Blog

Raperonzolo

Raperonzolo è una fiaba dei fratelli Grimm, adatta ai bambini da 3 anni in su.

Raperonzolo

C’era una volta una donna, che aspettava una bambina. Dalla finestrella della loro piccola casa, si vedeva il giardino di una maga, nel quale crescevano fiori e frutti di qualsiasi genere. La donna, ogni giorno si metteva alla finestra e guardava quel giardino. Un bel giorno le venne voglia di assaggiare i raperonzoli che vi crescevano. Cercò di contenersi, ma la sua voglia era incontenibile: suo marito, non appena se ne accorse, poiché le voleva un gran bene, si intrufolò di nascosto nel giardino della maga e portò via un bel mazzetto di raperonzoli.
Il giorno dopo, però, la voglia non era passata: anzi, era aumentata a dismisura. Il marito, di nuovo entrò nel giardino di soppiatto, ma non aveva ancora raccolto il primo raperonzolo che si trovò la maga dinnanzi. L’uomo si scusò, raccontò della voglia insaziabile di sua moglie e di come fosse saggio accontentare una donna quando aspetta un bambino.
“E sia” disse la maga “prendi tutti i raperonzoli che vuoi dal mio giardino, oggi e anche nei prossimi giorni; ma quando nascerà la vostra bambina, la prenderò io”. Quando la moglie partorì, comparve accanto a lei la maga che prese la bambina, decise di chiamarla Raperonzolo e la portò via.

Raperonzolo divenne presto la bambina più bella del mondo e la maga, temendo che qualcuno potesse portarla via, la rinchiuse in una torre alta e senza scale né porte: c’era solo una finestrella sulla cima. Quando la maga voleva entrare, diceva:
“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.”
E la bambina scioglieva la sua lunghissima treccia e la strega si arrampicava su di quella. Un giorno, passò di lì un principe, che si innamorò della ragazza a prima vista; tuttavia, non c’era alcun modo di raggiungere Raperonzolo in cima alla torre. E così, il principe ogni mattina si recava nel bosco a trovare Raperonzolo; un giorno, vide la maga che si recava ai piedi della torre e diceva:
“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.”
Così, anche il principe imparò quella formula magica e la sperimentò: si mise sotto la finestra e con la sua bella voce disse:
“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli.”
La ragazza sciolse i capelli e il principe si arrampicò fino alla cima; quando Raperonzolo si accorse che non si trattava della maga, ma di un principe, all’inizio si spavento; il giovane però era simpatico e i due si innamorarono quasi subito. Il giovane andava ogni giorno a trovare la ragazza alla torre e insieme vivevano felici.

Un giorno, però, la maga si accorse dell’intruso: infatti, si era appena arrampicata sui capelli di Raperonzolo che la fanciulla le disse: “Mamma mia, come siete pesante. Il principe, è tanto più leggero di voi!”
La maga andò su tutte le furie: taglio i capelli a Raperonzolo, poi la portò nel mezzo di un deserto dove la ragazza si trovò a vivere in miseria. Dopo aver sistemato la ragazza, la maga legò i capelli della ragazza ad una trave e non appena il principe arrivò alla torre lasciò cadere a terra i capelli.
Immaginate la sorpresa del principe quando, invece della sua amata Raperonzolo, si trovò davanti una maga! “Raperonzolo non c’è più; per colpa tua, adesso vive in miseria”.
Il principe, sentendo quelle parole, si disperò a tal punto che si buttò giù dalla torre e diventò cieco. Così, prese a girovagare per il mondo senza sapere dove stava andando.
Un bel giorno, infine, arrivò nel deserto e trovò una ragazza con due bambini; riconobbe la sua voce: era Raperonzolo! Il principe le saltò al collo ed entrambi cominciarono a piangere di gioia: le lacrime di Raperonzolo, bagnando gli occhi del principe, gli fecero tornare la vista: e i due vissero felici e contenti.

SCOPRITE ANCHE:

Tag: raperonzolo, rapunzel, storia raperonzolo, storia rapunzel

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Hansel e Gretel

Hänsel e Gretel

J. e W. Grimm

C’era una volta un boscaiolo che aveva due bambini: Hänsel e Gretel. Il boscaiolo era un uomo terribilmente povero e non aveva niente per sfamare i due piccoli. Così, una notte, decise insieme alla madre di abbandonarli nel bosco. La mattina seguente, li portò con se nel bosco, con la scusa di insegnargli a fare la legna, in modo che anche loro potessero aiutarlo. Percorsero insieme miglia e miglia; Hänsel e Gretel erano ormai sfiniti quando i tre giunsero in una radura, nel bel mezzo del bosco.

A questo punto, il padre disse loro di aspettarlo lì mentre andava a cercare un bell’albero da tagliare e si allontanò. I due bambini lo aspettarono per tutto il giorno, fino al tramonto: non potevano credere di essere stati abbandonati.
Decisero però di cercare la via del ritorno prima del buio, e si misero in cammino. Hansel e Gretel avevano ormai perso la strada e girovagavano senza meta, quando si imbatterono in una casetta piccina.

Pensate un po’, il tetto era stato costruito con tegole di cioccolata e i muri erano di marzapane, spesso almeno mezzo metro. E c’erano anche balconcini di caramelle e canditi, zucchero a volontà e ogni sorta di prelibatezza. Senza pensare ad altro, i due si avventarono sulla casetta, prendendo una tegola ciascuno.

Stavano finendo la cioccolata quando dalla porta della casetta uscì una vecchina, che li invitò ad entrare per mangiare tante altre pietanze deliziose. Hänsel e Gretel la seguirono felici. Tuttavia, la vecchina era una strega e appena entrati li rinchiuse in una gabbia. Poi ci pensò su e tirò fuori Gretel, ordinandole di fare le pulizie, di cucinare e di farle da serva. Dovete sapere che i bambini sono il piatto preferito delle streghe, che li cucinano con un po’ di aglio e del rosmarino, facendoli arrostire per bene. Così, la vecchina ogni giorno rimpinzava per bene Hänsel, con la speranza di farlo ingrassare a dovere e poi cucinarlo. Gretel, invece, doveva accontentarsi di un pezzetto di pane e di un bicchier d’acqua.

Un bel giorno, la strega decise che era arrivato il momento: accese il forno e uscì a prendere l’aglio e il rosmarino. Mentre era fuori, Gretel aprì la gabbia del fratello, senza farsi scoprire. Così, non appena la strega fu rientrata, mentre controllava che il forno fosse ben caldo, Hänsel e Gretel la spinsero dentro con tutte le loro forze. Finalmente liberi i bambini scoprirono che la strega aveva un baule pieno di oro e gioielli nella sua camera. Così, dopo aver fatto scorta di dolci, presero il suo tesoro e ripartirono verso casa. Qualcuno dice che, lungo il sentiero, incontrarono un contadino dal cuore gentile, che in cambio di qualche diamante li accompagnò sul suo carretto. Così, tornati dai propri genitori, vissero felici, contenti e con la pancia piena.

SCOPRITE ANCHE:

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

La bella addormentata nel bosco

La bella addormentata nel bosco è una fiaba di Charles Perrault, adatta ai bambini da 3 anni in su.

La bella addormentata nel bosco

C’erano una volta un re e una regina che desideravano tanto un erede: dopo molti anni, diedero finalmente alla luce una bambina, a cui diedero il nome di Aurora. I sovrani organizzarono una grande festa a cui invitarono tutti i sudditi del regno; invitarono anche le fate che abitavano in quella regione. Purtroppo, però, si dimenticarono la fata delle montagne, perché nessuno si ricordava più di lei.
Ciascuna delle fate che erano state invitate portò alla piccola Aurora un dono magico: la prima le donò la bellezza, la seconda la grazia, la terza la gentilezza; la quarta fata le donò l’amore e la quinta il dono di essere stimata e apprezzata da tutti. Ma prima che l’ultima fata potesse pronunciare il suo dono, il salone si fece buio, tutto d’un tratto: le luci si spensero e comparve la fata delle montagne, piena di collera per essere stata dimenticata.
“Anche io voglio fare un dono alla principessa” disse la fata, mentre il re e la regina tremavano dalla paura: “sarà infatti la più bella e graziosa principessa del mondo, ma all’età di sedici anni si pungerà con un fuso e cadrà in un sonno di more”. Poi la fata scomparve nel nulla, prima che le guardie del palazzo potessero acciuffarla.

L’ultima delle fate si fece avanti. “Non posso sciogliere un incantesimo così potente, ma posso aggiungere queste parole: la principessa potrà essere svegliata dal suo sonno dal vero amore”. Il re, credendo di aggirare la maledizione, fece distruggere tutti i fusi del suo regno: inviò soldati e volontari in lungo e in largo a cercare fusi e arcolai per sedici anni. Nel frattempo, Aurora cresceva bella e graziosa. Ma al compimento del sedicesimo anno di età, mentre si aggirava per i corridoi del palazzo, Aurora si accorse di una minuscola porticina che non aveva mai visto prima. La aprì e trovò una lunga scala a chiocciola, che saliva fin sotto il tetto. Lì si trovava un’anziana signora che filava con il fuso e l’arcolaio: la vecchina era sorda e non aveva mai sentito il divieto reale di filare. La principessa si avvicinò a quello strano oggetto e provò ad utilizzarlo, ma si punse il dito e cadde a terra addormentata.
Anche gli altri abitanti del palazzo caddero in un sonno profondo. Il regno continuò la sua vita, ma tutti si dimenticarono del re, della regina, di Aurora e del palazzo che, negli anni, venne coperto da una foresta di rovi impenetrabile. Passarono cento anni. Un giorno, passò di lì un principe, che si era smarrito durante una battuta di caccia. Il ragazzo si accorse che al di là dei rovi c’era qualcosa e volle andare a vedere: da bambino, aveva sentito raccontare dai suoi nonni di un palazzo avvolto dai rovi e di una bellissima principessa addormentata. Prese la sciabola per farsi strada tra i rovi, ma questi si spostavano da soli al suo passaggio, come per magia.

Il principe si trovò nel cortile del palazzo, dove i guardiani giacevano addormentati accanto al portone. Nel mezzo del cortile, c’erano i cuochi e la servitù e così via: non c’era stanza di quel grande palazzo in cui non ci fosse qualcuno bell’e addormentato. Il principe esplorò tutti i saloni e tutte le stanze, finché non capitò nel solaio: lì, trovò stesa la principessa Aurora. La principessa era così bella che il principe non poté fare a meno di innamorarsene: il principe si avvicinò al suo viso e le diede un bacio: era il bacio del vero amore, che risvegliò la principessa. Poi, come d’incanto, i rovi si ritirarono dal castello e tutti i suoi abitanti si risvegliarono: quello stesso giorno furono celebrate le nozze tra Aurora e il principe che l’aveva salvata e vissero tutti felici e contenti.

SCOPRITE ANCHE:

Tag: la bella addormentata nel bosco

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Il brutto anatroccolo

Il brutto anatroccolo è una fiaba di Hans Christian Andersen, adatta ai bambini da 3 anni in su.

Il brutto anatroccolo

C’era una volta un bel laghetto di campagna, circondato dalle canne, dai salici e da canali profondi. Era un posto selvaggio e tranquillo, illuminato dai raggi dorati del Sole. In un’ansa del laghetto, un’anatra aveva costruito il suo nido. Trascorreva tutta la giornata a covare le sue uova, in attesa che ne nascessero degli anatroccoli.

Un bel giorno, le uova cominciarono a schiudersi: “Pip Pip” facevano gli anatroccoli, che per la prima volta nella loro vita vedevano il Sole e l’acqua.
“Com’è grande e bello questo mondo” dicevano alla mamma; “andiamo ad esplorarlo”.
“Dovete aspettare” disse loro la mamma anatra “c’è ancora un uovo che si deve schiudere”. Ma l’uovo non ne voleva sapere di schiudersi. Quel pomeriggio, passò di lì una vecchia anatra che disse alla mamma: “Fammi vedere l’uovo; potrebbe essere un uovo di tacchino: una volta ho perso una settimana con un uovo di tacchino e non c’è stato verso di far entrare in acqua i piccoletti. Sì, è proprio un uovo di tacchino! Al posto tuo il lo butterei tra le canne e penserei ai miei paperotti”. Ma mamma anatra continuò a covare l’ultimo uovo rimasto finché si schiuse: ne uscì un anatroccolo molto più grosso degli altri ed era brutto.

“Domani proverò a portarlo in acqua; se è un tacchino, lo lascerò nei campi” si disse l’anatra. Ma il giorno seguente, l’anatroccolo si tuffò e cominciò a nuotare insieme ai suoi fratellini.
“Non è un tacchino!” esclamò la mamma “Guardate come muove bene le zampe, e come si tuffa” disse a tutte le sue amiche.
Poi l’anatra radunò tutti i suoi piccoli. “Adesso vi porterò nel pollaio, a conoscere i nostri vicini animali. Dovreste stare vicini a me e non allontanarvi per nessuna ragione. E state attenti al gatto”.

Ma quando entrarono nel pollaio, gli altri animali cominciarono a fare confusione: “Ma chi è quel brutto anatroccolo? È così grosso, ci fa paura! Non lo vogliamo”. La mamma anatra difese il suo anatroccolo e lo prese vicino a sé. Anche le altre anatre cominciarono a schernirlo: “Che bei piccoli mamma anatra, ma questo qui, è così brutto”.
Il giorno dopo, gli animali ripresero a schernire il povero anatroccolo. Trascorse un mese, ma le cose andavano sempre peggio. Il brutto anatroccolo veniva scacciato dai suoi stessi fratellini, il tacchino lo beccava e perfino mamma anatra, ogni tanto, gli diceva “Se solo tu fossi nato lontano da qui, staremmo tutti meglio”.

Così, l’anatroccolo volò oltre la siepe e lasciò la fattoria. Si avventurò nella palude, abitata dalle anatre selvatiche e dagli altri uccelli. “Sei molto brutto” gli dissero “ma a noi non importa: basta che non ti sposi con uno dei nostri anatroccoli”. Così il piccolo si fermò qualche giorno nella palude. Lì incontrò anche due oche, che cercarono di convincerlo ad unirsi a loro. Purtroppo, però, un cacciatore le centrò tutte e due con la sua carabina. Perfino il cane del cacciatore, che stava nuotando nella palude alla ricerca delle oche, non appena vide l’anatroccolo scappò via.

Il giorno dopo l’anatroccolo scappò via dalla palude, per non finire tra le grinfie dei cacciatori. Si rifugiò in una vecchia casetta di contadini, in cui abitavano una vecchietta, un gatto e la gallina. Quando la vecchietta si accorse dell’anatroccolo, lo mise in prova: “Vorrei tanto mangiare delle uova di anatra. Se ne farai qualcuna, potrai rimanere qui con noi”.
Ma il piccolo anatroccolo non fece alcun uovo; per di più, litigava tutti i giorni con il gatto e la gallina: loro erano convinti che il mondo finisse poco oltre il giardino della casetta e quando l’anatroccolo parlava loro delle anatre selvatiche e della fattoria lo trattavano come un matto.

Un bel giorno, l’anatroccolo si stufò di essere trattato così male e decise di andarsene in giro per il mondo. Era autunno e il piccolo camminò fino a raggiungere un lago. Lì si nascose tra le canne, ad aspettare l’inverno. Con l’inverno, l’acqua in cui nuotava cominciò a ghiacciare e il piccolo rimase incastrato nel ghiaccio, senza nulla da mangiare. Un giorno, un contadino lo trovò privo di sensi nel ghiaccio, lo prese e lo portò a casa, ai suoi bambini. I piccoli volevano giocare un po’ con lui, ma l’anatroccolo si spaventò a morte e scappò via. L’inverno fu duro e il poveretto fece la fame tra le canne. Per fortuna riuscì a sopravvivere al gelo!

Arrivò la primavera e finalmente l’anatroccolo uscì dal suo rifugio per riscaldarsi un poco sotto i raggi del sole. Stava nuotando nel lago quando vide tre cigni meravigliosi passare proprio davanti a lui.
“Chissà cosa mi faranno” pensò il piccolo “sono così brutto che vorranno uccidermi”. I cigni, appena lo videro, si avvicinarono verso di lui agitando le loro piume bianche.

“Uccidetemi” pensò l’anatroccolo, chinando il capo sull’acqua. Ma cosa vide? Nell’acqua argentata, come uno specchio, non vide il brutto anatroccolo grigio che tutti gli animali avevano preso in giro. Al suo posto c’era un bellissimo cigno bianco. L’anatroccolo si era trasformato nel cigno più bello di tutti. Del resto, che cosa importa essere nati in un pollaio di anatre, quando si è usciti da un uovo di cigno?

I tre cigni che si erano avvicinati erano i suoi fratelli e il piccolo si unì a loro. Da quel giorno, visse felice, senza pensare a quanto aveva sofferto. Anzi, ogni volta che un bambino si avvicinava a lui per dargli un pezzo di pane da mangiare pensava tra sé: “Quando ero un brutto anatroccolo pensavo non pensavo che la mia vita sarebbe stata tanto felice”.

SCOPRITE ANCHE:

Tag: il brutto anatroccolo, brutto anatroccolo

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Il gatto con gli stivali

Il gatto con gli stivali è una fiaba europea trascritta da Charles Perrault, adatta ai bambini da 3 anni in su.

Il gatto con gli stivali

Charles Perrault

C’era una volta un vecchio mugnaio che lasciò in eredità ai suoi figli i suoi averi: al più grande toccò il mulino, al figlio di mezzo toccò un vecchio asino e infine, al più giovane, un gatto. Il ragazzo non sapeva cosa farsene di quel gatto e si chiedeva come sarebbe riuscito a procurarsi qualcosa da mettere sotto i denti. Ma il gatto gli disse: “Non preoccuparti; procurami un paio di stivali e un cappello e fidati di me”.

Il ragazzo fece proprio come gli era stato detto. Il gatto infilò gli stivali e si addentrò nel bosco, a caccia di selvaggina. Tornò poco più tardi, con due bei fagiani. “Che meraviglia! Questa sera festeggeremo” disse il ragazzo. Ma i fagiani non erano per loro: “Questi non sono per te; li porterò in omaggio al re” rispose il gatto. Poi uscì.
Il gatto arrivò alle porte del castello e bussò, poi consegnò i fagiani al cuoco e gli disse di riferire al re che si trattava di un omaggio del Marchese di Carabas.

Il gatto continuò così a lungo: ogni giorno portava qualche dono al re, da parte del Marchese di Carabas, e intanto il suo padrone faceva la fame. Poi, una mattina, disse al ragazzo: “Vieni con me; quando raggiungeremo il fiume, vai a fare un bagno. Ma non appena vedrai passare la carrozza reale, fingi di annegare”. I due uscirono di casa e raggiunsero il fiume; il ragazzo entrò in acqua mentre il gatto andò a far visita ai contadini che coltivavano i campi lungo le sponde.

“Se il re ve lo chiederà, dovrete rispondere che questi campi sono di proprietà del Marchese di Carabas; se non lo farete, vi farò uccidere tutti. Chiaro?” sibilò il gatto. E i contadini, chinando il capo, annuirono.
Dopo qualche tempo, passo di lì la carrozza del re, con i suoi cavalieri al seguito;
“Di chi sono queste terre?” chiese il re a uno dei contadini che stavano estirpando le erbacce.
“Del Marchese di Carabas, Maestà” rispose il contadino.
“Lo stesso Marchese che ci porta doni ogni giorno? Dev’essere un uomo ricco e buono” pensò tra sé il re.

Poco più avanti, incontrò il gatto con gli stivali, che agitava le zampine disperandosi: “Aiutatemi! Aiutatemi! Il mio padrone, il Marchese di Carabas, sta affogando nel fiume”. Il re ordinò ai suoi cavalieri di salvarlo e lo fece tirar fuori dall’acqua; poi gli fece dare i suoi vestiti più belli, prendendoli dai bauli che portava sulla carrozza.
Mentre il re si intratteneva con il ragazzo, convinto che si trattasse di un ricco nobile, il gatto li abbandonò e corse avanti. C’era infatti lungo la strada un castello, abitato da un orco. L’orco era famoso per la sua abilità di trasformarsi in qualunque animale volesse.
Così, il gatto entrò e chiese di essere portato al cospetto dell’orco.
“E così tu saresti l’orco capace di trasformarsi in qualsiasi animale desideri, dico bene?”
“Proprio così”.
“Secondo me, però, non saresti in grado di trasformarti in un leone”.
L’orco prese la sfida molto sul serio e si trasformò in un  battibaleno. Il gatto, terrorizzato dal ruggito del leone, si nascose dietro una colonna.
“Straordinario! E dimmi, sapresti anche trasformarti in una serpe velenosa?”
L’orco, in un attimo, si trasformò in una vipera: dai lunghi denti affilati stillavano gocce di veleno nero.

“Meraviglioso! Ma ho compreso il tuo trucco: sai trasformarti in tutti gli animali feroci e velenosi, ma sono certo che non sapresti diventare un topolino così piccolo da stare nel palmo della mia zampa”.
“Tu dici? Stai a guardare!” ed ecco che l’orco divenne un topolino bianco, così piccolo da stare tra le zampe di un gatto.
Il gatto con gli stivali sorrise, soddisfatto. Poi, con un balzo, afferrò l’orco, ormai inoffensivo, e lo divorò in un sol boccone.

“Da oggi, questo castello appartiene al Marchese di Carabas! Il Marchese sta arrivando, in compagnia del re; preparate le due stanze più belle” esclamò il gatto. I servitori del castello, furono ben felici di sapere che da quel momento avrebbero servito un nobile invece di un orco.
Il gatto, invece, tornò lungo la strada e raggiunse la carrozza; poi, si affaccio alla finestrella e disse:  “Maestà, il castello del Marchese è poco più avanti; fermiamoci  a riposare lì. La servitù ha già preparato le due stanze più belle”.

E così, il figlio del mugnaio, da quel giorno, divenne il ricco proprietario di quel castello e di tutta la servitù. Il re, dal canto suo, rimase tanto colpito dalle ricchezze e dalla generosità del Marchese di Carabas che gli diede in sposa sua figlia, la principessa. E così, vissero tutti felici e contenti.

Per approfondire

Il gatto con gli stivali è una fiaba molto, molto antica: la versione più famosa è forse quella di Charles Perrault, del 1697, ma una storia molto simile si trova già nel libro “Piacevoli notti”, di Giovanni Francesco Straparola, pubblicato nel 1550. Si tratta dunque di una fiaba vecchia quasi 500 anni!  Anche i fratelli Grimm hanno pubblicato una versione di questa fiaba nella loro raccolta “I racconti del focolare”.

SCOPRITE ANCHE:

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.

Nomi femminili africani

In questa sezione potete trovare l’elenco dei principali nomi femminili africani. Per ciascun nome troverete anche la sua origine e il significato.

Nomi femminili africani

  • Abimbola – Bimbo
    Origine: popolo Yoruba
    Significato: “Nato nella ricchezza”.
  • Nqobyle
    Origine: popoli di lingua Bantu
  • Nyasha
    Origine: popolo Shona.
    Significato: “Gentile”.
  • Rutendo
    Origine: popolo Shona.
    Significato: “Fedele”.
  • Sibongile
    Origine: popoli di lingua Bantu.
    Significato: “Ti siamo grati”.
  • Tanaka
    Origine: popolo Shona.
    Significato: “Colei che diventerà bella”.
  • Tendai – Tendayi
    Origine: popolo Shona.
    Significato: “Grazie a Dio”.
  • Thandiwe
    Origine: popoli di lingua Nguni.
    Significato: “Amata”.
  • Tinashe
    Origine: popolo Shona.
    Significato: “Dio è con noi”.

Attenzione: molti nomi africani vengono utilizzati sia come nomi maschili che come nomi femminili. Per questa ragione li troverete anche nell’elenco dedicato ai nomi maschili africani.

Nomi femminili stranieri:
🔴 Nomi femminili albanesi
🟠 Nomi femminili africani
🟡 Nomi femminili americani
🟢 Nomi femminili arabi
🔵 Nomi femminili coreani
🟣 Nomi femminili francesi
🔴 Nomi femminili giapponesi
🟠 Nomi femminili greci
🟡 Nomi femminili indiani
🟢 Nomi femminili inglesi
🔵 Nomi femminili nativi americani
🟣 Nomi femminili russi
🔴 Nomi femminili spagnoli
🟠 Nomi femminili tedeschi
↩️ Tutti i nomi stranieri

Scoprite anche:
🟣 Nomi più usati in Italia
🔴 Nomi femminili antichi
🟠 Nomi femminili greci
🟡 Nomi femminili latini
🟢 Nomi femminili biblici
🔵 Nomi femminili rari
🟣 Nomi femminili medievali
🔴 Nomi femminili stranieri
🟠 Nomi femminili particolari
🟡 Nomi femminili corti
🟢 Nomi femminili ispirati ai fiori
🔵 Nomi femminili eleganti
🟣 Nomi femminili vintage
🔴 Nomi femminili dolci
🟠 Nomi per gattine
🟡 Nomi per cani femmina
🟢 Nomi femminili di principesse
↩️ Nomi femminili dalla A alla Z

Nomi femminili con la lettera:
ABCDEFGHILMNOPQRSTUVZ

Se siete arrivati fino a questo punto e non siete riusciti a individuare il nome giusto per il vostro bambino, forse è il caso di consultare un libro dei nomi. Questi libri offrono una panoramica completa di nomi, con significati, origini e varianti; spesso i nomi vengono categorizzati e presentati in modo interessante e non convenzionale. Ma non solo: spesso contengono riflessioni di educatori, psicologi e pedagogisti utili per guidare i neo-genitori nel compito delicato di scegliere un nome.

Di seguito vi presentiamo alcuni libri dei nomi selezionati con cura, tenendo conto della qualità dei contenuti, dell’autorevolezza degli autori e dell’accoglienza del pubblico.

Il libro completo dei nomi (Deagostini, 2021)

Libro dei nomi (Meros edizioni, 2022)

Vi piacciono le nostre illustrazioni? Su Amazon sono arrivate le T-shirt ufficiali di Cuorfolletto. Scoprite “Il girotondo dei fiori”: è disponibile in 29 colori diversi.

Tag: nomi femminili africani, nomi africani femminili

Non avete trovato il contenuto che stavate cercando? Chiedetecelo: ogni mese realizziamo i materiali più richiesti dai lettori! Ecco il modulo per le nuove richieste: Chiedi un contenuto.

Iscrivetevi alla Newsletter o al canale Telegram per ricevere gli ultimi aggiornamenti dal sito.