ha ferito un legno? Durante il giorno sto legato ad un cancello, indosso un catenaccio, e così mi spello. Amico, tieni pure il cibo le tue catene, preferisco la libertà, con tutte le sue pene.
Questa filastrocca è un adattamento poetico di una famosissima favola di Esopo, “Il lupo e il cane“. Questa favola è particolarmente adatta per parlare di libertà ai bambini; il suo significato, infatti, è ampio e immediato.
FILASTROCCA DELLA STORIA Alessia de Falco e Matteo Princivalle Filastrocca della storia che riporta alla memoria fatti, eroi, guerre ed accordi, che ci insegna ad esser concordi. Chi non scopre quel ch’è stato sarà come intrappolato dietro un grande e grosso muro che nasconde il suo futuro.
Libertà
Testo di: Antonella Berti
“Cos’è la libertà?” chiese un ragazzino al suo papà, “Io sento sempre usare ‘sta parola, ma se la usi tu e poi anch’io qual è lo spazio tuo e qual è il mio? Se per te libertà è far del male non è la stessa mia, in generale! Se per te è libertà inquinar la Terra non è la stessa mia, il concetto afferra! Se per te è libertà usare armi non è la stessa mia, non puoi tu impormi! Se per te è libertà scatenar guerre, non è la stessa mia, amo le serre. Se per te è libertà picchiar le donne non è la stessa mia ‘ché nella vita loro sono colonne”. Allora disse il babbo al suo ragazzo: “Mio caro, io penso che se segui il detto Non fare agli altri ciò che non vuoi tu sei sulla buona strada, non dico di più”.
Tag: poesie libertà, poesie sulla libertà, poesie sulla libertà per bambini, filastrocche sulla libertà, filastrocche sulla libertà per bambini
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Scoprite i laboratori di educazione positiva che abbiamo realizzato per educare alla gentilezza. Cliccate sui pulsanti per leggere gli obiettivi didattici, le istruzioni e per stampare le matrici.
La gentilezza può davvero cambiare il mondo? Sì, almeno secondo Cristina Milani, studiosa di psicologia cognitiva comportamentale e di comunicazione, che ha recentemente pubblicato La forza nascosta della gentilezza (Sperling & Kupfer, 2017). Obiettivo del libro è mostrare come anche i piccoli gesti abbiano il potere di cambiare il mondo, a partire dalla nostra felicità. Secondo la studiosa, la chiave di volta è l’impegno dei singoli: quando decidiamo di cambiare le cose, di rendere un po’ più felice il nostro angolo di mondo, ecco che scateniamo un effetto domino, capace di travolgere chi ci sta intorno. La gentilezza è la vera rivoluzione -silenziosa- del terzo millennio: essere gentili significa essere attenti agli altri; significa mettere al primo posto un vissuto sociale di qualità. In altre parole: la gentilezza è la vera chiave per evitare che l’egoismo e la competizione (che pure sono naturali e alle volte utili) rovinino le nostre relazioni, rendendoci infelici.
A scuola, a casa e specialmente in azienda, ci dimentichiamo spesso di essere gentili. A volte basta davvero poco: un sorriso, una stretta di mano, una busta passata con gentilezza. Attualmente, la troviamo alla presidenza di Gentletude, associazione elvetica che si occupa di promuovere le pratiche gentili, ma anche vicepresidente del Movimento Mondiale della Gentilezza. Anche la neuropsicologia si sta occupando da tempo della gentilezza, con risultati sorprendenti. Candace Beebe Pert, neuroscienziata statunitense, ha provato che sorridere attiva il rilascio di speciali neurotrasmettitori che combattono lo stress e ci rendono felici (Repubblica, 2017). Se questi studi dovessero essere confermati e corroborati, avremmo le prove scientifiche che l’educazione alla gentilezza non è soltanto un ideale sociale, ma un tassello fondamentale nella promozione del benessere psicofisico individuale. Sarebbe un sostegno forte a tutti coloro che, noi compresi, ritengono che l’educazione alla gentilezza dovrebbe essere obiettivo prioritario della scuola e della vita in famiglia.
Lo spunto di oggi non è operativo, ma serve a fare chiarezza tra i nostri pensieri. Prima del “buon proposito” di essere gentili (sì, i buoni propositi nel 90% dei casi non vanno mai oltre il proposito!) è necessario domandarci se noi crediamo davvero nella gentilezza.
Siamo convinti che la gentilezza possa cambiare il mondo?
Che possa rendere migliori le nostre vite e quelle dei bambini?
Siamo disposti a qualche piccolo sacrificio per promuovere e praticare la gentilezza?
Prima di praticare atti di gentilezza a casaccio (cit.), è necessario desiderare ardentemente una vita all’insegna della gentilezza. Quindi, proviamo a rispondere alle tre domande qui sopra, prendendoci del tempo, se necessario. Cominciamo a meditare sulla qualità della nostra vita e, soprattutto, delle nostre relazioni con gli altri.
In molti casi, non faticheremo ad individuare tensioni che, abbracciando la gentilezza, potrebbero essere facilmente risolte. Senza però dimenticare di l’assertività: la gentilezza dovrebbe nascere dal cuore, ma senza trascurare i nostri bisogni! A volte, è il caso di dirlo, è bene ritagliarci dei momenti “solo per noi”, chiudendo la porta agli altri.
Dodici minuti al giorno di gentilezza
Sapevi che la gentilezza si può praticare anche in silenzio, durante una passeggiata? I suoi effetti benefici sull’umore sono i medesimi: lo hanno dimostrato i ricercatori della Iowa State University in un articolo pubblicato sul Journal of Happiness Studies. I ricercatori hanno chiesto ai partecipanti, divisi in gruppi, di camminare per 12 minuti intorno a un edificio. A seconda del gruppo, i ricercatori davano istruzioni su come orientare i propri pensieri durante la passeggiata: ad alcuni partecipanti hanno chiesto di produrre pensieri gentili verso il prossimo, ad altri di produrre pensieri sull’interconnessione sociale, ad altri infine di pensare a dei confronti sociali con il prossimo, in modo da far emergere le proprie potenzialità. Naturalmente, per ogni gruppo era previsto un gruppo di controllo, che passeggiava senza istruzioni. Ma quali erano le istruzioni per produrre pensieri gentili? “Per ciascuna persona che incontrerai durante la passeggiata, augurale una giornata felice”. I ricercatori motivavano i partecipanti a produrre un pensiero sincero, credendoci. Dalle rilevazioni effettuate al termine della passeggiata è emerso che coloro ai quali era stato suggerito di produrre pensieri gentili presentavano un livello di ansia più basso degli altri, unito ad un grado di felicità e di empatia superiore alla media. In altre parole, questo studio ha dimostrato come i pensieri gentili, già nella loro dimensione astratta e individuale (ai partecipanti non erano richieste azioni concrete o interazioni con gli altri), producono benessere. Un numero sempre crescente di studi e ricerche sta dimostrando come la gentilezza sia una strategia vincente per vivere bene: al contrario, i confronti e gli scambi competitivi – ad esempio quelli che avvengono, consapevolmente o meno, sui social network – producono tensione, ansia e stress. L’esercizio proposto dai ricercatori si può trasportare con semplicità nella vita quotidiana. Le istruzioni erano le seguenti: guarda le persone che incontri e augurati che ciascuna di esse sia felice. I ricercatori suggerivano ai partecipanti di riflettere sul significato di quell’augurio, facendo in modo che da un pensiero vuoto diventasse un desiderio sincero. Possiamo farlo anche noi: 12 minuti al giorno del resto sono ben poca cosa. Per vivere bene, è essenziale ritagliarsi dei momenti quotidiani da dedicare a se stessi e all’educazione del pensiero: l’esercizio dei pensieri gentili è uno di questi.
Teoria e pratica della gentilezza
Compiere atti gentili verso gli altri ci fa star meglio: la gentilezza, come tutti i comportamenti prosociali (ovvero quei comportamenti volti a fare del bene agli altri) è una potente alleata del benessere, anche quando non viene ricambiata. Ma i benefici non si limitano alle semplici azioni. Un gruppo di ricercatori della University of California, Riverside ha condotto un esperimento su un campione di oltre 500 studenti per comprendere la relazione tra gentilezza e benessere. Dopo aver suddiviso gli studenti in gruppi, hanno assegnato compiti diversi: compiere un atto gentile, pensare a un atto gentile che si era compiuto in passato, fare entrambe le cose o nessuna delle due. I ricercatori sapevano già che compiere un atto gentile avrebbe incrementato il benessere percepito; quello che non sapevano era che anche ripensare ad un atto gentile che si è compiuto ci aiuta a stare meglio. Questo innesca una spirale positiva: le persone gentili, infatti, traggono gioia non soltanto dalle loro azioni, ma anche dal rievocarle con la mente. Questa scoperta è un ulteriore passo avanti nella comprensione degli effetti, potentissimi, che la gentilezza ha sulla mente umana e su come questa virtù possa rendere la vita migliore. Ma cosa vuol dire, nella vita quotidiana, compiere un atto gentile? Ecco un elenco di azioni gentili tra quelle suggerite dai ricercatori che hanno condotto lo studio:
Preparare la cena per la propria famiglia o per un amico;
Sbrigare una faccenda domestica per la nostra famiglia o per un amico;
Andare a trovare un parente, un amico o un conoscente anziano;
Inviare una lettera o un messaggio pieno di gratitudine a una persona per la quale proviamo tale sentimento. Vogliamo lanciarvi una piccola sfida educativa: provate a ripercorrere il percorso che hanno seguito gli studenti che hanno preso parte allo studio di cui abbiamo parlato. Per tre giorni, i ricercatori hanno chiesto loro di compiere un’azione gentile (una ogni giorno) tra quelle elencate qua sopra. Provate anche voi e al termine della sfida tirate le somme: vi sentite meglio?
La cultura della gentilezza
La cultura della gentilezza si contrappone alla cultura della competizione e della prevaricazione ed è ancora ai suoi albori. Per diffonderla sarà necessario battersi, in modo fermo e gentile. Ad ogni modo, sono sempre di più le evidenze scientifiche e pedagogiche a sostegno di una società della gentilezza. La gentilezza si diffonde a partire da alcuni elementi fondamentali. Questi costituiscono una vera e propria cultura, un insieme di valori e convinzioni in grado di formare gli individui e modificare il modo in cui essi interagiscono con l’ambiente. Per educare alla gentilezza è indispensabile interiorizzare questi fondamentali:
la convinzione che la gentilezza nasce come scelta personale (non possiamo aspettarci che il mondo sia gentile con noi, ma possiamo scegliere di essere gentili con il mondo);
la convinzione che la gentilezza richieda un approccio comunitario;
la convinzione che sia sempre il momento giusto per compiere un atto gentile.
Questi pilastri fondamentali della cultura della gentilezza si possono tradurre in quattro spunti operativi:
Educa te stesso: la rivoluzione della gentilezza è innanzitutto una questione individuale; comincia educando te stesso a compiere atti gentili ogni giorno, senza pretenderli dagli altri. In breve tempo ne vedrai i benefici e scoprirai che la gentilezza è contagiosa;
Pratica la gentilezza con costanza: se sei mamma o papà, ritaglia dei momenti per praticare ed esaltare la gentilezza in famiglia; se sei un insegnante, porta la gentilezza in classe, ogni mattina;
Impara a pensare come parte di una comunità: la gentilezza è fondata sulla cultura della condivisione e sul senso di appartenenza ad una comunità. Alla base della gentilezza c’è la convinzione che i problemi si affrontano meglio in gruppo. Sperimenta il circle time per parlare di ciò che non va;
Cerca più occasioni per essere gentile: con il passare del tempo, cerca di aumentare il numero di atti gentili che compi ogni giorno.
La gentilezza è alla base dell’apatia: sorridere, fare del bene, rendere migliore la giornata degli altri. E’ un valore che, poco alla volta, rende la nostra vita più piena. Essere gentili significa essere grati alla vita e al mondo che abitiamo. Per riscoprire la gentilezza, dobbiamo abbattere il muro dell’egoismo e delle finte preoccupazioni: abituiamoci a non utilizzare lo smartphone quando non è strettamente necessario. Abituiamoci ad ascoltare e a comunicare in modo sincero: guardiamo negli occhi i bambini e le persone con cui parliamo. I bambini nascono gentili: fino a 6/7 anni, nonostante l’egocentrismo tipico della loro età, sono pronti a condividere con gli altri, comunicano volentieri e prendono a cuore i problemi degli altri. Perché noi adulti non ne siamo più in grado? Forse, un primo passo potrebbe essere proprio quello di riscoprire la gentilezza dell’infanzia, facendo un passo indietro con il cuore.
Le parole della gentilezza
Gentilezza e cortesia fanno stare meglio. Peccato che spesso, presi da mille pensieri, ce ne dimentichiamo. Eppure, per iniziare bene la giornata (e proseguirla), basta anche solo una parola, detta al momento giusto. Nella vita le parole davvero importanti non sono così tante e spesso ci sembrano scontate: per questo le perdiamo di vista e ci perdiamo in mille chiacchiere inutili.
GRAZIE Non tutto ci è dovuto e ciò che gli altri fanno per noi non è automatico, ma segno di amore e rispetto. Un grazie cambia la vita e spesso migliora i rapporti. PREGO Non si tratta solo di buona educazione, ma di testimoniare la nostra gioia per ciò che abbiamo fatto. PER FAVORE Non sempre, andando di fretta, esprimiamo le nostre richieste nella maniera più corretta. Chiunque sia il nostro interlocutore, ricordiamoci che “per favore” implica la consapevolezza che ciò che viene fatto per noi è una cortesia. CIAO! Quattro banalissime lettere, che ci aiutano a interagire meglio con gli altri e a cambiare stile di vita. Vi capita mai di incrociare le persone di fretta, immersi nei vostri pensieri, senza nemmeno salutare? Quel “ciao” è un messaggio molto più ampio di un semplice saluto: significa “Ti auguro una buona giornata!”, “Spero che tutto vada bene!” TI VOGLIO BENE Non sempre bastano i gesti, a volte è importate sentirsi dire “ti voglio bene!”. E’ una testimonianza banalissima del nostro esserci, sempre. COME STAI? Proviamo a dimostrare il nostro interesse verso gli altri, chiedendo come stanno, ma, soprattutto, teniamoci pronti ad ascoltare davvero la loro risposta. POSSO AIUTARTI? Non tutti sono capaci di chiedere aiuto, per paura o orgoglio. E se fossimo noi ad offrire un po’ di assistenza? SCUSA Quanto può essere difficile chiedere scusa? L’importante è farlo solo se si è realmente pentiti. Tutti sbagliamo, ma ammettere i nostri errori è il primo modo per ricominciare. Senza falsità e con il massimo impegno.
I ragazzi che giocano a Fortnite sono più gentili degli altri
I videogiochi sono da sempre una fonte di grandi preoccupazioni per i genitori, oltre che il bersaglio di infinite critiche. Ma queste preoccupazioni sono fondate? Recentemente, un team di ricercatori israeliani ha condotto uno studio per indagare gli effetti sulla socialità dei ragazzi del più chiaccherato fra i videogiochi: Fortnite, il gioco multigiocatore in cui i partecipanti – singoli o squadre – devono eliminarsi a vicenda. Lo studio, intitolato “The Fortnite social paradox”, aveva lo scopo di indagare gli effetti del gioco sulla socialità dei ragazzi, per verificare l’impatto dei videogiochi violenti sul comportamento dei bambini e degli adolescenti. I ricercatori hanno suddiviso 845 bambini in due gruppi: il primo destinato a Fortnite, il secondo a Pinball. Ciascun gruppo era a sua volta diviso in due sottogruppi: uno in cui i ragazzi giocavano in squadra e l’altro in cui giocavano da soli. In seguito, ai ragazzi è stato chiesto di aiutare delle persone e di compiere delle piccole azioni socialmente utili. A sorpresa, i ragazzi che avevano giocato a Fortnite, si sono rivelati quelli più propensi ad aiutare gli altri e hanno dimostrato un grado maggiore di benessere psicologico. Questo studio è piuttosto interessante, perché permette di sfatare il mito – ormai consolidato – secondo cui i videogiochi violenti porterebbero a condotte antisociali e a un deterioramento generale del comportamento. Al contrario, secondo i ricercatori, il contenuto formale di un videogioco non è molto importante e non è assolutamente predittivo della condotta dei ragazzi. Anzi, giocare ad un gioco violento collaborando con altri giocatori sarebbe un incentivo ai comportamenti prosociali. Un discorso a parte merita il tempo da dedicare ai videogiochi, che deve essere limitato (così come il tempo dedicato a qualunque altra attività). Purtroppo, i videogiochi moderni sono talmente ben progettati da indurre i giocatori in un circolo vizioso che nel medio e lungo termine può degenerare nella dipendenza digitale, un problema serio e reale.
Le persone gentili sono persone forti
Le persone gentili sono persone forti. La gentilezza viene spesso fraintesa e scambiata per debolezza o per accondiscendenza. Eppure, quella non è gentilezza: è paura, desiderio di compiacere gli altri per sentirsi amati, è tutt’altra cosa da un vero gesto gentile. L’atto di gentilezza è facile da riconoscere:
non ha doppi fini e non viene compiuto per essere ricambiato;
è un atto d’amore;
è un atto che riteniamo giusto e necessario.
Dunque, fare qualcosa che non nasce dal nostro cuore e che non riteniamo giusto non significa essere gentili, per definizione. Purtroppo, è difficile cogliere le sfumature e spesso cadiamo nel tranello della “finta gentilezza”. Per riuscire a scioglierlo, abbiamo inventato un giochino.
PER EDUCARE CON LE FAVOLE:
Per aiutare i più piccoli a riconoscere le emozioni e a coltivare le buone pratiche che ci fanno stare meglio abbiamo scritto la raccolta di racconti “Cuorfolletto e i suoi amici”.
FONTI https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/17439760.2019.1663252 Gentile, D.A., Sweet, D.M. & He, L. J Happiness Stud (2019). https://doi.org/10.1007/s10902-019-00100-2 The Fortnite social paradox, su: www.sciencedirect.com
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C’era una volta un paese molto singolare. Le strade erano fatte di silenzio, le case erano fatte di silenzio, persino il cielo era tutto fatto di silenzio. Non volava una mosca o meglio, se capitava, lo faceva in assoluto silenzio.
Il paese, sorto in cima ad una montagna, era stato costruito da una manciata di esuli, scappati da una città piena di voci. Lí il silenzio non esisteva: si parlava sempre, sempre e comunque, per dire tanto, ma anche per non dire niente.
Sulle strade si riversavano sciami di suoni, roboanti comizi, stizziti pettegolezzi. Le parole sgorgavano ovunque, come un fiume.
Un bel giorno una fanciulla decise che ne aveva abbastanza di tutto quel gran baccano e se ne andò. Camminò tanto, fino alla cima di una montagna. “Che pace!” esclamò entusiasta. Nessuno parlava, nessuno fiatava: era arrivata alla città del silenzio.
Si nascose, perché quel luogo così immobile le incuteva anche un po’ di paura. Succede sempre, quando non si è abituati a restare da soli con i propri pensieri.
Ma poi si abituò. Viveva nell’ombra, per non farsi scoprire.
Andò bene per un po’ di tempo ma poi si sa, il silenzio sa essere molto pesante: riesce ad entrare in tutti i meandri del tuo cuore, a svelarti pezzetti di anima che non vuoi vedere. A pulsare nelle tempie, fino a scoppiare.
La fanciulla uscì dall’ombra e scorse un giovane, poco distante da lei: com’era bello! Gli disse: “Ciao”. E poi basta perché nella città del silenzio non è che ci sia molto da dire. Il giovane però fece una cosa inaspettata: le prese una mano e se la mise sul cuore.
Quel gesto valse più di tante parole udite nella sua giovane vita. “Perché qui non parlate mai?” Gli chiese la ragazza, guardandolo con attenzione.
Il giovane le rispose, spiazzandola: “Siamo scappati dalla città delle parole perché nessuno più ascoltava. Qui, nel silenzio, riusciamo a capirci molto meglio”.
La fanciulla lo guardò di nuovo, più intensamente, poi colse una margheritina e gliela infilò dietro un orecchio: “Questo silenzio è magico e tu hai ragione, facevamo troppo baccano laggiù. Ma senza parole, il silenzio è perso, ha bisogno della voce”.
Era vero: nessuna parola vive senza il silenzio dell’ascolto, nessun silenzio sopravvive senza le parole. I due decisero di rivolgersi ai re delle due città per risolvere la questione.
Fu una saggia idea: da quel giorno, la città del silenzio e la città delle parole si riappacificarono. Si parlava un po’ meno, un po’ meglio forse, e si ascoltava un po’ di più.
Fu una delle migliori e più durature alleanze della storia.
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Leonardo da Vinci. Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle
Un giorno il rasoio uscì dal suo manico e si mise a prendere il Sole. Vedendo il Sole che si specchiava sul metallo lucido, il rasoio si riempì d’orgoglio e disse: “Come sono bello: perfino il Sole si specchia su di me. Eppure devo faticare ogni giorno; sono proprio stufo di tagliare barbe. Anzi, sapete cosa faccio? Me ne vado. E non tornerò più alla bottega del barbiere. Mi nasconderò e mi godrò in pace la mia bella vita”.
Il rasoio fuggì lontano dalla bottega e si nascose in una grotta, per non essere trovato dal barbiere. Rimase lì per qualche mese, poi uscì dalla grotta e si mise al Sole ma questo non si specchiava più sulla sua lama: il rasoio aveva perso la sua lama ed era coperto di ruggine da cima a fondo.
Disperato, si lamentò: “Ah, se solo fossi rimasto alla bottega del barbiere. Avrei dovuto continuare a tagliar barbe, così sarei rimasto ben affilato e lucente; adesso sono solo un ferro vecchio da buttare”.
Questo è quel che accade a chi smette di studiare e di esercitarsi e si dà al divertimento: la sua mente, come il ferro, perde filo e lucentezza e si copre della ruggine dell’ignoranza.
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Leonardo da Vinci. Testo (a cura di): Alessia de Falco e Matteo Princivalle
C’era una volta una bella pietra di fiume; qualcuno l’aveva tolta dall’acqua e l’aveva posata su una bella collinetta fiorita, appena sopra la strada. La pietra era posata lì in compagnia degli alberi, dei fiori e dei fili d’erbetta, ma non era contenta. Si diceva: “Perché mai devo stare qui, tutta sola con questi vegetali, mentre là sotto ci sono le mie sorelle”. La strada sotto la collina, infatti, era lastricata di pietre. La pietra scontenta si lasciò cadere di sotto, rotolando giù per la collina finché non si ritrovò in mezzo alla strada.
Ma la vita tra le sue sorelle non era come l’aveva immaginata: veniva pestata dai viaggiatori, schiacciata dagli zoccoli dei cavalli e oppressa dalle ruote dei carri che percorrevano la strada. Gli animali la coprivano di sterco e gli uomini di fango.
“Che vita miserabile” diceva adesso la pietra, “se solo potessi tornare sulla collina tra gli alberi e i fiori”. Ma non poteva, perché nessuno sasso può rotolare dal basso verso l’alto.
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