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Il modo migliore per crescere bambini sereni è crescerli nell’amore

Il benessere dei bambini è nelle nostre mani. Oggi sentiamo parlare spesso di educazione emotiva, educazione al rispetto e all’affettività; eppure, in tutti questi interventi – ciascuno dei quali ha una sua utilità – manca una dimensione globale: quella del benessere. Educare i bambini al benessere significa bilanciare all’interno del processo educativo tutte le dimensioni che compongono il benessere. Infatti, per essere felici non basta provare emozioni positive, né bastano i successi scolastici o professionali: il benessere nasce dall’intersezione di numerosi fattori.
Come possiamo fare? Ecco qualche elemento chiave per educare i bambini al benessere:

  • insegna la gratitudine; ogni giorno, cerca insieme ai tuoi bambini qualcosa di bello a cui essere grata/o (può essere una cena particolarmente gradita, un bel tramonto, un piccolo successo scolastico etc.);
  • insisti sull’importanza di dare un senso alla propria vita; uno degli elementi più importanti per stare bene è trovare una “missione”, avere uno scopo che guidi le nostre azioni e che sia più grande di noi;
  • non demonizzare i successi; raggiungere i propri obiettivi (scolastici, sportivi o di altro tipo) non è un male; l’eccellenza deve essere riconosciuta e valorizzata; l’importante è insegnare ai bambini che il modo migliore per raggiungere l’eccellenza non è ricercare l’eccellenza ma fare, sperimentare e riprovare dopo gli insuccessi (come insegna la storia della lezione di ceramica);
  • coltiva i tuoi interessi e permetti ai bambini di coltivare i propri; chi si impegna in qualcosa che lo interessa, sperimenta un senso di profondo benessere; attenzione però che l’interesse non si trasformi in dipendenza, come avviene, spesso, con i videogiochi;
  • lascia che i bambini costruiscano relazioni positive; la famiglia è il primo grande modello di relazioni positive; genitori, nonni, zii e amici di famiglia permettono ai bambini di relazionarsi con altri adulti e di stringere i primi legami affettivi.

Questi cinque spunti si possono sintetizzare in una massima: cresci i bambini nell’amore. Se offrirai loro una casa che è anche un luogo sicuro, se parlerai loro con affetto, dedicandogli un po’ di tempo – in esclusiva – ogni giorno, sarà più facile per loro trovare il benessere.

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L’amore è fatto di micro-momenti: impariamo a cercarlo nelle piccole cose

Nell’ultimo decennio lo studio delle emozioni è letteralmente esploso: centinaia di studiosi hanno cercato di comprendere la natura delle emozioni, la loro funzione e le modalità attraverso le quali possiamo governarle al meglio. La scoperta più importante è quella legata alla brevità delle emozioni: un’emozione non dura a lungo nel tempo; possiamo sperimentarla per qualche secondo o al più per qualche minuto. Nessuna emozione dura giorni o settimane. Questa scoperta ha letteralmente rivoluzionato il campo del pensiero positivo e della felicità. Daniel Kahneman ha evidenziato nelle sue ricerche come il ricordo che abbiamo delle nostre esperienze passate si basa su brevi momenti, della durata di qualche secondo. Il nostro cervello li organizza in eventi positivi, negativi e neutri e tiene memoria soltanto di quelli positivi e negativi, dimenticando quelli neutri.
In un’intervista rilasciata per la rivista Greater Good Magazine dell’Università di Berkeley, la dottoressa Barbara Fredrickson ha suggerito di applicare lo stesso principio dei micro-momenti emotivi alla vita in famiglia. L’amore, secondo la scienza, è molto diverso da quello romantico dell’immaginario collettivo: è un’emozione intensa e meravigliosa, ma ha vita breve. Anzi, brevissima!
Per trasmettere l’amore ai nostri bambini, dobbiamo imparare a cogliere l’attimo: l’amore nasce da un abbraccio, da uno sguardo pieno di calore e da un applauso durante una recita.
Quando viviamo uno di questi momenti, nel nostro cervello e in quello dei bambini si stabilisce una sorta di sincronia neurale: grazie ad una serie complessa di alterazioni biochimiche (in particolare, questi momenti di amore condiviso producono un incremento nella produzione di ossitocina), riusciamo a connetterci, diventiamo simili. L’effetto, secondo la Fredrickson, è la risonanza positiva: una condizione altamente benefica sia per i grandi che per i piccoli. Se riusciamo a stabilire una risonanza positiva, le nostre vite miglioreranno, dal punto di vista del benessere e della crescita personale.
Non dobbiamo dimenticare che le emozioni positive, ancor più che al benessere, sono legate alla crescita: quando le sperimentiamo, il nostro cervello si apre al mondo, è pronto per imparare.
Come possiamo coltivare questi momenti di amore e stabilire una risonanza positiva? Fortunatamente, i ricercatori hanno scoperto che non servono chissà quali prerequisiti: è sufficiente che grandi e bambini vivano in un ambiente sicuro e che ci sia un rapporto diretto (quindi bisogna essere in contatto, faccia a faccia, non dietro uno schermo). Ogni giorno abbiamo numerose occasioni per coltivare l’amore: basta prestare attenzione e cercarne qualcuna. Come abbiamo detto, si tratta di momenti fugaci: per questo è essenziale la presenza mentale, la capacità di cogliere l’attimo. Un sorriso reciproco, un bacio o un abbraccio sono tre esempi significativi.
Qual è la portata innovativa di queste scoperte? Rispetto a quanto si pensava in passato e al sentire comune, ci aiutano a collocare l’amore in una dimensione più umana. Chiedere a una mamma o ad un papà di coltivare l’amore e di dedicare la propria attenzione – in via esclusiva – ai propri bambini 24 ore su 24 non è realistico ma, soprattutto, rischia di innescare dei sensi di colpa, di generare frustrazione. Queste ricerche ci riportano con i piedi per terra: l’amore è questione di minuti, di un piccolo numero di occasioni quotidiane. Non serve essere supereroi per amare. Basta imparare ad apprezzare la vita e a cogliere l’attimo.
La nostra speranza è che questo messaggio sia di aiuto per i giovani genitori e che possa aiutare mamme e papà a vivere meglio – facendo pace con l’ansia di non fare abbastanza – e ad apprezzare questi micro-momenti.

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Il sorriso è lo strumento più potente per educare

Un antico proverbio dice: “Non devi passare il ponte, prima di raggiungerlo”.
Significa che non dobbiamo sempre focalizzarci sulle aspettative, ma serve piuttosto imparare a vedersi nel presente. Ogni giorno, con le nostre azioni, lasciamo delle tracce e trasmettiamo messaggi. Chi ci circonda viene influenzato dai gesti che compiamo adesso, non dai buoni propositi per il futuro.
Traduciamo in termini pedagogici questa riflessione: serve a poco dibattere sui metodi, se non ci sforziamo di dare l’esempio. In famiglia vale una regola d’oro che bisognerebbe sempre tenere a mente: “Siamo quello che facciamo ora, non quello che faremo poi”. Dove “poi” sta per un domani, forse, in futuro, mai.
Questa frase, nella pratica quotidiana, si riflette sul rapporto genitori-figli: i bambini ci osservano ed apprendono da noi sia ciò che trasmettiamo consapevolmente, sia quello che invece gli comunichiamo senza rifletterci. Focalizziamoci sul fatto che, nel difficile compito di essere genitori, siamo coinvolti in un processo continuo di insegnamento ed apprendimento simultaneo.
Lo psicologo svizzero Jean Piaget aveva evidenziato nei suoi studi sullo sviluppo cognitivo come in realtà già intorno ai due mesi di vita i neonati sappiano rispondere per imitazione. Di fronte a queste piccole spugne, materia da plasmare, abbiamo una responsabilità enorme.
Pensiamo alla nostra vita di tutti i giorni e chiediamoci:

  • Come parlo con mio figlio?
  • Che gesti compio?
  • Cosa gli insegno con i miei comportamenti?

Siamo ciò che le nostre azioni dicono di noi, le intenzioni sono solo decorazioni. Se urliamo per avere rispetto, urleranno anche i bambini per ottenere qualcosa. Se anziché ascoltarli perdiamo tempo su internet, magari anche a leggere gli articoli su quanto sono dannosi gli smartphone, crescendo si isoleranno con i videogiochi e le chat.
Il problema è che oggi i genitori per primi sono bombardati da articoli, consigli, suggerimenti su ciò che è meglio fare. Ma ci dimentichiamo il punto fondamentale. Mentre stiamo leggendo sul web le teorie educative più all’avanguardia, qualcuno ci sta guardando in attesa di ascolto. Siamo un modello, in tutto e per tutto, anche quando non ci pensiamo. Via il tablet, mettiamoci accanto al bambino e parliamo.
Abbiamo detto che il miglior metodo, se esiste davvero un metodo per educare i figli, è essere un buon esempio. Non possiamo pretendere il rispetto delle regole, se noi per primi le infrangiamo. Spesso però capita che i bambini inneschino un comportamento opposto: imitano “al contrario”, per attirare l’attenzione o suscitare una risposta negativa da parte nostra. Che fare, dato che la prima reazione potrebbe a nostra volta essere negativa e quindi di cattivo esempio?
Siamo tutti affascinati dalle aspettative per il futuro e non è un male, perché ci ispirano a inseguire nel presente i nostri obiettivi. Questo vale anche per i bambini. Solitamente ci si proietta in un percorso educativo dandosi degli obiettivi: sarò poco ansioso, sarò ferreo nelle regole, sarò empatico. Il problema nasce quando, stilata la wish list dei buoni propositi, ci troviamo di fronte alla realtà. Stanchezza, stress di grandi e piccini, non ci aiutano ad essere sempre l’esempio che vorremmo. Non colpevolizziamoci e, piuttosto, cerchiamo una strategia alternativa.
Vi ricordate l’ultima volta che avete riso di gusto? O anche solo sorriso?
Ecco, parti da qui. Come un  esempio imperfetto – tutti noi lo siamo – ricorda di metterti in gioco e di sorridere alla vita. Molto spesso, come genitori, siamo concentrati sulle cose contingenti, siamo imbronciati e nervosi. Il valore di un sorriso, di fronte a un figlio, un amico, la vita stessa, è il miglior insegnamento che possiamo dare: contagioso come uno sbadiglio, è gratis e ci fa stare bene.
Domani guardate i bambini e sorridete. Ripetete loro: «Fai come me».
È il primo esempio: tutti gli altri verranno di conseguenza.

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Il pensiero positivo si può imparare: trasmettiamolo ai bambini

Avete presente quelle persone che sanno donarvi gioia e allegria anche nei momenti più bui? Non sono certo stregoni o sciamani, ma individui che hanno saputo valorizzare la loro energia positiva.
Del potere di un ambiente positivo intorno a noi, anche in fase di apprendimento, ne abbiamo parlato di recente, a proposito della warm cognition: quando proviamo emozioni positive si impara di più e meglio.
Già negli Anni Settanta il padre della psicologia positiva Martin Seligman ci ricordava che il 60 per cento della felicità è determinata dai nostri geni e dall’ambiente, il restante 40 per cento dipende da noi e dalla prospettiva con cui viviamo le nostre esperienze quotidiane.
Pensare positivo aiuta chi è intorno a noi ad essere più positivo: la felicità è insomma contagiosa. Per noi il pensiero positivo è parte integrante dell’educazione: serve a insegnare la resilienza, il problem solving e, diciamocelo, con il sorriso i problemi non si risolvono prima ma, prima o poi, si risolvono. Per insegnare il pensiero positivo è importante lavorare su noi stessi, con micro allenamenti quotidiani.

Tre esercizi per sviluppare il pensiero positivo

  • Regaliamo un sorriso: Lo avevamo scritto nell’articolo sul metodo del sorriso e qui lo ribadiamo: il sorriso è un dono prezioso che non costa nulla, ma che è davvero importante per migliorare la vita degli altri.
  • Andate dove avete deciso di stare: La felicità di una persona si misura anche in base alla corrispondenza tra i suoi desideri e la capacità di realizzarli. Chi riesce a trasmettere energia positiva agli altri probabilmente ha saputo raggiungere un traguardo importante nella sua vita. Proviamo a chiederci dove vorremmo davvero arrivare e come possiamo arrivare alla meta.
  • Prendetevi cura di corpo e mente: La salute è il risultato di ciò che facciamo ogni giorno in modo positivo, prendendoci cura del nostro corpo e della nostra mente. Proviamo a mettere in pratica buone abitudini, ricordando sempre la massima Mens sana in corpore sano.

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La nostra autostima è come un albero

In uno dei nostri articoli abbiamo parlato della differenza tra autostima e sicurezza in se stessi, ovvero di un concetto sottile ma molto importante nei processi educativi. Autostima e fiducia in se stessi sono stati rappresentati con una metafora significativa: quella dell’albero.
Nella metafora dell’albero, la chioma rappresenta la fiducia in se stessi, ovvero ciò che gli altri vedono di noi. L’autostima, invece, è rappresentata dalle radici: invisibili agli occhi, sono l’organo fondamentale per procurare all’albero i nutrimenti di cui ha bisogno, permettendogli di crescere bene.

J. Alexander, Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia, Newton & Compton, 2018

Ma cosa succede se la chioma è folta e le radici al contrario sono atrofiche? L’albero rischia di essere sradicato e abbattuto alla prima raffica di vento. Questo è il caso delle persone che hanno una grande fiducia in se stesse ma la cui autostima è fragile: di fronte a un trauma o ad una sconfitta, rischiano di essere trascinate a picco. Autostima e fiducia in se stessi devono essere in equilibrio tra loro.

Per analizzare i due concetti di cui abbiamo parlato, vi proponiamo un esercizio di focalizzazione e visualizzazione, l’albero dell’autostima. Ecco come procedere:

  • Disegnate il vostro albero dell’autostima;
  • Colorate l’albero;
  • Mentre colorate, pensate alle parole con cui potreste descrivere il vostro grado di fiducia in voi stessi;
  • Annotatele ai margini della chioma;
  • Adesso pensate alle parole con cui potreste descrivere la vostra autostima;
  • Annotalele ai margini delle radici.

Che albero avete realizzato? Le annotazioni intorno alla chioma e quelle intorno alle radici sono in equilibrio? Sono tante o poche?

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Educare non vuol dire servire il bambino, ma insegnargli a fare da solo

Chi non comprende che insegnare a un bambino a mangiare, a lavarsi, a vestirsi, è lavoro ben più lungo, difficile e paziente che non imboccarlo, lavarlo e vestirlo? Il primo è il lavoro nobile dell’educatore, il secondo il lavoro inferiore e facile del servo” (M. Montessori, La scoperta del bambino)
E voi, vi sentite servi o educatori? Purtroppo è facile cedere alla lusinga del servizio. Eppure, è proprio servire i bambini che inibisce la loro felicità (e ce ne rendiamo conto pienamente). Sempre la Montessori scrisse: “È certo che per il bambino l’attitudine al lavoro rappresenta un istinto vitale, perché senza lavoro non si può organizzare la personalità, […] l’uomo si costruisce lavorando. […] effettuando lavori manuali in cui la mano è lo strumento della personalità, l’organo dell’intelligenza e della volontà individuale, che edifica la propria esistenza di fronte all’ambiente. L’istinto dei bambini conferma che il lavoro è una tendenza intrinseca della natura umana, l’istinto caratteristico della specie” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia).
Questo lavorio comincia dalla sfera dell’autonomia: lavora il bambino che si lava i denti, quello che rimbocca le coperte la mattina e quello che dispone i giocattoli sulla sua scrivania. Ecco i primi “lavori” infantili: piccole azioni che insegnano ai bambini che sono artefici della propria vita, padroni (rispettosi) del mondo. È attraverso questo viaggio interiore che si edificano le fondamenta di una vita gioiosa, perché non c’è gioia senza lavoro e non c’è lavoro senza autonomia.

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