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Sei ragioni scientifiche per cui i bambini dovrebbero giocare nella natura

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Trascorrere del tempo nella natura fa bene al corpo e alla mente dei bambini. Negli ultimi due decenni numerosi studi scientifici hanno cercato di isolare tutti i benefici del verde. La scoperta più importante è il legame tra tempo speso nella natura e profitto scolastico: contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i bambini che trascorrono qualche ora nel verde ogni settimana ottengono risultati migliori di chi è costretto in casa o non ha modo di spostarsi dall’ambiente urbano.

Ecco sei ragioni importanti – indagate dalla scienza – che confermano la nostra convinzione di sempre: i bambini hanno bisogno di trascorrere più tempo nel verde, in un contesto di autonomia e in compagnia di altri coetanei.

  • La natura migliora l’attenzione dei bambini: il tempo trascorso nella natura rigenera e potenzia l’attenzione dei bambini (la cui soglia di attenzione è molto più limitata di quanto potremmo immaginare). Addirittura, è emerso dagli studi scientifici che le attività nella natura alleviano i sintomi dell’ADHD (deficit di attenzione e iperattività)
  • La natura combatte lo stress: trascorrere del tempo nel verde aiuta grandi e bambini ad alleviare lo stress. In particolare, uno studio sui bambini che abitavano nelle aree rurali ha rivelato che chi cresce circondato dal verde presenta livelli di stress molto più bassi rispetto a chi cresce in un contesto urbano.
  • La natura aiuta a sviluppare l’auto-disciplina: l’autocontrollo e la disciplina sono elementi molto importanti per il successo a scuola, nel lavoro e, più in generale, per il benessere personale. I disturbi nel controllo degli impulsi e della condotta sono sempre più frequenti nei bambini. Anche in questo caso, prendere parte ad attività nella natura aiuta a ritrovare l’autocontrollo e porta ad un miglioramento della condotta.
  • L’educazione all’aperto cattura l’interesse dei bambini: gli insegnamenti scolastici impartiti all’aperto catturano l’attenzione dei bambini in modo molto maggiore di quelli impartiti in aula (esistono delle sperimentazioni molto interessanti su come sia possibile svolgere l’intero programma di scienze del ciclo primario all’aperto, in un orto didattico, con effetti benefici sulla motivazione e sulla partecipazione dei bambini). Inoltre, al rientro da un’attività svolta all’aperto, i bambini riescono a concentrarsi meglio sulla lezione successiva.
  • Il tempo trascorso all’aperto migliora la forma fisica: è scontato che le attività nella natura migliorino la forma fisica; meno intuitiva è la correlazione tra questa forma fisica e i risultati  scolastici dei bambini: gli antichi dicevano mens sana in corpore sano e i moderni ricercatori possono confermarlo. In particolare, la capacità cardiorespiratoria è legata ai processi cognitivi.
  • Le attività nella natura promuovono le relazioni sociali: gli studi scientifici rivelano che l’ambiente sociale dei bambini è molto importante per il loro successo accademico (e per il loro benessere!). Il gioco e l’esplorazione nell’ambiente naturale promuovono le relazioni tra pari e la costruzione di un gruppo affiatato: si tratta di obiettivi educativi importanti.

APPROFONDIMENTO: Le attività a contatto con la natura riducono i sintomi dell’ADHD

FONTE: https://greatergood.berkeley.edu/article/item/six_ways_nature_helps_children_learn

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La leggenda del fiordaliso

la leggenda del fiordaliso

La leggenda del fiordaliso

Molto tempo fa, c’era una principessa che viveva in un piccolo castello tra le montagne, in compagnia delle sue ancelle. Un giorno arrivò al castello un misterioso cavaliere dagli occhi celesti; il cavaliere disse di essersi perso tra le montagne e chiese ospitalità. Non appena lo vide, la principessa si innamorò perdutamente dallo straniero e gli chiese di sposarla e di fermarsi a vivere insieme a lei. Il suo amore era ricambiato dal cavaliere e così si celebrarono le nozze: i due sposi trascorsero felicemente tutta l’estate giocando nel parco del castello, leggendo e passeggiando tra le montagne. Quando arrivò l’inverno, però, il cavaliere divenne terribilmente triste: rimaneva tutto il giorno chiuso nella sua stanza e non usciva neppure per mangiare. Un giorno, disse alla sua sposa che lui non apparteneva al popolo umano, ma alla razza delle fate e che doveva partire, per sciogliere la maledizione da cui era stato colpito; le chiese di aspettarlo e le assicurò che sarebbe tornato presto. La principessa lo lasciò andare, perché desiderava vederlo felice, e aspettò. Passarono l’inverno e poi la primavera, ma il cavaliere non fece ritorno. Un giorno la principessa trovò nel comodino del suo sposo un piccolo diario: lì scoprì che il popolo delle fate viveva migliaia di anni e che i viaggi per sciogliere le maledizioni duravano più di cent’anni.
Quella scoperta spezzò il cuore della principessa, che si ammalò e si mise a letto, circondata dalle sue ancelle: una parte del suo cuore voleva morire, sapendo che non avrebbe mai rivisto il suo sposo, mentre l’altra desiderava vivere, con la speranza di vederlo tornare prima del tempo.
Le ancelle, disperate, chiesero aiuto alle fate dei fiori, che a loro volta volarono dall’Estate e implorarono il suo aiuto. L’Estate si mise in viaggio e raggiunse il castello tra le montagne, dove trovò la principessa in fin di vita; le ancelle erano in lacrime e le dissero che senza di lei si sarebbero lasciate morire anche loro. Impietosita per la sorte sfortunata di quella principessa, decise di aiutarla: cosparse il suo corpo e quello delle ancelle con una polvere magica e scintillante che le trasformò in fiori.
La principessa divenne un fiordaliso e le sue ancelle ranuncoli, che sbocciano ogni anno tra le rovine del castello, aspettando il giorno in cui il cavaliere fatato tornerà da loro.

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Camminare scalzi è un toccasana per i bambini: ecco tutti i benefici

camminare a piedi scalzi

I bambini, istintivamente, sono portati a camminare senza scarpe e senza ciabatte. È naturale, ed è una fortuna perché per loro, camminare scalzi è un toccasana.
Camminare a piedi nudi è un’abitudine salutare.
Per i bambini, poi, è indispensabile: attraverso il contatto dei piedi con il suolo, la pianta dei piedi viene stimolata e i bambini sviluppano la propriocettività, ovvero la capacità di riconoscere la posizione del corpo e lo stato di riposo o tensione dei muscoli senza utilizzare la vista. Similmente, camminare a piedi nudi permette il corretto sviluppo dell’arcata plantare, della cavità dei piedi e della postura (fonte: Humanitas Salute).
Camminare sui terreni propriocettivi, come l’erba, la terra e la sabbia, ovvero tutti quei terreni che hanno delle asperità, sono cedevoli, e pertanto mettono in difficoltà il piede, serve come momento di sviluppo corretto del piede, poiché potenzia i muscoli della gamba, che sono perlopiù cavizzanti, ovvero muscoli che favoriscono, attraverso inserzioni tendinee, il corretto sviluppo del piede.
In questi terreni, così come in casa, il consiglio è di lasciare, quando possibile, il bambino con i piedi scalzi, sempre pensando che la calzatura è una forzatura, e non è sempre indispensabile costringerli a indossarla (fonte: Ospedale Pediatrico Bambin Gesù).

Questo significa che dovremmo cercare – nei limiti di quanto ci è possibile – di permettere ai bambini  di camminare scalzi. L’estate è il momento migliore per cominciare: provate a casa, in terrazzo, in giardino, nei prati e sulla sabbia.
In realtà, il barefooting (questo il termine tecnico con cui si indica l’atto del camminare a piedi scalzi) non risulterà difficile per i bambini; loro sono portati naturalmente a camminare scalzi. È per noi adulti che è difficile accettare l’idea che i bambini camminino scalzi, perché contrasta con i nostri ideali di igiene e pulizia domestica.

BIBLIOGRAFIA
http://www.ospedalebambinogesu.it/a-piedi-nudi-sulla-sabbia
https://www.humanitasalute.it/in-salute/bambini/91472-camminare-a-piedi-scalzi-aiuta-lo-sviluppo-motorio-dei-bambini/
https://www.humanitasalute.it/in-salute/benessere-casa-e-lavoro/66872-camminare-a-piedi-nudi-pro-e-contro/

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Guardare il mare ci rende felici: è il potere degli “spazi blu”

il mare fa bene alla salute

Il mare è importante non solo per la salute fisica, ma anche per il benessere psicologico.
Le vacanze marine infatti sono un’occasione per rilassarsi e per rigenerare la mente, grazie al contatto con un ambiente naturale davvero speciale: lo spazio blu.

  • Nell’ultimo decennio i ricercatori si sono chiesti se gli spazi naturali esercitassero un effetto benefico sulla salute. In particolare, si sono concentrati sugli spazi verdi (boschi e prati) e sugli spazi blu (mare e specchi d’acqua).
  • Un’analisi condotta su 35 studi scientifici, guidata dai ricercatori del Barcelona Institute for Global Health, ha mostrato che interagire con gli spazi blu aveva un impatto positivo sulla salute mentale e sulla riduzione dello stress. Inoltre, vivere o trascorrere del tempo vicino a questi spazi è associato all’aumento dell’attività fisica, fattore che migliora il benessere e riduce il rischio di depressione.
  • Uno studio del 2018 condotto a Hong Kong ha mostrato che le persone che visitano con regolarità gli spazi blu nel tempo libero stanno meglio rispetto a quelle che non lo fanno. Inoltre, il rischio di depressione è ridotto.
  • La vista e il suono del mare contribuiscono alla serenità, una delle principali emozioni positive che generano il benessere; provate anche voi a passeggiare sul bagnasciuga in silenzio, immersi nel suono e nel movimento delle onde.
  • Infine, trascorrere del tempo al mare è un toccasana per il nostro stile di vita: la “vita da spiaggia” ci porta a staccarci dai dispositivi digitali ed è particolarmente benefica specialmente per i bambini, che possono trascorrere del tempo a contatto con la natura e con la possibilità di muoversi liberamente nello spazio.

Per concludere, è bene ricordare che queste evidenze scientifiche non sono legate esclusivamente alle vacanze marine: anche una giornata trascorsa in riva a un fiume o una passeggiata sulle rive di un lago permette di godere dei benefici psicologici che ci offrono gli spazi blu.

BIBLIOGRAFIA
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1438463917302699
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1353829218303745

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I due scalpellini e l’anello del re

i due scalpellini e l'anello del re

I DUE SCALPELLINI E L’ANELLO DEL RE

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’erano una volta due scalpellini che stavano tornando a casa dopo una lunga giornata di lavoro, percorrendo il sentiero lastricato di marmo che dal palazzo reale conduceva fuori dalle mura, nel
villaggio in cui abitavano. Il primo dei due, guardando le guglie del palazzo, sospirava: “Ah, se solo fossi nato in una famiglia nobile di questa città. E invece devo spaccare pietre tutti i giorni”. Il secondo, invece, stava
ammirando le venature dei blocchi di marmo lungo il sentiero.
“Guarda che meraviglia, amico mio! Questo marmo è così perfetto. E guarda come riflette la luce del Sole. Siamo davvero fortunati a vivere in questo mondo: ci sono tante meraviglie!”
“Contento tu” ribatté l’altro. “A me questo marmo fa solo venire un gran male ai piedi”.
E mentre il primo continuava a lamentarsi guardando con invidia il palazzo reale e le ricchezze dei nobili, l’altro continuava ad ammirare il sentiero.
Ad un tratto si fermò: “Cos’è questo” disse, chinandosi a raccogliere qualcosa lungo il sentiero. Era un piccolo anello d’oro, lavorato con grande abilità.
“Qualcuno deve averlo perso” disse il ragazzo al compagno.
“Dovremmo trovare il suo proprietario e restituirlo”.
“Cosa dici? Sei forse impazzito? Vai a venderlo al gioielliere: ricaverai tante monete da viverci per un anno, e potrai anche offrirmi da bere”.
Il ragazzo, però, non seguì il consiglio dell’amico: era certo che la cosa giusta fosse restituirlo al proprietario. E poi, probabilmente, restituendolo avrebbe ricevuto una giusta ricompensa. Il giorno seguente chiese alle guardie del palazzo se qualcuno avesse perso quell’anello e scoprì che apparteneva a una delle principesse. Fu ricevuto dal re in persona, che si inginocchiò ai suoi piedi e lo ringraziò.
“Era l’anello di mia moglie: la  regina lo donò alla nostra primogenita poco prima di morire. La principessa era sconvolta per la sua perdita. L’ho fatto cercare in ogni angolo del palazzo e finalmente lo abbiamo ritrovato.
Grazie figliolo. È una vera fortuna che sia stato tu a trovare l’anello: chiunque altro l’avrebbe tenuto per sé o l’avrebbe venduto. Tu invece l’hai restituito”.
“Era la cosa giusta da fare” rispose il giovane.
“Posso chiederti una cosa?” continuò il re. “Perché lo hai portato qui? Voglio dire, tu sei un umile scalpellino; quell’anello ti avrebbe reso ricco”.
“Maestà, ho trovato questo anello mentre ammiravo i riflessi del tramonto sul marmo dorato. Ho pensato che mentre io godevo di tanta bellezza qualcuno fosse disperato al pensiero di aver perso quel tesoro. Sarebbe stata una bella ingiustizia abbandonarlo alla sua angoscia; in fondo io sono già molto fortunato: a casa non manca mai nulla da mangiare e ogni giorno mi imbatto in qualcosa di meraviglioso. Ecco perché lo ho restituito”.
Il re comprese di avere davanti a se un saggio e lo ricompensò adeguatamente: gli diede in dono un palazzo nel quartiere dei nobili e  tre bauli pieni d’oro e di gemme preziose. Il ragazzo uscì dal palazzo, andò al cantiere, cercò il suo amico e gli disse: “Ieri mi hai detto che saresti voluto nascere in una famiglia nobile, non è così?”
“Sì, ma perché?” rispose l’altro.
“Perché sei fortunato. Ti ricordi l’anello che ho trovato ieri? Era del re, e mi ha donato un palazzo e tre bauli colmi di ricchezze. Se vuoi, ti lascerò tutto. Terrò soltanto un baule: per me è più che sufficiente. Il ragazzo accettò e lo scambio fu fatto. Si licenziò dai cantieri reali e cominciò a vivere come un nobile della città. Qualche tempo dopo, i due si incontrarono nuovamente.
“Allora” disse il primo, che aveva continuato a lavorare come scalpellino. “Sei felice della tua nuova vita?”
“Vorrei tanto esserlo” rispose l’altro, seccato. “Ma i nobili a corte non contano nulla. Ah, se solo fossi nato re: allora sì che sarei stato una persona importante”. Poi se ne andò. Lo scalpellino scosse la testa e tornò a casa, ammirando il tramonto che si rifletteva sul sentiero di marmo, gettando delle bellissime luci rosate sulle mura del palazzo.

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La leggenda dell’orchidea selvatica

la leggenda dell'orchidea selvatica

LA LEGGENDA DELL’ORCHIDEA SELVATICA

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta un’orchidea selvatica, nata e cresciuta tra le distese di muschio di un acquitrino in montagna. Conduceva una vita tranquilla, circondata dall’affetto dei suoi amici e dai racconti curiosi delle libellule di passaggio. Un giorno, l’orchidea selvatica fiorì. Lo fece in punta di piedi, senza clamore; ma tutti nell’acquitrino la guardarono con ammirazione.
“Come sei bella!” le ripetevano i muschi con i quali era cresciuta.
“E che fiore variopinto. Sembri una regina” aggiungevano gli sfagni, agitando le loro foglie filamentose.
L’orchidea era così felice di sentire l’affetto dei suoi amici e la loro ammirazione, che non avrebbe saputo desiderare di meglio. Faceva bella mostra del suo fiore dall’alba al tramonto, e aiutava come poteva tutti gli amici che avevano bisogno di lei.
Un giorno, arrivò all’acquitrino uno straniero: era un botanico. Tutti, dai muschi alle libellule, lo squadrarono con attenzione: aveva una lunga barba rossastra e indossava un gilet elegante e un paio di stivaloni impermeabili. Era giunto fin lì alla ricerca di nuove specie preziose, da condurre nella sua serra e da esporre al circolo degli scienziati.
Il botanico si accorse subito dell’orchidea selvatica ed esclamò: “Che rarità! Quale bellezza rara! Quest’orchidea è unica nel suo genere, non ne ho mai vista una simile sui libri. Perfino il re verrà nel mio giardino ad ammirarla. Mi nomineranno professore, ma che dico, cavaliere”. Purtroppo non aveva un contenitore adatto a trasportarla e tornò a casa di corsa per procurarsene uno, prima che qualcun altro passasse di lì.
Le piante dell’acquitrino avevano ascoltato le sue parole con attenzione e quando l’uomo si fu allontanato dissero all’orchidea: “Come sei fortunata! Presto entrerai nella serra di un botanico; perfino il re verrà a farti visita. Goditi la tua fortuna e non dimenticarti di noi”.
Ma l’orchidea non la pensava come loro e rispose, con il suo bel fiore rigato di lacrime: “Pensate che sia una fortuna trascorrere i propri giorni sotto una serra di vetro? Non capite molto della fortuna; la mia fortuna è vivere qui, nell’acquitrino, circondata da voi, che siete miei cari amici sin da quando siamo nati e che mi volete bene. Voi siete la mia famiglia, e non c’è re al mondo che possieda una fortuna simile”.
I muschi e gli sfagni ammutolirono.
Fu un sassolino, che non aveva mai parlato prima di quel giorno, a rompere il silenzio: “Davvero preferisci noi ad essere famosa?”
“Ma certo” rispose l’orchidea, con tono asciutto ma accorato.
“Possiamo aiutarti” bisbigliò il sassolino, poi chiamò a raccolta i muschi, le libellule e tutti gli altri abitanti dell’acquitrino e insieme misero a punto un piano.
Quando il botanico tornò col suo contenitore di vetro, l’orchidea era circondata da api, libellule, tafani, coleotteri e da migliaia di altri insetti che abitavano nei dintorni.
Non fece in tempo a tirar fuori dalla tasca un coltello per estrarre l’orchidea dal terreno che il sassolino gridò: “Avanti, amici dell’acquitrino! Salviamo la nostra amica”.
Le libellule dietro di lui balzarono avanti, seguite dalle api e dagli altri insetti: si gettarono sullo straniero e a suon di morsi e punture lo fecero fuggire a gambe levate. Non sarebbe mai più tornato.
L’orchidea, invece, poté continuare la sua bella vita insieme agli amici di sempre e anche se nessuno l’ha più vista, si dice che amore e amicizia l’abbiano resa sempre più bella.

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