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I BAMBINI E LA MORTE

Lavorare sulle emozioni non significa solo abbracciarsi e parlare insieme. Per essere efficaci, bisogna guardare al mondo delle emozioni nella sua complessità, senza trascurare le emozioni negative. Un esempio tipico è quello della morte: quanti programmi di educazione emotiva dedicano uno spazio alla morte? Eppure, tra gli eventi che ci riguardano, la morte è uno di quelli più intensi dal punto di vista delle emozioni.

A questo proposito, vogliamo riportare l’esperienza scolastica danese. In Danimarca, in linea con il principio di Autenticità, non si fa mistero della morte ai bambini. Al contrario, è uno dei temi che vengono affrontati a scuola. Ecco cosa ci racconta Jessica Joelle Alexander ne “Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia“:

La morte di qualcuno che fa parte dell’ambiente scolastico in modo più o meno diretto – può essere un insegnante, un collega, il parente di un alunno – si affronta in maniera molto diretta e ben strutturata. 
I bambini che entrano in contatto con la morte vengono sostenuti moltissimo. Esistono diversi protocolli a seconda della situazione cui devono rispondere e del livello di gravità, in modo che la scuola sia sempre preparata a ogni evenienza. C’è un protocollo che stabilisce anche come e quando parlare alla classe se qualcuno muore, per dare modo a tutti di esprimere le proprie emozioni, grandi o piccole che siano.
In particolare gli insegnanti prestano particolare attenzione a rintracciare eventuali sensi di colpa nei bambini, poiché si tratta di una reazione piuttosto frequente. 
Ci sono anche altre fasi importanti, dopo il funerale, dedicata a “ricordare di ricordarsi” chi non c’è più. I ragazzi sono invitati, ad esempio, a stabilire giornate speciali in cui commemorare la persona che se n’è andata o andare a visitare la sua tomba, oltre che a condividere e discutere temi complessi quali la tristezza, la perdita o il senso della vita“.

Accanto a questi protocolli scolastici, che vengono supervisionati e progettati con l’aiuto di psicologi specializzati, in Danimarca si fa un grande uso delle storie per affrontare il tema della morte. Ne avevamo già parlato a proposito dell’autenticità nelle fiabe danesi (basti pensare alla “Piccola fiammiferaia” di Andersen).

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IL GIOCO DEL SILENZIO

Il gioco del silenzio è uno dei giochi più conosciuti e utilizzati nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie di tutto il mondo. Un tempo, il gioco del silenzio veniva proposto con l’obiettivo di educare i bambini all’ascolto e alla disciplina. Con una funzione simile lo troviamo anche nella proposta pedagogica montessoriana (ne abbiamo parlato nel nostro articolo sul silenzio secondo Maria Montessori). Tuttavia, se viene proposto in modo corretto, oltre a produrre silenzio riesce anche a coinvolgere i ragazzi.

IL GIOCO DEL SILENZIO: REGOLE

  • Si sceglie un bambino che si disporrà alla lavagna e prenderà un gessetto o un altro piccolo oggetto (una moneta va benissimo). Il bambino, poi, nasconderà l’oggetto in una mano, tenendola ben chiusa;
  • tutti i partecipanti devono osservare il massimo silenzio; trascorsi circa 15-20 secondi, il bambino sceglierà il più silenzioso tra i suoi compagni e gli mostrerà le mani;
  • il bambino scelto dovrà indicare una delle mani: se è quella in cui si trova l’oggetto nascosto, lo prenderà e andrà alla lavagna;
  • il gioco prosegue allo stesso modo: il bambino alla lavagna nasconde l’oggetto tra le mani e dopo 15-20 secondi sceglie il compagno più silenzioso.

Al termine del gioco, vincono tutti i bambini che hanno tenuto in mano l’oggetto almeno una volta. Se qualcuno è riuscito a tenerlo per due o più volte, viene proclamato campione del gioco del silenzio.

Ecco qualche consiglio che nasce dalla nostra esperienza di gioco:

  • stabilisci in partenza un tempo limite per il gioco, assicurandoti che non sia eccessivo: si potrebbe cominciare con 4 minuti per arrivare, con un po’ di allenamento, a 10;
  • per aiutare i bambini a focalizzare la loro attenzione sullo scorrere del tempo, utilizza un timer per conteggiare i 15 secondi di silenzio prima che il bambino alla lavagna scelga un compagno;
  • fai qualche prova per addestrare i bambini a compiere tutte le operazioni del gioco in perfetto silenzio (il compagno più silenzioso si può indicare toccandolo sulla testa, la mano scelta dal bambino può essere indicata con un dito e il passaggio del gessetto o della monetina dovrebbe avvenire senza alcun rumore).

ALTRI GIOCHI DA PROPORRE A SCUOLA

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Leggere ai bambini piccoli li aiuta a sviluppare il linguaggio

Leggere ai bambini fa bene. Ma se dovessimo quantificare gli effetti benefici delle letture quotidiane, che risultati otterremmo?

Il Professor James Law dell’Università di Newcastle ha coordinato una ricerca per analizzare gli effetti benefici della lettura sui bambini al di sotto dei cinque anni di età. La ricerca si è concentrata sull’analisi dei principali studi sulla lettura condotti negli ultimi 40 anni, al fine di verificarne l’attendibilità e misurarne gli effetti in modo sistematico e preciso.

I risultati hanno lasciato tutti a bocca aperta: i bambini ai quali genitori e educatori leggono frequentemente hanno un vantaggio di otto mesi nello sviluppo del linguaggio. Al Telegraph, il Professor Law ha dichiarato: “Sapevamo già che leggere ai bambini piccoli facesse bene allo sviluppo e, successivamente, ai risultati accademici, ma aver individuato un vantaggio di otto mesi è stata una scoperta inaspettata. Otto mesi significano una grande differenza nello sviluppo delle abilità linguistiche specialmente se si parla di bambini al di sotto dei cinque anni di età“.

Il punto è che le abilità linguistiche sono tra le più difficili da modificare una volta grandi. Quegli otto mesi di “vantaggio” non è detto che vengano recuperati dagli altri. Trasmettere un buon set di abilità linguistiche nei primi anni di vita (la fase della mente assorbente, come l’avrebbe definita Maria Montessori) significa dare una marcia in più ai ragazzi. Marcia in più che non deve essere vista come un vantaggio competitivo a scuola, ma come abilità per vivere bene, per costruire la propria identità e le proprie reti di relazioni.

Questa ricerca aiuta a capire l’importanza della lettura. Se stai cercando dei materiali per leggere anche tu alle tue bambine e ai tuoi bambini, dai un’occhiata alla nostra sezione dedicata alle storie. Troverai centinaia di testi per i più piccoli.

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Capra capretta

Capra capretta

Capra, capretta,
che bruchi tra l’erbetta,
vuoi una manciatina
di sale da cucina?
Il sale è salato,
il bimbo è nel prato,
la mamma è alla fonte,
il sole è sul monte,
sul monte è l’erbetta,
capra, capretta!

Ecco la nostra filastrocca illustrata:

capra capretta filastrocca

Clicca qui per stampare “Capra Capretta“.

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Tag: capra capretta

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CHICHIBIO E LA GRU

chichibio e la gru

Chichibio e la gru è una novella che compare nel Decameron di Giovanni Boccaccio. Questa novella è incentrata sul motto di spirito: il cuoco Chichibio riesce a placare l’ira del suo signore utilizzando l’ironia. Il testo originale è troppo complesso per leggerlo ai bambini (a differenza dell’intreccio, che è semplice e divertente), così ne abbiamo ricavato un breve adattamento. Questa versione di “Chichibio e la gru” è ideale anche per chi sta cercando un semplice riassunto dell’opera.

CHICHIBIO E LA GRU

Il nobile cavaliere Currado Gianfigliazzi, durante una battuta di caccia, ha preso una gru, che invia al suo cuoco Chichibio perché la cucini e la serva durante un banchetto. Chichibio cucina la gru alla perfezione ed è pronto a servirla quando riceve la visita di Brunetta, la ragazza di cui è perdutamente innamorato.
“Chichibio, che bello sarebbe se tu volessi regalarmi una coscia di questa gru. È così appetitosa!”
“Non posso Brunetta cara, questa gru è per Currado e i suoi compagni. Se dovessi servirgliela senza una coscia mi ucciderebbe!”
Ma Brunetta non ha intenzione di farsi scappare quel banchetto prelibato e decide di provocare Chichibio: “E tu tratti così la tua Brunetta? Se non mi farai assaggiare la gru, vorrà dire che non ti rivolgerò mai più la parola”.

Chichibio cede e dopo aver staccato una coscia dal fianco dell’animale la serve a Brunetta. Poi fa servire al nobile e ai suoi ospiti l’arrosto con una coscia sola. Non appena se ne accorge, Currado manda a chiamare Chichibio.
“Com’è possibile che questa gru abbia una zampa sola?”
Chichibio, che non può e non vuole rivelare la verità, è costretto ad inventare una menzogna: “Tutte le gru hanno una zampa sola, signore”.
“Questo lo vedremo” sbraita Currado, in preda alla collera. Il cavaliere non può certo tollerare di essere preso in giro da un cuoco. Così, la mattina seguente, fa chiamare Chichibio e insieme ai suoi compagni parte diretto verso il fiume.

Lì, tra le canne, avvistano un gruppetto di gru. Gli animali sono immobili, su una sola zampa.
“Vedete signore?” disse Chichibio.
Ma il cavaliere si slancia verso le gru dimenando le braccia e gridando: “Oh! Oh”.
Le gru, spaventate, mettono a terra l’altra zampa e scappano via.
“Ti pare che queste gru abbiano una zampa sola?” chiede Currado a Chichibio.
“Signore, avete ragione voi” rispose Chichibio “ma alla gru dell’altra sera non avete certo gridato Oh! Oh! Se l’aveste fatto, avrebbe posato anche l’altra zampa e io l’avrei servita con tutte e due le cosce”.
A questa risposta, Currado scoppia a ridere e decide di perdonare il cuoco per la sua malefatta.

CHICHIBIO E LA GRU: TESTO ORIGINALE

Chichibio, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l’ira di Currado volge in riso e sé campa della mala ventura minacciatagli da
Currado.

Currado Gianfigliazzi, sì come ciascuna di voi e udito e veduto puote avere, sempre della nostra città è stato notabile cittadino, liberale e magnifico, e vita cavalleresca tenendo continuamente in cani e in uccelli s’è dilettato, le sue opere maggiori al presente lasciando stare. Il quale con un suo falcone
avendo un dì presso a Peretola una gru ammazzata, trovandola grassa e giovane, quella mandò a un suo buon cuoco il qual era chiamato Chichibio e era
viniziano; e sì gli mandò dicendo che a cena l’arrostisse e governassela bene. Chichibio, il quale come nuovo bergolo era così pareva, acconcia la gru, la
mise a fuoco e con sollecitudine a cuocer la cominciò. La quale essendo già presso che cotta e grandissimo odor venendone, avvenne che una feminetta
della contrada, la quale Brunetta era chiamata e di cui Chichibio era forte innamorato, entrò nella cucina, e sentendo l’odor della gru e veggendola pregò
caramente Chichibio che ne le desse una coscia.
Chichibio le rispose cantando, e disse: «Voi non l’avrì da mi, donna Brunetta, voi non l’avrì da mi». Di che donna Brunetta essendo turbata, gli
disse: «In fé di Dio, se tu non la mi dài, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», e in brieve le parole furon molte; alla fine Chichibio, per non crucciar la sua donna, spiccata l’una delle cosce alla gru, gliele diede.
Essendo poi davanti a Currado e a alcun suo forestiere messa la gru senza coscia, e Currado maravigliandosene fece chiamare Chichibio, e domandollo
che fosse divenuta l’altra coscia della gru. Al quale il vinizian bugiardo subitamente rispose: «Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una
gamba».
Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia e una gamba? non vidi io mai più gru che questa?»
.
Chichibio seguitò: «Egli è, messer, come io vi dico; e quando vi piaccia, io il vi farò veder ne’ vivi». Currado, per amore de’ forestieri che seco avea, non
volle dietro alle parole andare, ma disse: «Poi che tu di’ di farmelo veder ne’ vivi, cosa che io mai più non vidi ne udi’ dir che fosse, e io il voglio veder
domattina e sarò contento; ma io ti giuro in sul corpo di Cristo che, se altramenti sarà, io ti farò conciare in maniera, che tu con tuo danno ti ricorderai,
sempre che tu ci viverai, del nome mio».
Finite adunque per quella sera le parole, la mattina seguente, come il giorno apparve, Currado, a cui non era per lo dormire l’ira cessata, tutto ancor
gonfiato si levò e comandò che i cavalli gli fosser menati; e fatto montar Chichibio sopra un ronzino, verso una fiumana, alla riva della quale sempre soleva in sul far del dì vedersi delle gru, nel menò dicendo: «Tosto vedremo chi avrà iersera mentito, o tu o io».
Chichibio, veggendo che ancora durava l’ira di Currado e che far gli conveniva pruova della sua bugia, non sappiendo come poterlasi fare cavalcava
appresso a Currado con la maggior paura del mondo, e volentieri, se potuto avesse, si sarebbe fuggito; ma non potendo, ora innanzi e ora addietro e
dallato si riguardava, e ciò che vedeva credeva che gru fossero che stessero in due piè.
Ma già vicini al fiume pervenuti, gli venner prima che a alcun vedute sopra la riva di quello ben dodici gru, le quali tutte in un piè dimoravano, sì come quando dormono soglion fare; per che egli, prestamente mostratele a Currado, disse: «Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero,
che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno».

Currado veggendole disse: «Aspettati, che io ti mostrerò che elle n’hanno due», e fattosi alquanto più a quelle vicino, gridò: «Ho, ho!», per lo qual
grido le gru, mandato l’altro piè giù, tutte dopo alquanti passi cominciarono a fuggire; laonde Currado rivolto a Chichibio disse: «Che ti par, ghiottone?
Parti che elle n’abbian due?»
Chichibio quasi sbigottito, non sappiendo egli stesso donde si venisse, rispose: «Messer sì, ma voi non gridaste “ho, ho!” a quella d’iersera; ché se
così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste».
A Currado piacque tanto questa risposta, che tutta la sua ira si convertì in festa e riso, e disse: «Chichibio, tu hai ragione: ben lo doveva fare».
Così adunque con la sua pronta e sollazzevol risposta Chichibio cessò la mala ventura e paceficossi col suo signore.

CHICHIBIO E LA GRU: DOMANDE E RISPOSTE

  • Perché Currado fa portare la gru a Chichibio? 
    R: perché il cuoco possa cucinarla e servirla in tavola agli ospiti del cavaliere;
  • Perché Chichibio serve la gru senza una coscia? 
    R: perché, stuzzicato dalle provocazioni di Brunetta, la donna di cui è innamorato, le offre una coscia della gru che aveva preparato per Currado;
  • Perché Currado porta Chichibio al fiume?
    R: per mostrargli che le gru hanno due zampe, mostrandogli che ha torto;
  • Come si conclude questa novella? 
    R: Currado, divertito dalla risposta di Chichibio, si rappacifica con lui.

CHICHIBIO E LA GRU: MORALE

La novella si conclude con il motto di spirito di Chichibio: il cuoco, di origine umile, riesce a placare l’ira del suo padrone (un nobile) attraverso l’ironia e un buon uso del linguaggio. Non vi è una vera e propria morale (come accade invece per le favole); piuttosto si afferma il principio che l’ironia e la parola hanno il potere di trascendere le classi sociali, permettendo agli umili di evitare l’idra dei potenti e mettendo tutti sullo stesso piano.

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I BAMBINI ANDREBBERO RICHIAMATI OPPURE NO?

È giusto alzare la voce con i bambini? O forse dovremmo richiamarli attraverso il nostro silenzio? È facile giudicare ed offrire soluzioni, specialmente per chi, con i bambini, non lavora quotidianamente.
Tuttavia, non esiste una soluzione al problema del richiamo; o meglio, non esiste un’unica soluzione. A questo proposito ti segnaliamo qualche riga di Maria Montessori, che aveva compreso molto bene la questione della disciplina e che ci offre una metafora calzante: l’insegnante non assomiglia a una macchina che esegue un ordine ma piuttosto ad un medico. E proprio come un medico, deve essere in grado di comprendere il paziente che si trova davanti per suggerire la cura migliore, così l’insegnante dovrà scegliere se e come richiamare i suoi bambini.

La maestra che per inesperienza o per troppa rigidità o eccessiva semplicità di principi ed idee, si trova in una simile situazione (il disordine e la confusione generati dai bambini), deve ricordare le forze che giacciono sopite in queste piccole anime divinamente pure e generose. Deve aiutare a risalire queste creaturine, che stanno correndo a precipizio lungo una via discendente. Deve chiamarle, destando i dormienti con la voce e con il pensiero. Un vigoroso e fermo richiamo è solo e vero atto di bontà verso queste piccole anime. Non temete di distruggere il male: soltanto il bene dobbiamo temere di distruggere…

Soltanto la sua intelligenza (dell’insegnante, ndr) può risolvere il problema che sarà differente per ogni caso individuale. L’insegnante conosce i sintomi fondamentali e i chiari rimedi, la teoria del trattamento; tocca a lei il resto. Il buon medico, come l’insegnante, è un individuo, non una macchina per somministrare medicine o applicare metodi pedagogici. I particolari vanno lasciati al giudizio della maestra, che sta anch’essa muovendo i primi passi sulla nuova via: a lei giudicare se vale meglio alzare la voce nel disordine generale o sussurrare a pochi bambini, così che sorga negli altri una curiosità che riconduca la quiete. Una corda del pianoforte colpita vigorosamente spegne il disordine come una sferzata“.

Queste righe dovrebbero aiutarci a comprendere la complessità e l’importanza del ruolo degli insegnanti, aiutandoci anche a superare i giudizi preconfezionati.

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