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Perché cadono le foglie in autunno?

Vi siete mai chiesti perché cadono le foglie in autunno?

Perché cadono le foglie?

Prima di cominciare dobbiamo precisare che non tutte le piante perdono le foglie, ma solo le piante caducifoglie. Esistono anche piante sempreverdi, le cui foglie rimangono attaccate ai rami tutto l’anno.

La caduta delle foglie è un meccanismo di difesa: il gelo invernale, infatti, distruggerebbe le cellule delle foglie, facendole marcire e facendo ammalare la pianta.

Inoltre, la caduta delle foglie permette alla pianta di sopravvivere con una quantità molto inferiore di linfa: questo meccanismo è simile al letargo e permette agli alberi di superare l’inverno.

La caduta delle foglie è utile non solo alla sopravvivenza della pianta, ma all’intero ecosistema: una volta a terra, le foglie vengono trasformate in humus da muffe, batteri e funghi. L’humus è una sostanza ricca di elementi nutritivi che rende fertile il terreno e permette la vita di animali e vegetali.

Come avviene la caduta delle foglie

La caduta delle foglie è un processo complesso e sofisticato. Per cominciare, la pianta produce un sottile strato di sughero tra il ramo e il picciolo che sorregge la foglia, separando queste due parti. Questo strato è perfettamente impermeabile e impedisce l’ingresso a muffe e batteri, che altrimenti potrebbero far ammalare la pianta.

Quando lo strato di sughero è formato, la linfa smette di passare nella foglia, che cambia colore e secca. A questo punto sono il vento e le piogge autunnali a causare il distacco della foglia dalla pianta.

Perché le foglie dei sempreverdi non cadono?

In realtà cadono anche le foglie delle piante sempreverdi (come pini e abeti), ma vengono subito sostituite da nuove foglie. Queste piante, a differenza delle caducifoglie, sono attive tutto l’anno, anche durante l’inverno.

Come è possibile? Per cominciare, le foglie delle piante sempreverdi hanno una superficie molto ridotta rispetto alle altre, quindi hanno bisogno di meno luce per compiere la fotosintesi clorofilliana: in questo modo riescono a fare la fotosintesi anche d’inverno, quando le ore di luce sono poche. Inoltre, le foglie dei sempreverdi sono rivestite da uno strato protettivo simile a cera, che le protegge dal freddo invernale.

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Tag: perché cadono le foglie, perché in autunno cadono le foglie

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Nomi comuni e nomi propri

I nomi possono essere nomi comuni o nomi propri.

  • Il nome comune indicano persone, animali e cose generici, dei quali ne esiste un gran numero.
    Esempio: “fiore”, “cane”, “bambino”, “papà” sono nomi comuni.
  • Il nome proprio, invece, si riferisce in modo specifico ad una persona, ad un animale o a una cosa, distinguendola dagli altri.
    Esempio: “Luca”, “Fido” sono nomi propri.
  • I nomi propri si riconoscono da quelli comuni perché sono scritti sempre con la prima lettera maiuscola. Seguendo questa regola, è impossibile sbagliare.
  • Davanti ad un nome proprio solitamente non si usa l’articolo.
    Esempio: si scrive “Luca è mio amico” e non “Il Luca è mio amico”. Questa seconda forma è scorretta in italiano.
  • I nomi propri che incontriamo più spesso sono quelli di persona: ciascuno di noi ha un nome proprio! Ma anche gli animali possono avere un nome proprio e perfino le cose: i nomi di città, dei fiumi o delle montagne sono nomi propri di cosa.
    Esempio: “Pianura Padana”, “Monte Rosa”, “Adige” sono nomi propri di cosa.
  • I nomi comuni di persona possono trarre in inganno: essi sono parole come “bambino”, “papà”, “operaio”, “mercante”, “anziano”, che indicano una determinata categoria di persone (a ciascuna categoria appartengono numerose persone diverse).
  • Per approfondire vi consigliamo di leggere le pagine della grammatica dedicate a nomi comuni e nomi propri curate da Treccani (le trovate qui e qui).

Nomi comuni e propri

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Tag: schede didattiche sui nomi comuni e propri, esercizi sui nomi comuni e propri

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Nomi concreti e nomi astratti

I nomi possono essere nomi concreti o nomi astratti.

  • I nomi concreti si riferiscono a tutto ciò (persone, animali e cose) che si può vedere, toccare o comunque si può riconoscere attraverso i cinque sensi.
    Esempio: “pesce” è un nome concreto, perché possiamo vederlo e toccarlo. Si tratta di un animale fisico che esiste nella realtà intorno a noi. Anche “martello”, “casa”, “mamma” e “polvere” sono nomi concreti.
  • I nomi astratti si riferiscono a tutto ciò che esiste ma che non si può vedere, toccare, annusare o percepire coi sensi.
    Esempio: “tristezza” è un nome astratto perché si tratta di un’emozione. Possiamo provare la tristezza, ma non si tratta di un oggetto concreto, bensì di uno stato d’animo legato ai nostri pensieri.
    Anche “tempo”, “stanchezza”, “matematica” e “libertà” sono nomi astratti: essi infatti si riferiscono a qualcosa che esiste e che non percepiamo attraverso i sensi, ma attraverso il nostro pensiero. Possiamo pensare alla matematica ma non possiamo certamente toccarla!
  • Nell’analisi grammaticale del nome bisogna sempre indicare se il nome analizzato è un nome concreto o astratto.
  • Alcuni nomi, tuttavia, possono trasformarsi da concreti ad astratti a seconda del loro significato.
    Esempio: “Butta via quel nocciolo di pesca”. In questo caso, “nocciolo” indica una precisa parte della pesca ed è un nome concreto.
    Esempio: “Il nocciolo della questione è che sei un ingenuo”. In questo caso, invece, “nocciolo” è un nome astratto che identifica l’elemento centrale della questione.
  • Non è sempre semplice classificare un nome come concreto o astratto. Esistono molti casi al limite, come evidenzia anche la grammatica italiana Treccani (qui l’approfondimento). Questo richiede una certa flessibilità nello svolgimento e nella correzione degli esercizi.

Nomi concreti e nomi astratti

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I bambini hanno bisogno di regole, non di divieti

Quando educhiamo, capita di stabilire delle regole e di imporre dei divieti. Si tratta di due azioni necessarie, ma molto diverse fra loro. Ci avete mai pensato?

Una regola ci dice come dobbiamo comportarci in una determinata situazione. Rispettando la regola, avremo la certezza di esserci comportati nel modo migliore.

La regola: “non parlare se qualcun altro sta parlando” indica con precisione come si deve comportare il bambino in una determinata circostanza (quella in cui ci sia già qualcun altro che sta parlando). La regola potrebbe continuare così: “se vuoi parlare, alza la mano”, diventando ancora più utile per indirizzare al meglio il comportamento del piccolo.

Le regole danno sicurezza al bambino, liberandolo dall’incertezza e indicandogli come agire in modo rispettoso e composto. Ogni famiglia, così come ogni classe, dovrebbe avere delle regole condivise da tutti i suoi membri.

Perché le regole siano efficaci devono essere: concrete, specifiche, univoche e realizzabili.

Un divieto, al contrario, ci intima di non fare una cosa. Tuttavia, non ci offre alcuna certezza su come dovremmo comportarci.

Il divieto “non urlare” è di ben poco aiuto al bambino in classe: può parlare con il suo tono di voce normale? Può parlare con chiunque? E se la persona con cui parla non lo sente? Può parlare se qualcun altro sta già parlando? Come vedete si tratta di un divieto confuso, che rischia di essere ignorato senza cattiveria, ma poiché incomprensibile.

I divieti non danno sicurezza: possono essere utili per evitare alcuni comportamenti pericolosi, ma in linea di massima dovremmo cercare di evitarli o quantomeno di limitarli allo stretto indispensabile (ad esempio: “non sporgerti dalla finestra” o “non avvicinarti al fuoco quand’è acceso”).

Spesso i divieti scatenano piccoli conflitti: se riprendiamo un bambino dicendogli “non saltare sul letto”, è assai probabile che il piccolo scenda e torni a saltare sul sofà. Dal suo punto di vista ha rispettato il divieto, ma dal nostro?

È per questa ragione ci piace affermare che i bambini hanno bisogno di regole, non di divieti. La maggior parte dei divieti che stabiliamo in campo educativo si potrebbero sostuire con delle regole, ottenendo un risultato ben più soddisfacente.

E voi, prediligete le regole o i divieti? Avete le vostre “regole della casa” o delle “regole di classe”? In caso contrario perché non provate a lavorarci, realizzando un bel decalogo da appendere sulla porta? In questo modo costruirete una nuova – buona – abitudine educativa.

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L’asino che voleva cambiare lavoro

L’asino che voleva cambiare lavoro è una favola di Esopo adatta ai bambini dai 6 anni in su.

L’asino che voleva cambiare lavoro

C’era una volta un asino che lavorava per il contadino. Un giorno l’asino, stufo di trasportare cesti pieni di verdura andò a protestare con Zeus.
«Il contadino mi dà troppo lavoro. Per favore, mandami a lavorare da qualcun altro.»
Zeus ascoltò la preghiera dell’asino e lo assegnò a un fabbricante di vasi. Ma l’asino si accorse – a sue spese –  che i vasi pesavano più della verdura e dopo qualche settimana tornò da Zeus.
«Il mio nuovo lavoro è troppo pesante. Ti prego, mandami a lavorare da qualcun altro.»
Zeus ascoltò la preghiera dell’asino e lo mandò a lavorare dal venditore di pelli. Questa volta l’asino scoprì che le pelli di cuoio pesavano ancor più dei vasi. 
Provò a protestare con Zeus ma il venditore di pelli, che lo aveva sentito, gli disse: «Bada pigrone, che appena smetterai di lavorare, venderò anche la tua di pelle!»

Morale: Chi cambia vita per lavorare meno rimpiengerà presto quella di prima.

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Cinque consigli per una famiglia felice

Essere genitori è difficile e ci pone di fronte a nuove sfide ogni giorno. Come possiamo affrontarle al meglio? Ecco cinque piccoli consigli per ridarvi la carica.

1 – Ripensate alla vostra infanzia

Vi siete mai chiesti: cosa mi piaceva fare da bambino? Cosa mi sarebbe piaciuto fare insieme ai miei genitori? Tutti i grandi sono stati bambini, ma pochi di essi se ne ricordano: questa massima de “Il piccolo principe” nasconde una grande lezione educativa per tutti noi. Non possiamo diventare dei genitori perfetti, ma con un piccolo sforzo possiamo senz’altro diventare i genitori che avremmo voluto da piccoli!

2- Lasciate un’impronta positiva

Molti genitori non riescono a trascorrere con i propri figli tutto il tempo che vorrebbero, ma questo non è importante: quel che conta è lasciare ai bambini un bagaglio di memorie positive. Per costruirlo, sarà sufficiente ascoltare le richieste dei bambini: a cosa vogliono giocare? Cosa vorrebbero fare? Provate ad assecondarli, anche solo per 15 minuti al giorno. Questi momenti positivi diventeranno parte del loro bagaglio di memorie e li accompagneranno per tutta la vita.

3 – Tenete un diario della gratitudine

Il diario della gratitudine è uno strumento semplice, economico, efficace e alla portata di tutti. Nella sua forma più semplice si tratta di un quaderno su cui annotare periodicamente (da un paio di volte alla settimana fino a una volta al giorno) tre cose per le quali siamo grate/i alla vita. Se siete interessati ad approfondire questo argomento, abbiamo realizzato una guida alla creazione e all’utilizzo del diario della gratitudine.

4 – Praticate l’empatia

L’empatia è fondamentale nelle relazioni familiari e educative. Ascoltate con attenzione i bisogni dei vostri bambini e del vostro partner, non giudicateli, abbiate fiducia in loro, cercate di controllare il panico se qualcosa non va secondo i piani e soprattutto, siate sempre disponibili (il che è ben diverso dall’essere sempre a disposizione!).

5 – Imparate a prendervi una pausa

Nonostante le migliori intenzioni, può capitare che qualcosa vada storto. Se vi capita di discutere, litigare o trovarvi in disaccordo, niente paura: è normale ed è giusto così. Tuttavia, in questi casi di solito è la rabbia a prendere il sopravvento. Provate invece a prendervi una pausa: allontanatevi in un’altra stanza per 10 o 15 minuti e approfittate di questo momento prezioso di solitudine per liberare la mente. Poi tornate indietro e riprendete il confronto con calma.

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Fonti: https://greatergood.berkeley.edu/article/item/five_coparenting_tips_for_stressed_out_dads

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