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La felce e il suo fiore invisibile

la felce e il suo fiore invisibile

LA FELCE E IL SUO FIORE INVISIBILE

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta nel bosco una pianta invisibile: la felce. Nessuno, vegetale, animale o umano, riusciva a vederla: quando salutava qualcuno, quello scappava terrorizzato, scambiandola per un fantasma. All’inizio questa cosa divertì molto la felce, che si divertiva a spaventare gli abitanti del bosco. Presto, però, cominciò a sentirsi sola: non aveva nessuno con cui parlare e non aveva nessuno a cui mostrare il suo fiore, che era il più bello tra tutti i fiori della Terra.
Un giorno la felce chiamò il Bruco Mangianoia, per chiedere il suo aiuto.
“La mia vita è così triste signor bruco, nessuno mi vede e così non ho amici. Esiste una soluzione ai miei problemi?”
“Corro a cercarla. Non preoccuparti cara felce: se una soluzione non esiste, esisterà!”
Il bruco strisciò via fino alla tenda dell’Estate, a cercare un rimedio per quella pianta invisibile; aprì la grande madia di legno esotico che si trovava ai piedi del suo letto e cominciò a frugare all’interno. Riemerse dopo una lunga ricerca, con una piccola scatola d’argento piena di caramelle verdi. Le portò alla felce e le disse: “Mangia una di queste caramelle. Vedrai che prenderai un po’ di colore. La pianta fece come le era stato detto e presto le foglie si tinsero di un bel verde vivace.
“Grazie!” esclamò la felce guardando con ammirazione le sue nuove foglie. Quel giorno fermò tutti coloro che passarono di lì, fece amicizia con le altre piante e con gli uccellini del bosco e si sentì una pianta felice. Al tramonto, però, si accorse che il suo fiore era ancora invisibile.
L’indomani chiamò di nuovo il Bruco Mangianoia e gli chiese un rimedio anche per il suo fiore. Questa volta, però, non ci fu niente da fare. “Dovrai tenerlo così” disse il bruco scuotendo la sua testolina; “ognuno di noi ha una parte invisibile agli altri e quasi sempre è la parte migliore di noi. Prenditi cura del tuo fiore: è il tuo tesoro segreto”.
La felce disobbedì al bruco: se nessuno poteva vedere il suo fiore, non c’era motivo di faticare per lui. Così fece crescere tante foglie nuove e lasciò appassire il fiore. Al risveglio però, la felce scoprì che le sue foglie erano gialle e secche.
“Sto morendo!” pensò disperata e chiamò il Bruco Mangianoia per la terza volta.
“Ti avevo detto di prenderti cura del tuo fiore invisibile!” borbottò il bruco.
“Perché avrei dovuto? Nessuno riesce a vederlo” protestò la felce.
“Perché chi lascia morire una parte di sé fa morire anche il resto”.
La felce comprese il suo errore e il bruco le diede una medicina, per riprendere un po’ di vita.
Da quel giorno la felce si prende cura del suo fiore invisibile e – anche se noi, passeggiando nei boschi vediamo solo le sue foglie – è una pianta felice e piena di vita, perché sa di avere un tesoro che nessun altro al mondo possiede.

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La leggenda delle fragole

la leggenda delle fragole

La leggenda delle fragole

Alessia de Falco & Matteo Princivalle, Tratto da: L’Almanacco del Bruco Mangianoia

C’erano una volta due chiocciole, che vivevano insieme in una piccola casetta scavata in un ceppo ai piedi dell’Albero della Gioia. Un giorno le chiocciole si misero a litigare fra loro; quella con il guscio più grande, infatti, era convinta – anzi, certissima – di essere un maschio.
“Le chiocciole maschio sono più grandi delle chiocciole femmina, cara mia”.
La più piccola, dal canto suo, era certa del contrario: “È evidente che ti sbagli, le chiocciole femmina sono quelle con il guscio più grande, perché devono contenere le uova dei loro chiocciolini”.
La discussione andò per le lunghe e la chiocciola più piccola si impermalosì a tal punto che disse all’altra: “Non voglio più sentire una parola. Me ne vado”.
Detto questo, la chiocciola piccola strisciò fuori di casa, e scappò nel bosco. Mezz’ora dopo la porticina della casa era chiusa e la chiocciola grande era sola soletta nel grande – per una lumaca, s’intende – salotto.
Sulle prime la chiocciola grande fu contenta di essere rimasta sola; quando il Sole tramontò, però, cominciò a preoccuparsi per la sua amica.
“E se non trovasse niente da mangiare? Nel bosco ci sono soltanto aghi di pino e di abete, noi chiocciole non possiamo mangiarli. Morirà di fame”.
La chiocciola grande si preoccupò così tanto che uscì di casa, per cercare la sua amica. Nel bosco, però, non trovò nessuno.
Stava rientrando a casa quando vide nel prato il Bruco Mangianoia, di ritorno per cena.
“Signor Bruco” chiese trafelata la chiocciola, “ho litigato con la mia amica, la chiocciolina piccola e lei è scappata; adesso è da qualche parte nel bosco e ho paura che muoia di fame”.
“Vieni con me” disse il bruco alla chiocciola grande, “so chi può aiutarti”. I due strisciarono fino al confine del prato: lì, in una tenda elegante, abitava l’Estate. Il Bruco Mangianoia le spiegò cos’era successo e l’Estate diede alla chiocciola grande un piccolo sacchetto verde.
“Spargi questi semi sul limitare del bosco: nasceranno delle piccole piantine e i loro frutti saranno così dolci che la tua amica non potrà resistere! La chiocciola fece come le era stato detto: si armò di un lumicino e nel cuore della notte andò ad interrare quei semi minuscoli, poi tornò a riposare nella sua casetta.
La mattina seguente uscì alle prime luci dell’alba: sotto i primi alberi del bosco facevano capolino tante foglie verdi scure e tra le foglie scintillavano dei bellissimi frutti rossi: erano fragole e avevano un profumo davvero invitante. Tra le fragole c’era anche la chiocciola piccola, che faceva colazione.
“Ciao” la salutò la chiocciola grande, “Ero preoccupata per te sai? Non volevo farti scappare”.
Le due chiocciole si avvicinarono e si guardarono a lungo nei cornini; poi la chiocciola grande raccontò all’altra dell’Estate e di come, nel cuore della notte, avesse seminato le fragole per lei.
“Sei stata gentile” disse la chiocciola piccola ed abbracciò a lungo la sua amica; poi raccolsero insieme un cestino di fragole, tornarono a casa e fecero una bella scorpacciata.
Da quel giorno, nel sottobosco crescono le fragole selvatiche, rosse e dolci come l’amicizia.

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Vi è piaciuta questa leggenda? È tratta dal nostro Almanacco del Bruco Mangianoia: una raccolta di leggende sull’estate (illustrate a colori) ispirate ai principi dell’educazione positiva. Potete acquistarlo su AMAZON.

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La leggenda del glicine

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LA LEGGENDA DEL GLICINE

Alessia de Falco & Matteo Princivalle

C’era una volta una contadinella che si disperava per il suo aspetto. Il suo nome era Glicine e proprio non si piaceva: si riteneva così brutta che non riusciva nemmeno a guardare il suo volto riflesso nell’acqua del fiume. Glicine era una ragazza timida e gentile, lavorava nella fattoria dei suoi nonni e quando finiva di dare il fieno agli animali andava a piangere in riva al ruscello che attraversava i campi. Un giorno passò di lì il Bruco Mangianoia: stava portando dei semi di mais molto preziosi nei campi dell’Estate, che stava per arrivare.
Il Bruco sentì Glicine piangere e si avvicinò, per capire perché quella ragazza fosse così triste. “Cosa c’è che non va, piccola?” domandò. Non aveva mai rivolto la parola a un essere umano prima, perché le regole dei bruchi non lo permettevano, ma – si sa – aiutare una bambina in lacrime è molto più importante delle regole!
“Sono bruttissima!” si lamentò Glicine.
“Non è vero” obiettò il Bruco Mangianoia, ma comprese subito che le sue parole non sarebbero bastate.
“Guarda” disse a Glicine: proprio dove le lacrime della ragazza erano cadute per terra era spuntata una pianticella minuscola. “Dalle tue lacrime è nata questa pianta”.
La ragazza si chinò incuriosita: nella fattoria dei suoi nonni non aveva mai visto una pianta come quella.
“Prenditi cura di lei” raccomandò il bruco; “crescerà sicuramente qualcosa di speciale”.
Glicine si asciugò le lacrime e corse alla fattoria a prendere un secchio d’acqua per innaffiare la piantina; giorno dopo giorno la coltivò con amore: strappava le erbacce intorno a lei, le dava acqua e la proteggeva dagli insetti, dagli uccellini e perfino dal caldo.
La pianta crebbe in fretta e presto diventò più alta di Glicine; quando arrivò l’estate, i boccioli si schiusero e uscirono dei bellissimi fiori azzurri e violetti. Dai rami in fiore scese il Bruco Mangianoia e Glicine lo ringraziò: “Senza di te non mi sarei mai accorta di questa pianticella”.
“Succede sempre così: quando siamo tristi non ci accorgiamo che è dalle nostre lacrime che sbocciano i fiori più belli” le rispose il bruco, pensieroso; “Come ti chiami bambina?”
“Glicine, signor bruco”.
“Chiameremo così questa pianta: Glicine. Così, ogni volta che guarderai i suoi fiori, ti ricorderai che è grazie a te e al tuo lavoro che sono fioriti”.
Da quel giorno Glicine tornò a specchiarsi nell’acqua del fiume e il suo viso, incorniciato dai fiori del glicine, non le fece più paura né tristezza.

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Favole Sagge: quattro libri per insegnare l’intelligenza emotiva e la felicità

 

C’era una volta… il mondo delle fiabe. Sin dall’antichità le fiabe sono uno strumento efficace per educare i bambini (e non solo!) a comprendere il mondo. Dietro ogni fiaba si nascondono insegnamenti preziosi, quasi un “vaccino psicologico” per vivere in salute.
Pensiamo alle fiabe tradizionali: parlano di autonomia, dell’importanza di imparare a cavarsela da soli e di un mondo pieno di pericoli; sono fiabe nate dalla creatività della tradizione popolare quasi come un “kit di sopravvivenza”. Attraverso le parole delle fiabe non si impara soltanto a vivere, ma anche ad affrontare la vita con un abito mentale adatto.

Il mondo di oggi, tuttavia, è molto diverso da quello di un tempo: la vita è cambiata radicalmente, sopravvivere è più semplice per noi di quanto non lo fosse per i nostri antenati, eppure siamo ancora lontani da un’esistenza ideale. Nella nostra società sono presenti ingiustizie e disuguaglianze, oltre ad un’incapacità sostanziale di essere grati per ciò che abbiamo. Esistono favole per rimediare a questa situazione? Esistono favole per introdurre alla vita i bambini del ventunesimo secolo?

Quando abbiamo cominciato a raccogliere le “Favole sagge”, avevamo proprio questo obiettivo: produrre un “integratore psicologico” di educazione positiva, uno strumento leggero, colorato e appassionante per insegnare ai bambini i cardini di una vita felice. La felicità non dipende dai soldi (affermazione dimostrata scientificamente qui), ma dalla capacità di costruire e perseguire valori che ci guidino nella vita quotidiana, dalla capacità di esaltare le nostre virtù e di costruire delle reti sociali forti (intelligenza emotiva). Insomma, dipende da una serie di fattori che non troviamo nei racconti della tradizione. Le “Favole sagge” insegnano proprio questo ai loro piccoli lettori.

Le favole sagge

La collezione è formata da quattro volumi, che contengono 2 favole sagge ciascuno. Si tratta di piccoli albi illustrati, interamente a colori, in formato cartaceo. Scopriteli cliccando sulle copertine qui sotto:

favole sagge volume quattro

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Le api e i calabroni

i calabroni e le api

Le api e i calabroni

Esopo

C’era una volta un gruppo di calabroni che decise di ingannare le api per rubare il loro miele. I calabroni si avvicinarono all’alveare e cominciarono a gridare: “Andate via! Questo è il nostro miele e voi ce lo state rubando”.
Poi chiamarono una vespa come giudice. La vespa chiese agli altri animali di chi fosse l’alveare e tutti dissero: “Degli insetti gialli con le ali”.
Ma sia le api che i calabroni erano gialli e avevano le ali.
“Faremo così” disse la vespa: “Ciascuno di voi, api e calabroni, dovrà costruire un nuovo alveare. Chi costruirà l’alveare più simile a quello per cui state litigando, avrà ragione”.
Le api accettarono la proposta della vespa, mentre i calabroni se ne andarono borbottando: essi infatti erano soltanto dei ladruncoli e non sapevano costruire un alveare.
In questo modo la vespa scoprì chi era il vero proprietario dell’alveare e lo restituì alle api.

Questa favola insegna che la bravura va dimostrata coi fatti e non solo con le parole. 

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Perché le api hanno il pungiglione

Testo (a cura di): Alessia de Falco & Matteo Princivalle

Tanto tempo fa, quando gli uomini erano ancora amici della natura e degli animali, chiesero qualcosa di dolce al loro Creatore e lui mandò sulla Terra le api, perché producessero il miele e ne donassero un poco anche agli uomini. A quel tempo le api non avevano ancora il pungiglione.

Le api costruirono un alveare tra i rami di un albero. Vedendo l’alveare ricoperto di miele, gli uomini chiesero alle api: “Possiamo assaggiare un po’ del vostro miele?”, e le api offrirono a ciascuno un po’ del loro dolce nettare. Il miele piacque moltissimo agli uomini, che tornarono dalle api chiedendo: “Potremmo averne ancora un poco?”. Le api non avevano più miele e chiesero aiuto al loro Creatore. Lui mandò sulla terra i fiori, perché producessero il polline.

Grazie al polline, le api costruirono alveari più grandi e fabbricarono molto più miele. Quando gli uomini tornarono da loro, le api consegnarono a ciascuno un intero vaso pieno di miele. Anche questa volta, gli uomini divorarono il miele, poi tornarono dalle api chiedendone ancora.

“Non possiamo fare altro miele, non c’è più polline”.
Gli uomini chiesero ai fiori di produrre altro polline.
“Non possiamo fare altro polline, dovrete aspettare la primavera”.
Gli uomini infuriati calpestarono i fiori, poi distrussero l’alveare, scacciarono le api a bastonate e rubarono il poco miele che era rimasto all’interno, il miele che le api avevano messo da parte per sopravvivere all’inverno.

Ferite e senza casa, le api volarono infuriate dal Creatore, per chiedere aiuto. Anche il Creatore era molto deluso dal comportamento degli uomini e aiutò le api, facendo crescere un cespuglio di rovi intorno all’alveare distrutto. Le api mangiarono i fiori del rovo e crebbe loro un pungiglione affilato e velenoso, poi ricostruirono l’alveare.
Qualche tempo dopo, gli uomini stavano camminando tra i boschi quando videro l’alveare tra i rami. Pensando che ci fosse altro miele, si avvicinarono, ma questa volta le api sciamarono fuori dalla loro casa e attaccarono gli uomini con i propri pungiglioni, ferendoli e scacciandoli.
Da quel giorno gli uomini trattano le api con rispetto e le api aspettano che gli uomini tornino ad essere quelli di un tempo.

perché le api hanno il pungiglione

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